Lo scorso anno la partecipazione della gente alla fiaccolata, nel giorno anniversario della morte di Beppe, e soprattutto all'ascolto, nella Chiesa di S. Andrea, di suoi scritti, alternati da canti e sottolineati da immagini proiettate, fu corale, spontanea, partecipata. Nel salutarci al termine raccogliemmo la sensazione di un' attesa anche per questo anno di un appuntamento vissuto con calore e serenità.
Non potevamo non rinnovare l'invito anche quest'anno, e lo abbiamo fatto, incontrando lo stesso clima di attenzione e di partecipazione. Il 19 gennaio appena buio, siamo partiti dalla Chiesetta del Porto per raggiungere - fiaccole in mano - la Chiesa di S. Andrea, dove Maria Grazia ci ha preso, ancora una volta, per mano guidandoci ad un rilettura di quelle energie di Beppe collegate principalmente alla sua capacità di ascolto e di accoglienza della realtà umana nei suoi risvolti consueti e insieme drammatici. Al suo impegno di non passare mai oltre l'umanità ferita e bisognosa di cura simboleggiata dall'uomo abbandonato e bisognoso di aiuto sulla via che da Gerusalemme porta a Gerico.
"Indifferenti mai" era un suo motto giocato sul filo dell' intestazione delle "botteghe delle differenze" del Centro per portatori di handicap di cui era interprete tutto particolare per originalità e intensità di coinvolgimento.
"Indifferenti mai" come seme da raccogliere per rendere fecondo di vita solidale anche questo tempo in una memoria viva e vivificante di lui.
Vi preghiamo di leggere in particolare la conclusione e di dare, se volete, la vostra adesione al proseguimento del percorso della memoria viva di Beppe.
Luigi
Introduzione
Maria Grazia
L'incontro di quest'anno, il terzo ormai che passiamo insieme nel ricordo di don Beppe, vuole essere diverso dagli altri: un ricordare una fine e insieme l'inizio di una vita nuova. Il Tempo, il grande medico, nel suo insensibile trascorrere da una parte ha lentamente sanato la ferita troppo viva procurata dallo strappo della separazione.
Dall'altra ci ha dato modo di porre mano al paziente dipanare i fili che si erano intrecciati con la sua esistenza, permettendoci di riprendere in mano i nostri, che abbiamo trovato rafforzati dal lungo contatto reciproco. Quanto di lui c'era in noi può finalmente emergere e in questo modo, con questa circolarità feconda, Beppe torna a vivere.
È dunque giunto il tempo di sciogliere il lutto e mettere mano a costruire qualcosa che abbia il sapore delle cose che lui amava. Ve ne parlerò alla fine della serata.
Ora ascoltiamo con cuore aperto le sue parole che quest'anno sono legate dal filo conduttore del rifiuto dell'indifferenza. Vi ricordate la sua frase tipica "indifferenti mai!"?
La sua vita ha avuto come denominatore comune la resistenza, l'ostinato non arrendersi.
Beppe non ha mai abitato nel territorio neutro, grigio, del non fare, dell'attendere, del silenzio complice, dello spazio preso per sé... Non ha stretto patti con chi deteneva poteri (anche piccoli) e poteva magari sovvenzionare i suoi progetti.
La cassa a cui attingeva energie e risorse economiche eravamo tutti noi, una pluralità di persone che garantiva il coinvolgimento di tanti e gli donava la libertà dall'avere padrini (o madrine...). A cosa non è mai stato indifferente il suo cuore affaccendato? In questo incontro che si snoda in quattro parti e che vede alternarsi parole, musica ed immagini, cominceremo con il parlare del rapporto di Beppe con i bambini, i cuccioli della nostra specie che sono per se stessi figli di tutti, continuatori della razza umana.
Lui li ha allevati e presi con sé. Sapete un po' tutti che ha avuto in custodia per dieci lunghi anni quattro bambini, portandoli dall'infanzia all'adolescenza.
