Pacifismo? No, grazie

Vedo che Filippo Gentiloni, stimato amico, scrive sul pacifismo in crisi (Rocca, 1.5.99, pp. 16-17). Certo, la pace è in crisi fin quando non sarà sistema. Ma io rifiuto il concetto di pacifismo e di pacifisti (parole inventate dai guerrafondai, diceva Balducci). Ne conosco diversi tipi.
C'è il pacifismo vile, di chi vuole una qualunque pace, magari a spese altrui; è quello di Monaco 1938, a spese della Cecoslovacchia! E meglio la violenza per una causa giusta che la viltà, insegnava Gandhi. Ma aggiungeva che non c'è solo questo dilemma: c'è la non violenza dei forti (non dei deboli), giusta ed efficace (Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi pp 18-19).
Poi c'è il semi-pacifismo: no a questa guerra, sì a quest' altra; no alla tua guerra, sì alla mia; no alla violenza dell'oppressore, sì a quella del ribelle o del liberatore. Il fatto è che la violenza non libera mai davvero nessuno, lo rende solo imitatore del precedente oppressore.
Terzo, c'è il pacifismo vero e proprio: rifiuta ogni guerra. E' scritto nell' art. 11 della nostra grande Costituzione e nel proemio della Carta delle Nazioni Unite. Va bene, ma non basta. La guerra non è l'unica violenza, è solo il risultato distruttivo e cruento di tutte le altre forme di violenza. Perciò ripudiare la guerra non basta.
La nonviolenza combatte anche le altre violenze, quella Strutturale (nell'economia, nelle leggi) e quella culturale (nelle menti, nell'informazione, a giustificare le altre violenze). Anzi, la maggior parte delle lotte non violente è sempre stata contro queste violenze, più diffuse e frequenti della guerra. Solo la cultura non-violenta ha sviluppato e sta sviluppando le alternative di fondo alla guerra, perché non agisce solo sul piano giuridico istituzionale, ma sviluppa, a livello interiore, culturale, politico, strategico, tecnico, teorico e pratico, le basi della difesa dei diritti umani, della lotta a tutte le ingiustizie, senza uso di mezzi violenti, che seminano violenza nel risultato anche quando l'intenzione è giusta.
La vera alternativa alla guerra non è l'ambiguo pacifismo, ma la non violenza. La quale assume il conflitto, non lo elude, anzi lo solleva quando è celato, ma lo conduce in modo costruttivo invece che distruttivo (cfr. Arielli-Scotto, I conflitti, Bruno Mondadori 1998).
Direi a Gentiloni: la non violenza non si misura nei saltuari cortei pacifisti; essa è una ricerca ed esperienza continua, crescente negli anni. Il '900 è il secolo della grande violenza e anche della non violenza efficace in tante grandi prove.
Davanti all'attuale guerra, c'è dolore, ma l'"imbarazzo" dei nonviolenti. Eravamo noi a conoscere e sostenere il movimento di Rugova in Kosovo, mentre la politica internazionale lo ignorava e lo abbandonava, bruciando una forte alternativa alla guerra. Non è vero che oggi "tutte le alternative alle armi ( ... ) appaiono scarsamente convincenti". Questa è la tesi Usa-Nato!
Proprio questa guerra dimostra che è "fuor di ragione" pensare che con le armi si possano "risarcire i diritti violati" (Pacem in terris). Non è vero che chi grida contro i missili Nato rischia di avallare i massacri dei serbi, se ha ripudiato entrambe le violenze, fin da quando Milosevic era accetto all'Occidente. Il "bivio" non è tra le "nuvole delle "anime belle"" e il "realismo" delle armi contro le armi (mentre tutt'altra cosa dalla guerra sarebbe una vera polizia dell'Onu, che le potenze non vogliono). La via giusta è il pronto sostegno internazionale ai popoli oppressi, che hanno la capacità di liberarsi da governi oppressivi con una forte disobbedienza civile (ultima grande dimostrazione, 1989). Infatti, ogni potere consiste tutto nell'essere obbedito (Etienne de la Boétie; Gene Sharp); il popolo può far cadere senza violenza un potere ingiusto, come gigante dai piedi d'argilla. Tutto dipende dalla cultura ed educazione politica popolare. Questo è il punto: liberare i popoli dalla stolta fede nelle armi. Ciò si può fare oggi con la comunicazione internazionale. L'intervento armato è retrogrado e disastroso. Concordo con Gentiloni: la pace è sconfitta dalla rassegnazione alle armi. La storia diventerà umana quando la politica uscirà.
Enrico Peyretti
direttore de "Il Foglio" di Torino




in Lotta come Amore: LcA agosto 1999, Agosto 1999

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