La posta di fratel Arturo

Gli avvenimenti del mondo cattolico mi persuadono sempre di più quanto sia giusta la stizza di Lévinas contro la "mistica". Molti, troppi avvenimenti pescano nell'invisibile e nell'extra-razionale, per non dire l'irrazionale, mentre sembrerebbe urgente concentrare tutta l'attenzione sulla società visibile che appare sempre più divergente da criteri di giustizia. Anche le numerosissime canonizzazioni della Chiesa possono essere accolte da un cattolico praticante come assicurazioni che le persone che vengono iscritte nel catalogo godano la pace e l'infinita beatitudine del cielo, non sempre come modelli di vita e criteri di scelte di giustizia. Ad ogni notizia di nuovi beati e nuovi santi, penso al verso di Dante sulla fortuna: "ma ella s'è beata e ciò non ode". Suppongo che il nuovo beato, o la nuova, sia felice fra il tripudio permanente degli angeli; ma intanto quaggiù affondiamo sempre di più nella palude. La stizza verso la mistica viene spontanea perché il Dio biblico, quello stesso che Gesù ha accolto, obbedito e glorificato, è certamente invisibile, ma non tanto preoccupato della corte celeste, quanto della sua famiglia, così scandalosamente divisa, ingiusta e senza pace qua sulla terra. Testamento vuoi dire alleanza e alleanza vuoi dire camminare insieme per raggiungere un certo obiettivo terreno, storico, visibile... tutt'altro che "mistico". Con questo patto Dio s'impegna a svelarsi, a farsi vedere attraverso le operazioni di giustizia, cioè attraverso quei movimenti individuali o collettivi che muovono le persone umane verso una convivenza pacifica. E questo suppone la fine delle relazioni di dominio, di sfruttamento, di inquinamento della vita di cui Dio è l'unica fonte. Tutte le altre manifestazioni di Dio sono discutibili, spesso sono patologiche, quella scelta da Lui è la sua vera unica traccia. Allora che pensare di tutta la mistica cristiana e dei mistici che ci hanno parlato della "familiaritas magna nimis", come la definisce l'autore dell'Imitazione di Cristo? Sono stato un appassionato lettore di quelle esperienze di comunicazione che questi pellegrini dell'infinito intrecciano con l'Essere. Credo che in questo momento storico - di una cultura che muore e una che appare come una di quelle aurore che stenta a farsi cammino in un cielo di piombo - questi testimoni di Dio, siano quelli che indicano la vera traccia che marca il suo intervento nella nostra storia. Più necessari oggi che in altri tempi perché, come sempre accade nel tramonto di epoche storiche, in mancanza di obiettivi chiari e di guide esperte, di cammini percorsi, pullulano mistiche e pseudomistiche, forme patologiche di spiritualità e iniziative di spiritualità che tradiscono l'impazienza per i ritardi. Il popolo dell' Alleanza non teme di lanciare le sue proteste a quella verità che si è espressa con parole umanamente chiare: "lo sono il tuo Dio e tu sei il mio popolo" e ora gli avvenimenti sono così tristi che ci sentiamo autorizzati a pensare che il Protettore dorma o abbia perduto la memoria.
I veri mistici sono riconoscibili da certi tratti di somiglianza con quelli del Figlio, modello unico, l'ebreo centrale, come lo definisce Martin Buber, l'uomo centrale diciamo noi suoi discepoli. E la caratteristica rilevante del Figlio è quella di sentirsi scelto per essere lo strumento di operazione del Padre. Per me Gesù è scolpito in queste poche parole del Vangelo di Giovanni: "Il Padre mio opera sempre e anch'io opero" (Gv 5,17). E allude a quell'operazione di salvezza, di riscatto di opere umane prodotte dall'egoismo e dall'orgoglio che guastano la creazione, che sono di ostacolo al progetto del Creatore.
E una operazione che è ricostruzione, redenzione, salvezza, risanamento che avviene nel cuore della persona e nel teatro del suo agire, nel centro dell' essere e nella proiezione del fare. L'operazione di cui parla il Vangelo ha una dimensione misteriosa, invisibile e una dimensione visibile, relazionale che è politica, economica, estetica, conviviale. Il vero mistico vive quest' operazione di riscatto, di ricostruzione della vita come esce dalle mani di Dio, nella sua storia personale. Generalmente conserva molti tratti della fragilità di ogni mortale, ma non può non essere un assetato di giustizia. Il segno inconfondibile che l'esperienza di Dio sia vera e non patologica, schizofrenica, è la capacità di vedere in chi e dove si nasconde l'intenzione degli empi. La grande novità che attendiamo con molta speranza è proprio questa: che la mistica, la santità, tutte le misteriose trasformazioni che si afferma avvengano nella regione dello Spirito, dallo spirito entrino nelle opere. "Io ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato" (Gv 5,36).
La trascendenza o si fa immanenza, cioè visibile, o non è vera.
fratel Arturo
da Rocca n. 19/1 ottobre 2000
(Ho incontrato Arturo questa estate una sera trascorsa in modo piacevole alla tavola di Maria Pia e Camillo Pacini insieme ai figli, alle loro mogli e mariti con tutta un'allegra banda di nipoti arrampicata sugli alberi intorno. E abbiamo parlato, tra l'altro, di queste cose)



in Lotta come Amore: LcA dicembre 2000, Dicembre 2000

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