Li aveva trovati soli e sperduti, privati della famiglia, coinvolti in un dramma più grande di loro. Lui ha messo le mani nella pasta ed ha lavorato come un padre di famiglia, giorno per giorno, con tanta fatica. Ma il suo non è stato un semplice atto di bontà. E' stato anche un atto di coraggio, a viso aperto, contro ogni convenzione, fra poco ne capirete il motivo. Su questa sua esperienza Beppe non ha quasi scritto, ne abbiamo trovato poche righe in un suo articolo del 1978 - scritto nel pieno della sua impresa familiare - e ve le leggiamo, con una piccola introduzione, scritta da me e da Paola Bittini, che ne spiega il contesto.
Ia Parte "Beppe e i bambini"
Voce maschile
Alla fine del 1975 in Versilia accadde un grave fatto di cronaca: un evaso si rifugiò presso complici esterni e quando la polizia circondò la casa per arrestarlo, fu accolta da una sparatoria nella quale persero la vita tre agenti di pubblica sicurezza ed un altro fu seriamente ferito. Molte persone, famiglie intere furono dolorosamente coinvolte dall'evento, fra l'altro anche i figli minori della famiglia che aveva nascosto l'evaso. I quattro fratellini furono dati in custodia al De Sortis, dove Beppe andò a trovarli. In seguito decise di prenderli con sé, fino a quando almeno uno dei genitori non fosse uscito dal carcere.
da Lotta come amore, giugno 1978
"Dio è il Dio di tutto ciò che è piccolo (come un seme, un po' di lievito, un bambino) e non di ciò che è considerato grande...
Mi sembra di entrare sempre più profondamente in questo misterioso essere di Dio che Gesù rivela nello svolgersi del suo Vangelo e che occorre sapere riconoscere là dove si vorrebbe che egli non fosse:
- In un carcere;
- nello smarrimento totale di quei bambini ed adolescenti che si affacciano per la prima volta alla vita e non riescono ad indovinare la strada;
- nella precoce vecchiaia di tantissimi giovani bruciati dall'assurdità e dalla spietatezza di una società costruita dagli adulti;
- nella disperata ribellione di un piccolo gregge che cerca e sogna un mondo diverso da quello della grande massa che fa sempre più appello alla forza, all'ordine democratico, al regime di
sicurezza poliziesca."
Voce femminile
"La sua avventura di padre e madre di famiglia durò l0 anni, dal 1975 al 1985: era immerso nel lavoro, fare la spesa, pensare al pranzo e alla cena, portare i bimbi a scuola, seguirli nei compiti, educarli. Peregrinare in cerca di una casa in affitto finché due generosi amici di sempre, Grazia e Eugenio, gli affidarono un appartamento sopra la loro casa. La sua diventò così la casa della famiglia più aperta che abbia conosciuto, i cui confini arrivavano fino in Val d'Aosta dove si recava in vacanza con i suoi ragazzi ed altre famiglie di noi viareggini e dove trovava un bel gruppo di famiglie di lassù, pronte ad accoglierci."
da Lotta come amore, giugno 1978
"... sono ormai quasi due anni che non scrivo più e questo tempo è letteralmente volato via, nella macina della vita quotidiana, preso come è stato nella rete di vicende molto particolari come sono quelle della vita dei bambini.
Della loro storia semplice e drammatica, di problemi che non sono niente e sono tutto.
È stato come entrare in un fiume in piena e rimanervi travolto, portato via da una corrente tenace che non concede respiro, né permette riposo.
Così ho camminato senza sosta, unicamente preoccupato di impegnarmi con amore e con verità alle richieste della vita che chiama ed esige risposte precise."
Coro dei bambini della Scuola Materna Basalari
IIa Parte "Beppe e le pecore senza pastore"
da Lotta come Amore, ottobre '91
Maria Grazia
Riprendiamo il filo del discorso, quello della resistenza, del non essere indifferenti.
