Leggendo da ragazzo "I Malavoglia" del Verga, piansi al racconto di 'Ntoni che ritorna in carcere. La sorella vorrebbe trattenerlo e lui restare, ma 'Ntoni sa che deve andare. Uscito di casa si ferma nel buio e attende che si chiuda la porta. Lo sbattere dell'uscio alle spalle segna la rottura definitiva dal suo passato, dalla sua radice...
Se visiterò San Pietro nell'anno giubilare, è probabile che non entri nella basilica dalla porta santa, per evitare code. Ma il "vuoto" creato da questa porta che si apre è importante. Ne parlo spesso con gli amici che chiedono le ragioni della mia pace.
So di appartenere ad una famiglia ricca. E non parlo di ricchezze materiali, ma di quelle dottrinali, accumulate dalla sapienza dei padri, dalla speculazione dei dottori, dalle suppliche dei santi. Ma io vivo con poco, e questo mi riempie di gioia. Vivo in due stanze senza immagini. Eppure questo vano, come quello della porta santa, non dà sul nulla. E vorrei che le porte dei vescovadi, seminari, monasteri, nunziature e sacre congregazioni, dove si decidono gli orientamenti della chiesa, si aprissero sul mondo vero, dove il tempo si fa storia.
A un rettore di un seminario teologico ho chiesto se non sarebbe opportuno, invece di inviare i chierici nel fine-settimana alle parrocchie per fare pastorale, orientarli verso le case di raccolta dei bambini di strada, verso i giovani malati di aids, verso famiglie che vivono nelle baracche. Le disposizioni di Roma pare che non lo permettano. Così i portoni continuano a difendere il privilegio. La porta santa potrebbe essere il simbolo dell'apertura sul mondo reale, dove il peccato umano non è più un'entità spirituale invisibile che si presume di cancellare con un segno di croce, ma un fenomeno drammatico, un vero segno di morte. Ho notato persone impallidire, quando nelle "favelas" hanno visto con i loro occhi i segni chiari dell'assenza di amore.
Quelli che decidono i metodi di formazione e clericalizzano i giovani, che saranno sempre incapaci di distinguere diritti da privilegi, dovrebbero riflettere se la formazione non sia molto prossima all'alienazione e alla distruzione di una vera identità.
Forse non ci chiediamo mai seriamente perché il Cristo risorto mostri le piaghe aperte. Vuol fare solo un riferimento ai modi con cui l 'hanno giustiziato o anche alle piaghe del suo corpo mistico che restano aperte e sanguinanti?
E' possibile conoscere Gesù senza mettere le nostre mani nel suo costato aperto?
La porta del giubileo che si apre mi ricorda, per contrapposizione, quella che si chiude alle spalle di 'Ntoni. Ho incontrato tanti fratelli e sorelle che hanno confessato di aver sentito sbattere alle loro spalle (e per sempre) una porta definita santa.
Nel giubileo la porta santa diventa come il luogo della decisione. Il papa la interpreta come il passaggio per raggiungere Cristo, la sua grazia. Ma una porta è anche il varco da cui si esce. So che dalla basilica nessuno potrà uscire per la porta santa. Però è necessario uscire nel mondo, senza abdicare alle proprie responsabilità.
Risuonano le parole di san Paolo: "Cristo patì fuori della porta della città [città santa, porta santa]. Usciamo, dunque, anche noi dall'accampamento e andiamo verso di Lui portando il suo obbrobrio" (Eb. 13, 12-13).
Se uno vuole incontrarsi col Cristo carico di vergogna, la cosa è facilissima: basta andare incontro agli esclusi, agli sbattuti fuori dalla porta.
Per i più la porta santa resterà a senso unico, e forse la grazia che riceveranno sarà il sorgere di antiche angosce, segno di non aver trovato il cammino verso il luogo dove oggi Gesù è crocifisso. Solo questo sfocia nella pace promessa.
Fratel Arturo
da "Missioni Consolata" gennaio 2000
in Lotta come Amore: LcA febbraio 2000, Febbraio 2000
Luigi Sonnenfeld
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