"Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi".
Questa è la nozione chiara della Resurrezione che traiamo dall'episodio narrato nel Vangelo di Luca (28,27-38).
I Sadducei erano scettici di un certo livello, soprattutto riguardo alla resurrezione, e pongono a Gesù questa domanda, dopo aver raccontato l'episodio di quella vedova che sposò uno dopo gli altri sette fratelli senza aver mai avuto figli da nessuno di loro: "Dopo la resurrezione di chi è moglie questa vedova?"
Quest'interrogazione è ironica, fatta con il sorriso sulle labbra. Gesù pare non rispondere sul serio, come ha fatto sempre quando si è trovato davanti gente piena di cattiveria e di malizia.
Essi ragionano con uno schema sbagliato riguardo a cose che in questo momento ci sfuggono.
Noi viviamo nel tempo, nello spazio, nei confini della finitudine, nel contingente e tutto il nostro modo di ragionare ne risente. Il "dopo" non lo possiamo descrivere con gli stessi termini: è inadeguato il nostro modo di accostarci al mistero che ci avvolge e il mistero della nostra carne dopo la morte è imprevedibile.
E' impossibile ragionarci sopra se non cadendo nel ridicolo, nel modo subdolo e sardonico insieme dei Sadducei: "Che faremo nell' eternità, in cielo?".
Usiamo un modo di dire che è della terra. Abituiamoci invece a vivere nel mistero della vita del domani.
Non possiamo immaginarci quel che saremo un giorno quando saremo immersi nell'infinito di Dio, immersi nell'Essere. Che sarà l'amore, che sarà la gioia, che sarà un giorno la felicità?
No. Sarà diverso.
Immaginiamo che saremo in Dio, ma la speranza che riempie il nostro cuore non sarà mai compiuta sulla terra. Come la filosofia non riuscirà a rispondere a tutte le domande del mio spirito e neppure la conoscenza di Dio su questa terra riuscirà a saziare la mia voglia di Lui.
Non pensiamo come i Sadducei, questa gente che si considera intelligente e che alla fine risulta sconfitta: "Ti ringrazio, Padre, perché hai nascosto queste cose, inimmaginabili e grandi, ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli!" .
Esplorare il mistero a fondo è accoglierlo nella nostra vita come una grande ricchezza. Accogliere il bisogno di assoluto, di un Dio che ci sfuggirà sempre e che desidereremo sempre cercare di raggiungere.
In fondo è questa la preghiera: rincorrere Dio con tutto il desiderio. Come dice S. Paolo: "Cerco di conquistarlo, ma più mi avvicino, più si allontana". Corre S. Paolo, non materialmente, ma con tutto il suo desiderio. E S. Agostino ugualmente dice: "Man mano che si rivela, hai sempre più voglia di Lui; più Lo conosci, più si allontana" .
Questo desiderio di Lui è la nostra ricchezza: non sappiamo cosa saremo; se lo domandano i Sadducei. "Non vi saranno più i rapporti che sono sulla terra, non vi sposerete, non ci sarà più il tempo, lo spazio, questa gioia sempre precaria, come la salute, l'amore... Il paradiso è il tutto infinito, la vita in assoluto con il Dio dei viventi, la gioia infinita. Il nostro essere sarà finalmente inserito nell'Essere totale: saremo "in-diati". Perché il dolore che opprime l'uomo sulla terra? Perché l'ingiustizia, la solitudine, perché questo vivere in modo invivibile, questa voglia di gioia mai esaurita, quest' amore cercato e mai soddisfatto?
Accettiamo il mistero. Poi, saremo collocati in Dio e il mistero in lui scomparirà: avremo una risposta al dolore, alla voglia di gioia, al bisogno di amore...
Questa è la risposta di Gesù alla stupida domanda dei Sadducei: viviamo il mistero dell'oggi come grande speranza del domani!
Omelia sull'episodio narrato in Luca 2 e registrato durante la messa nella Chiesa di Marignolle (Firenze)
in Lotta come Amore: LcA luglio 2000, Luglio 2000
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455