A chi altro è stato aperto, il suo cuore? Di chi ascoltava la voce? Delle pecore senza pastore, di chiunque, e tutti noi in certi periodi dell' esistenza lo siamo stati, era afflitto dal mal del vivere, stanco o spaventato si sentiva sopraffatto dalle difficoltà della vita. Per tutti coloro che cercavano conforto, per tutti noi, Beppe è stato il buon pastore.
Voce maschile
Sul finire di questa estate assolata, ho fatto un lungo viaggio in treno attraversando un buon tratto d'Italia. In questo andare semplice, non turistico, ho condiviso per diverse ore il mio scompartimento con alcune persone che durante lo scorrere del tempo hanno svelato ciò che racchiudevano nel cuore. Come succede a volte, il dialogo è iniziato con semplicità: poche battute, poi l'interesse e l'allegria simpatica di una bambina ha allargato lo stare insieme al gioco, agli indovinelli, a piccoli racconti di vita...
Quando, all'improvviso, la conversazione ha subito un salto di qualità, c'è stato un misterioso rivelarsi dell'anima di ciascuno di noi, un aprirsi vicendevole nella semplicità di un incontro che aveva il sapore di qualcosa di 'guidato' dall'alto, un mettere l'uno nel cuore dell' altro il proprio peso, la sfiducia per un destino inspiegabile, dominato dalla malattia e dall'ombra amara della morte.
Nello spazio ristretto dello scompartimento del treno si è come concentrato tutto un cammino di dolore, di fatica, di angoscia; il fardello di una vita rivelatasi come delusione, assurdo, mistero inspiegabile. Non mi è stato possibile chiudermi di fronte alle persone sedute lì accanto, sono stato costretto a raccogliere la sfida di questo incontro assolutamente non previsto né tanto meno cercato. E mi sono riferito all'infinito mistero del Padre che custodisce, segue, accoglie, è presente accanto ad ogni sua creatura.
Voce femminile
Si veniva tessendo, con quelle persone, la fragile tela di un dialogo fatto di parole schiette, sincere, senza veli: il senso del vivere, il dolore, la malattia, l'amore, i figli, la famiglia, la fede in Dio, Gesù. Il Vangelo, la Vita Eterna... Non era una discussione culturale né tanto meno un abile gioco di parole: le nostre anime erano messe a nudo dalla serietà delle cose, il cuore era obbligato alla sincerità e all'accoglienza senza difese della verità della vita.
E' stata una grande fatica, fino alle lacrime. Ma, nello stesso tempo, per quelle vie misteriose che solo Dio conosce, le parole sono diventate anche cariche di dolcezza, di amicizia, di fiducia reciproca, di desiderio di speranze nuove, di apertura sincera a valori forse solo intravisti. Ma mai raccolti sino in fondo.
Si sentiva chiaramente che tutti eravamo spinti a non chiuderci di fronte al dramma senza soluzioni ne' risposte: si e' parlato del dovere di lottare, di non arrendersi, di essere solidali, di riuscire tutti ad esprimere il meglio di noi stessi, di non lasciarci affogare dall'evidenza 'scientifica' del male. Forse e' stata la prima volta in vita mia che il "caso" mi ha costretto a rivedere velocemente le ragioni vere, le radici della mia fede cristiana.
Alla fine ci siamo lasciati con una specie di "nostalgia": la comunione che era nata lungo i parecchi chilometri di rotaie faceva già sentire il desiderio di prolungare l'incontro. Sono sicuro che rimarremo collegati: il piccolo, meraviglioso filo dell'amicizia non può spezzarsi perché esso è stato tessuto dalle abili mani di un Tessitore unico nel suo genere.
Dal giorno del mio viaggio in treno nuovi volti amati si sono aggiunti alla grande carovana dei miei pellegrini: li porto con me, sono diventati parte di me, del mio cammino. Spero che la paura non vinca mai definitivamente nei nostri cuori. Spero che l'Amore di Dio non ci lasci soli lungo la strada, ma sia pane, vino, acqua, fuoco, energia, nutrimento.
