Impadronirsi di una eredità. Negare la storia di generazioni; ogni storia d'uomo e donna; la possibilità della relazione: affermare il proprio diritto uccidendo quello degli altri, uccidendo l'altro da sé.
Padri che mangiano i propri figli fin nel ventre della madre. Che si credono protetti dal muro della vigna eretto a confine invalicabile della propria autosufficienza. Muro di una terra espropriata da ogni possibilità di amore, di vita, di fruttificazione.
Eventi quotidiani: gli "scarti", le bocche da sfamare, gli occupanti di una terra destinata a fruttare oro se liberata per infrastrutture al servizio della tecnologia piuttosto che alla convivenza, coloro che sotto la soglia minima di reddito non interessano neppure al più decentrato dei mercati, ecc. ecc. Rifiuti umani, 'desaparecidos' , rifugiati, deportati. Campi di raccolta destinati a divenire inceneritori di ogni residua dignità umana, sovraffollati all'inverosimile, spesso veri e propri carri bestiame dai quali si può sperare solo di fuggire. Una fiumana di umanità che scompare come inghiottita dalle insaziabili gole carsiche della sete di normalizzare, risolvere, passare oltre. Rimanere ben saldi nella certezza dello sviluppo, del progresso, della benedizione divina ai cavalli di razza.
Ricordo la costruzione di muri a secco; i cumuli delle pietre, ognuna carezzata dallo sguardo prima, dalle mani poi, del "costruttore". Mani robuste, increspate da pieghe indurite della pelle consumata dall'uso; mani dalla presa dolce e sicura insieme. Mani segnate dalla cura: cura di sé, della pietra, del muro destinato a crescere con sapiente lentezza perché non si può essere avventati o approssimativi specie quando l'opera è impegnata al contenimento nel tempo di masse di terriccio friabile e slegato dal contatto sicuro con la roccia.
Gesù è sepolto nel mucchio delle pietre scartate dai "costruttori" di questo "secolo". L'espulsione dalla "città degli uomini" non è un evento di duemila anni fa. Essa continua sempre uguale a sé stessa, perché la storia di Dio non sa che ripetere un'unica Parola nella storia degli uomini segnata dalla babele delle parole. Fino a suscitare la fiducia che questa infinita condanna allo "scarto", più che dalla forza devastante della esclusione umana sia guidata dall'energia vivificante dell' Amore di Dio.
I seguaci di Gesù sono confusi da questo Amore. Spesso, nella storia umana, hanno creduto e credono di aver finalmente trovato la "pietra angolare" su cui impostare edifici capaci di resistere al tempo e imprigionare l'eternità. Mettere Gesù al centro della vita nasce come istanza di spiriti liberi, desiderosi di percorrere l'avventura della vita con forti motivazioni e ideali. E' necessario però fare attenzione. Gesù non sta mai al centro e le situazioni in cui la sua figura è centrale sono legate ad un "decentramento strutturale": dai primi vagiti in una grotta, tra un bue e un asinello, alla croce tra due ladroni. Il "re" fugge, si nasconde, obbliga al segreto i suoi amici. Si ritrova con loro ed entra mentre stavano "a porte chiuse": non vuole archi di trionfo, non ha soglie di millenni da varcare. E' lui "la porta" di una umanità senza casa, senza difesa, senza proprietà, senza diritto, senza terra.
Di quale edificio in costruzione è dunque pietra angolare il Cristo "scartato"? Di una chiesa impegnata a salvaguardare la propria visibilità sociale, "edificio" che rivendica la propria indipendenza territoriale, "città di Dio" costruita secondo i criteri della "città degli uomini"? I confini di questo "sacro" sembrano sempre più nudi di fronte agli occhi disincantati di chi, nella vita, si lascia coinvolgere da un autentico bisogno di "salvezza". Uomini e donne che si lasciano portar via da ogni esigenza di affermazione di centralità e si incontrano e si ritrovano nel "mucchio degli scartati" , nella fiducia che questo sia al centro dell' Amore di Dio, sembrano incarnare l'accoglienza della Parola e la fede che ne deriva. Immersi in quel nascondimento e in quel "segreto" che Gesù esprime nella sua povera avventura umana al di fuori di ogni importanza e, nello stesso tempo, così profondamente radicata nel cuore della vita del mondo.
in Lotta come Amore: LcA febbraio 2000, Febbraio 2000
Luigi Sonnenfeld
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