Sotto Natale, in uno di quei "tempi morti" che le feste regalano ad un solitario come me, mi sono messo a rileggere alcuni giornali che avevo accumulato sulla panchetta di cucina. Tra gli articoli che ho ritagliato per leggerli poi con calma, uno di Guglielmo Ragozzino su "Il Manifesto" di venerdì 17 dicembre 1999, intitolato "Esseri umani sulla strada". L'articolo presenta un libro dal titolo "Un uomo chiamato Clochard. Quando l'escluso diventa l'eletto" (Edizioni Lavoro).
Gli autori sono Michel e Colette CollardGambiez.
"Michel e Colette sono due francescani e sono anche marito e moglie. Lui ha lasciato il convento per stare con i poveri, i reietti della società, i senza casa. Colette, per la sua vocazione a stare a contatto con chi soffre, ha scelto di fare l'infermiera piuttosto che il medico, ciò che le sarebbe riuscito per studi e condizioni familiari. I due si sono incontrati, hanno deciso di proseguire insieme, si sono sposati con un gran pranzo nei bassifondi, per il quale decine di poveri avranno rovistato nei cassonetti, per poi finire in una bevuta generale - tollerata dalla regola dei francescani da strada - e la consueta ricerca del rifugio dove passare la notte".
Mi ha colpito questa storia, nella sua semplicità. Cos' altro chiedere ad un giovane che entra in convento e si fa frate? E a una giovane capace di mettere a frutto tutta la sua intelligenza e il cuore nella professione di medico? Avrebbero potuto, entrambi, chiudersi nella propria vocazione. E, invece, questa loro vocazione iniziale non rappresenta un punto di arrivo, una risposta data una volta per tutte, cui essere fedeli fino alla morte. La fedeltà di una vita come quella di Michel e Colette, si esprime nella risposta di ogni giorno ad una chiamata sempre nuova. Certo, nel nostro modo usuale di parlare, ancora oggi si dice che Michel ha perduto la vocazione. E che Colette ha sacrificato la sua per amore dei poveri.
In questi nostri modi di dire la parola "vocazione" viene sancita l'appartenenza alla parte nobile della società e la conseguente liberazione dell' istanza spirituale dalla necessità materiale. L'approdo a una posizione sociale che tutti si augurano definitiva, scandita dagli scatti di carriera e dalle ricorrenze in cui rendere grazie a Dio per essere stati integrati in modo permanente nell'ordine costituito. Vocazione come "status"; tutt'altra cosa dalla vocazione come chiamata sempre viva nella storia personale e dell'umanità.
Perché in quest'ultimo significato, ciò che Michel e Colette non hanno perduto né sacrificato, è proprio la vocazione. E cioè la risposta sempre nuova a ciò che la vita giorno dopo giorno propone loro, invitandoli ad essere sempre più solidali con la parte debole dell'umanità. A questa fedeltà sostanziale sembra proprio che non abbiano rinunciato. Anzi, il loro incontro avviene proprio a seguito del percorso personale di ciascuno in ordine a questa fedeltà, l'unica per loro irrinunciabile.
in Lotta come Amore: LcA febbraio 2000, Febbraio 2000
Luigi Sonnenfeld
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