Canto "Imagine"
Imagine there 's no heaven It's easy if you try
No hell below us
Above us only sky 1magine all the people Living for today ...
Imagine there 's no countries It isn 't hard to do
Nothing to kill or die for And no religion too.
Imagine all the people Living life in peace...
Imagine no possession I wonder if you can
No need for greed or hunger A brotherhood of man.
Imagine all the people sharing all the world...
You may say I'm a dreamer But I'm not the only one
I hope someday you'll join us. And the world will be as one.
John Lennon
IIIa PARTE "Beppe e i problemi del lavoro"
da Lotta come Amore, nov. '74
Maria Grazia
Ed ora arriviamo a uno dei temi centrali dell'impegno di Beppe, che corre come un filo conduttore in tutta la sua vita, da quando, giovane seminarista, approdò in Darsena per conoscere un prete operaio, don Siria. Da allora i problemi del mondo del lavoro sono stati i suoi, non solo perché tutta la vita - fino alla mattina della sua morte - ha fatto un lavoro manuale, ma per l'impegno, la presa di posizione forte ed appassionata, mai indifferente, nei confronti delle tematiche operaie.
Le sue parole acquistano particolare significato ascoltate qui, in questa Viareggio che da mesi vive il travaglio della vicenda che ha coinvolto la Sec, uno dei più antichi cantieri navali della città, giunta - con la dichiarazione di fallimento - a un epilogo drammatico, un nodo che sembra veramente difficile sciogliere. E allora occorre stringere il tessuto sociale intorno a questa ferita aperta per frenare l'emorragia della perdita del lavoro, della dignità, del sapere operaio accumulato da anni,
dell'identità sociale ed individuale che non è solo dei lavoratori Sec ma di tutta la città, perché da sempre la loro storia si incrocia con la nostra storia. Ma è soprattutto dal mondo politico
- da quello locale ai nostri rappresentanti in parlamento - che ci aspettiamo venga un'assunzione unitaria e forte di queste problematiche.
Voce maschile
Mi sono trovato a camminare sulla strada, quasi alla testa di un corteo di operai e di studenti in sciopero, portando in mano come segno di protesta, di dolore e di lotta una croce bianca costruita in fretta nella Camera del Lavoro della nostra città. Eravamo in sei o sette a portare la croce per strade poco affollate, in mezzo a gente assai distratta, e che vedendo quello strano segno in cima al corteo non riusciva a capire il suo significato. Infatti, cosa ci sta a fare una croce in una manifestazione di protesta contro l'egoismo di un mondo economico e sociale che tende a scaricare tutto il peso dei suoi malanni sulle spalle della gente più umile?
La gente che era sui marciapiedi e sulla porta dei negozi o dei bar non sapeva certamente che il giorno prima, nel pomeriggio dolce e luminoso del sole d'ottobre, avevamo portato al cimitero un operaio ormai vicinissimo alla pensione, entrato a 17 anni nella grossa officina di riparazioni di carri ferroviari (la FERVET, padrone cattolico con sede centrale a Bergamo), e che da lì era uscito a 56 anni col cranio fracassato dallo scoppio di una binda ad aria compressa che lo aveva ucciso sul colpo. Tutta una vita di lavoro, di sacrificio, di
giornate consumate nella fatica e nell'impegno per il pezzo di pane, la famiglia, i figli (una vita servita come quella di tutto il mondo operaio alla ricchezza e alla star bene di pochi): ora era lì, chiuso dentro la bara, col volto sfigurato, le labbra sigillate nel silenzio che in pochi attimi era calato su di lui dalla macchina che stava cercando di riparare.
La fabbrica e' diventata campo di battaglia, dove uno va e non sa se la sera potrà ritornare a casa: e questo non per il destino che pesa sulla fragilità della vita di tutti, ma per il lavoro diventato un pericolo di morte anziché un'opera di vita.
Voce femminile
E ad aumentare la tristezza e quasi l'angoscia di quel momento c'era senza dubbio l'amarezza di non aver visto tutti i compagni operai delle fabbriche e dei cantieri della città a quel funerale. Avevo tanto desiderato che alle tre del pomeriggio i cancelli di tutte le officine si aprissero per lasciar scorrere il fiume di operai che si dirigevano così com'erano all'obitorio dell'ospedale per l'ultimo addio ad un compagno caduto sotto un carico così pesante. Uno di famiglia, uno di casa, un parente nel senso più profondo della parola; perché non c'è solo la carne e il sangue a renderei prossimi, ma tutta una vita, una condizione umana, un modo di consumare la propria giornata, un medesimo destino, una stessa sopraffazione e una stessa lotta... Non potevo sopportare che in quel momento le fabbriche funzionassero, i cantieri fossero attivi e tutto procedesse normale come se niente fosse successo. Ma i miei compagni non c'erano - solo pochissimi in confronto all'insieme dei cantieri e delle officine. Ed io portavo la croce bianca come un segno di lotta, una volontà di non accettare e di non rassegnarsi a questo mondo assurdo e oppressore, un desiderio profondo di respinta di tutta la disumanità e l'ingiustizia che grava sulla vita quotidiana di tanta povera gente.
Mi ci tenevo stretto a quella croce e non riuscivo a guardare nessuno lungo la strada: avevo davanti agli occhi quella bara scura, quella tomba aperta, quel gran mucchio di terra che s'era portato via una vita intera di lavoro, di sacrifici, di tanto amore. E allora la mia croce bianca mi pareva si tingesse di rosso, come di sangue vivo, e diventava un grido di dolore a lacerare come spada l'orgoglio, la disumanità dei ricchi che campano succhiando il sangue dei poveri.
Canto "Uguaglianza"
Ti ho visto lì per terra al sole del cantiere
Le braccia e gambe rotte dal dolore.
Dicevan ch'eri matto Ma debbo ringraziar la tua pazzia.
Ti ho visto lì per terra.
Poi ti ha coperto il viso La giacca del padrone che ti ha ucciso.
T' hanno nascosto subito
Eri per loro ormai da buttar via.
Ci dicon siamo uguali,
ma io vorrei sapere:
uguali davanti a chi
uguali perché e per chi?
E' comodo per voi dire
che siamo uguali
Davanti a una giustizia partigiana.
Che è questa giustizia, se non la vostra guardia quotidiana.
Ci dicon siete uguali, ma io vorrei sapere:
Uguali davanti a chi Uguali perché e per chi?
E' comodo per voi che avete in mano tutto
Dire che siamo uguali davanti a Dio.
E' un dio che è tutto vostro;
E un dio che non accetto e non conosco.
Dicevi questo e altro e ti chiamavan matto
ma quello in cui credevi verrà fatto.
Alla legge del padrone risponderemo con rivoluzione.
Paolo Pietrangeli
IVa PARTE "Beppe e le ingiustizie nel mondo"
da Lotta come Amore, giugno '72
Maria Grazia
Siamo giunti all'ultima parte, dedicata al rapporto fra Beppe e i popoli oppressi. In un suo articolo apparso nel gennaio 1994, scriveva: "non riesco a rassegnarmi al dominio assoluto della legge del più forte; allo strapotere spudorato del denaro; non posso chinare la testa di fronte alla inevitabilità della guerra o alla necessità di costruire armi. Non posso e non voglio abituarmi alla tragedia quotidiana di milioni di uomini e donne sottoposti alla frusta della fame, del disprezzo della morte"
Voce maschile
Quando ho saputo dal giornale che a Roma, per un'intera settimana, si sarebbero riuniti tutti i vescovi italiani in discussione comune sull' impegno della Chiesa per portare avanti l'annuncio del Vangelo, sono partito per unirmi a loro.
Mi sono mescolato per qualche giorno alle loro assemblee nella tranquillità della "Domus Mariae " (che tutto può essere meno che " Casa di Maria ") perché mi ero messo in testa di incrinare, anche se appena appena, quel loro tranquillo radunarsi, gettando nel loro cuore un fascio di preoccupazioni che per milioni di uomini sono una crocifissione quotidiana. Pensavo che in qualche modo l'appello avrebbe dovuto far breccia, trattandosi di uomini chiamati a continuare la missione apostolica.
Infatti, come può un cristiano non sentire arrivare, tra le righe delle notizie passate dalla stampa, il grido terribile di tutto un popolo violentato nel suo diritto alla libertà e alla vita da chi è talmente potente da poter decidere la carneficina di un'intera nazione o l'abbrutimento di coloro che
- affamati e assetati di giustizia - lavorano per la liberazione e la dignità della propria gente?
Ci rivolgevamo ai vescovi con una domanda precisa: dare un appoggio pubblico e comune alle denunce fatte da altri fratelli vescovi per creare un movimento di opinione. La richiesta era per il Vietnam e per il Brasile; certo, se avessero voluto, anche per la Grecia, la Lituania, la Palestina, il Sud-Africa, il Burundi, l'Irlanda, il Mozambico, e tutti gli altri calvari aperti: perché ci sono delle croci che hanno braccia enormi e i cui crocifissi non si contano più ed hanno il volto di madri, di bambini, di vecchi, di poveri soldati ingannati e mandati al macello.
Ho cercato di tenere in vita la piccola speranza che mi portavo dentro, mentre continuavo a reggere il fragile tessuto dei poverissimi contatti che sono riuscito ad avere con i vescovi più attenti all'uomo ferito dai banditi lungo il viaggio da Gerusalemme a Gerico.
Voce femminile
Ho sperato fino all'ultimo, anche se mi rendevo ben conto dei mille ritrovati della sapienza umana che sa difendersi dal grido dei poveri e trova le ragioni giuste per voltarsi dall'altra parte della via e non vedere il sangue uscire dalle piaghe di chi rantola colpito a morte. E mi ricordavo con profonda tristezza che Gesù aveva detto che proprio un sacerdote e un levita sulla strada di Gerico" passarono oltre, dopo averlo visto" .
Nemmeno una parola è stata spesa per problemi così seri, non un accenno in quell' arido e inutile comunicato finale che i vescovi hanno firmato e diffuso. Tutto è scivolato via come acqua sul marmo. Certamente i vescovi avevano i loro problemi, non quelli di Abele colpito dalla violenza omicida dei propri fratelli.
Ci sono delle cose che si possono sperare, ma, che non si possono pretendere. Così me ne sono tornato a casa, a mescolare la vita con la povera gente di tutti i giorni, dopo aver fatto un 'viaggio inutile. Un viaggio, però, che non mi ha impedito di sognare ancora più profondamente un cielo e una terra nuovi; una Chiesa nuova che lo Spirito sta costruendo fra quelli che non contano nulla, fra gli ultimi, fra i senza potere, fra i miti e gli affamati di Giustizia.
Una Chiesa fatta di uomini dal cuore largo, capace di contenere il vino nuovo del Regno di Dio e di raccogliere le lacrime del povero che incontra appena fuori dall'uscio di. casa, come l'angoscia disperata di chi è bruciato dal napalm a migliaia di chilometri di distanza.
Poiché questo è l'unico Vangelo che porta la Liberazione, l'unico Sacramento che fa germogliare la Salvezza fra le zolle di una terra sempre più bagnata dal sangue e inaridita dall'ingiustizia.
Canto "O popolo morto"
O popolo morto
Rialza la testa
Riaccendi il tuo cuore
A fiamma d'amore, riaccendi il tuo cuore a fiamma d'amore
La morte non chiude la storia
E il rosso di sangue
Non è rosso di sera
Ma è porpora in cielo
D'aurora più bella.
o popolo morto...
Venite compagni, venite
Lasciate cadere ciò che divide
Che impotenti e nemici
Tutti ci rende.
Don Sirio "Una fede che lotta" '73
Conclusione
Maria Grazia
Questo era Beppe, cari amici, le parole che abbiamo ascoltato descrivono il suo modo di rapportarsi alle persone, di stare al mondo. Il suo è stato uno stile particolare di vivere, nel quale, con semplicità miracolosa, ha tenuto insieme diverse polarità. La prima coppia di opposti che lo hanno abitato l'abbiamo vista emergere a tutto tondo nel suo rapporto con i bambini: era per loro insieme padre e madre, l'uomo che, abbiamo visto, resiste, la donna che accudisce. Nei lunghi anni dedicati al prendersi cura, ma anche in seguito, Beppe non ha avuto timori ad attingere liberamente anche alla parte femminile di sé. Esistono altre coppie di opposti intorno ai quali ha lavorato? mi sono domandata. Una mi è parsa delinearsi prepotente: quella dell'adulto e quello del bambino, che ha vissuto in sequenza, l'uno dietro l'altro, rovesciando l'andamento naturale della vita. Lo ha fatto attraverso una modalità tutta sua, come camminando sul filo di una sponda, un crinale che lo ha lentamente modellato come il bambino di Dio.
Ha fatto parte dei puri di cuore dei quali parla il Vangelo.
Ma come si fa a diventare semplici come bambini? mi chiederete. A porgere l'orecchio all'annuncio, seguendo una sapienza altra. Ebbene, non certo volando, né saltando; non transitando d'un fiato dall'essere adolescenti affollati di sogni, in cerca della vita, al rientrare nel grembo della madre per potere rinascere. Occorre, al contrario, il coraggio di vivere fino in fondo, compiere il tragitto che ci porta a diventare adulti, assumerci responsabilità. Stare. Esserci: solo dopo avere compiuto tutto questo è possibile abdicare all'essere adulti. Capovolgere la realtà nell' abbandono fiducioso e con un movimento lieve rinascere, sì, ma dal grembo della vita.
È questo che intende il Vangelo quando ne parla.
E lui l'ha fatto: leggero, sorridente, affidato, facendo e lasciandosi fare (altra coppia di
opposti). .
Diceva, sempre in quell'articolo del 1994 che ho citato poco fa: "... so con sicurezza umile ma ferma che è possibile rinascere, rifiorire" .
Uno dei modi che aveva trovato per farlo, l'apertura magica per entrare nel grembo della vita era la povertà.
Scriveva: "Vorrei di nuovo incontrare la Povertà sulla mia strada, per essere preso fra le sue braccia, portato per mano, condotto dolcemente da lei dove è possibile incontrare la vera novità di tutte le cose. Perché, forse, è l'unica amica sincera che ci conduce, in verità e novità, all'incontro autentico con Dio. Senza di lei anche la Chiesa brancola nel buio e illumina scarsamente la via. Certo, è importante anche lo splendore della verità, ma la sua luce può ferire profondamente gli occhi e il cuore.
Lo splendore della povertà, invece (attraverso la quale lui è passato), è colmo di dolcezza, di infinita tenerezza, di semplicità, di accoglienza rispettosa e fraterna, disinteressata e leale verso l'altro."
Oggi noi siamo qui insieme, riuniti nel ricordo di lui. Ma perché il nostro non sia l'atteggiamento dei bambini che guardano con occhi sgranati a qualcosa di bello ma irraggiungibile, dobbiamo, come si diceva all'inizio, proseguire nella vita mettendo mano all'aratro. Perché il tempo passa e non dobbiamo fame trascorrere troppo.
C'è un da fare che ci aspetta, opere da compiere in suo nome che abbiano il sapore delle cose da lui amate, ma anche il nostro, quello delle nostre vite, cambiate dall'incontro .
C'è un invito che voglio rivolgervi: mettiamo mano a un processo e a un progetto nel quale aiutarci vicendevolmente ad essere padre e madre, adulto e bambino. Qualcosa di grande, che abbia il respiro cittadino e dia conto di quel particolare rapporto di rispecchiamento reciproco che ha unito don Beppe a Viareggio. Negli anni trascorsi, guardandolo vivere riconoscevamo in lui una parte del nostro cuore che è spesso sottaciuta: la vedevamo viva e liberata, apprendevamo che i nostri sogni più cari
possono tradursi in realtà.
E allora continuiamola, questa realtà, mettiamoci fiduciosamente al lavoro.
Ho il sogno di creare una 'Fondazione Don Beppe' dove ci sia spazio sia per proseguire una lettura della sua vita - come quella che andiamo facendo in questi appuntamenti annuali - sia la realizzazione concreta di un progetto. lo ne ho in mente due o tre, di possibili programmi, ne ho parlato con don Luigi e abbiamo pensato di farcene promotori come Chiesetta. La stampa stamani ne ha parlato e perciò ve ne accenno volentieri: avrei pensato a una mensa popolare, non per i poveri, badate bene, ma aperta a tutti noi, dove le persone più diverse possono stare insieme attorno a un mangiare semplice, accessibile a un prezzo politico, come si diceva una volta.
Oppure si potrebbe realizzare un dormitorio per chi vaga senza casa, anche qui dovremmo sapere
mettere su qualcosa di un po' particolare nell' ospitalità offerta. O infine potremmo creare un luogo, come era stata la sua Bottega della paglia, ricordate, dove tanti di noi hanno collaborato o si sono semplicemente affacciati, che sia un posto di incontro e di scambio di persone e di cose e perciò di relazioni e di fare...
Vi propongo, prima di uscire, di lasciarci il vostro nome cognome e indirizzo: in fondo alla chiesa troverete un tavolino, dei moduli, delle penne e tre obiettori di coscienza che sono lì per aiutarvi. In primavera abbiamo intenzione di invitarvi un fine settimana per scambiarci idee e punti di vista. Perché prima di procedere occorre prima di tutto confrontarci, parlare ed anche voi, in quella sede, potrete raccontarci i vostri progetti. L'apporto di ognuno sarà prezioso: idee, tempo da donare, capacità specifiche, slancio del cuore, decisioni consapevoli: di tutto avremo bisogno.
Ecco, siamo giunti alla fine della serata, è venuto il momento di lasciarci, fra poco il coro canterà "We shall overcome" una bellissima canzone che conosciamo un po' tutti e da cantare insieme. Mentre vi attarderete a firmare sarete accompagnati dalla musica di "Semina la Pace".
Poi a poco a poco ci saluteremo e sciogliendoci ci avvieremo verso casa. Ma lasciamoci con questa promessa reciproca: creare a Viareggio qualcosa in nome di don Beppe!
Maria Grazia Galimberti
We shall overcome, we shall overcome,
we shall overcome, some day
Oh deep in my heart, I do believe
we shall overcome, some day
We are not afraid, we are not afraid,
we are not afraid, today
Oh deep in my heart, I do believe
we shall overcome, some day
We are marchin' on, we are marchin' on,
we are marchin' on, today
Oh deep in my heart, I do believe
we shall overcome, some day
We'll walk hand in hand, we'll walk hand in hand, some day
Oh deep in my heart, I do believe
we shall overcome, some day
Black and white together, black and white together, some day
Oh deep in my heart, I do believe
we shall overcome, some day
We shall live in peace, we shall live in peace, some day
Oh deep in my heart, I do believe
we shall overcome, some day.
in Lotta come Amore: LcA aprile 2001, Aprile 2001
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455