Sto scrivendo queste righe, ma ancora non so quando riceverete questo secondo numero del 1999.
Alla mia proverbiale pigrizia si aggiunge anche la stanchezza del millennio che sta per finire e queste due debolezze combinate insieme fanno sì che la stesura, la composizione e poi la stampa e - chissà quando - la spedizione, procedono a passi che le lumache considerano già troppo veloci.
Per fortuna (mia!) questo non è un giornale che deve - per rispetto ai lettori - conservare una periodicità pattuita nell'abbonamento. Ma l'impegno che sento è quello di far giungere agli amici sparsi qua e là per l'Italia un saluto, un segno del cammino che si snoda davanti e la volontà condivisa di accogliere la vita - comunque sia - a cuore aperto.
Lo devo a tanti che ci raggiungono con telefonate, lettere, vaglia, ecc. ecc. e incoraggiano la continuità di quel filo rosso che "Lotta come Amore" rappresenta nella memoria viva di Sirio e di Beppe.
Molti di voi lo hanno fatto, scrivendo a me o direttamente a Maria Grazia, dopo aver ricevuto la breve pubblicazione su don Sirio da lei curata con amore e passione - su proposta del Comune perché fra i giovani e le famiglie di Viareggio di lui non si perdesse la memoria: "è come se Sirio nascesse nuovamente parlandoci, raccontando c sé, sorridendoci e indicando una meta... ".
Se qualcuno desidera riceverne altre copie non ha che da scrivere e attendere con fiducia.
Mi rendo conto solo ora che un mucchietto di lettere sul tavolo sta aspettando - da mesi - un doveroso cenno di risposta. Sto abusando della amicizia e della cortesia di tanti amici e, forse, anche della loro fiducia. Mi dispiace, ma non ho difficoltà a confessare di essere "in stato confusionale". Dopo la morte di Beppe ho cercato di affrontare le diverse situazioni costringendomi a fare una cosa per volta, vivendo alla giornata. Un po' come quando piove a dirotto e l'ombrello non ce la fa più a reggere l'acqua per cui tanto vale prendersela con filosofia e lasciarsi bagnare. Ci si penserà poi ad asciugarsi!
Mi rendo conto ora di non poter procedere oltre in questo modo. In parte perché continua a piovere sul bagnato e quindi la speranza di asciugarsi almeno un po' si affievolisce. In parte (in gran parte!) perché è impossibile rimanere qui alla Chiesetta del Porto senza confrontarsi con un progetto, senza tener conto di una storia di una memoria, di una traccia vigorosa e viva. E la fedeltà mi sembra doverosa verso le correnti profonde e insondabili che animano la vita piuttosto che verso ciò che appare in superficie. In particolare le attività che - a somiglianza delle cellule che compongono il corpo - hanno bisogno di rinnovarsi, di cambiare e non ha senso - come nella disperata ricerca di eterno giovanilismo - volere rimanere sempre uguali a se stessi,
Scrivo queste righe all'inizio di un'estate che si va arroventando. Il fuoco dei Balcani rende l'aria ancora più pesante ed opprimente. Come non parlare della guerra? Dalla corrispondenza di Arturo alla traccia di opposizione al connubio chiesa/esercito che ha animato la lotta di Beppe e che lo ha portato a scrivere nel 1986 un libretto intitolato "Chiesa della pace o Chiesa delle stellette?" (ed. Qualevita).
Sarebbe molto felice Beppe leggendo il comunicato stampa di Pax Christi; felice di sentirsi in compagnia sulla strada di una lotta contro una grave contraddizione storica che la Chiesa cavalca sempre con disinvoltura. Contraddizione ancora più pesante ed amara nel protagonismo del generale-vescovo e nei suoi colonnelli-monsignori in questa guerra nel Kosovo imbarbarita dalle pretese esigenze "umanitarie".
Raccogliendo l'appello di Maria Grazia, confluito in seguito nella iniziativa della marcia dei centomila a Prìstina, voglio sottolineare il bisogno - fin dall'inizio - di uscire dalla morsa fredda del giudizio di ragioni e torti, di pro e contro, e lasciarsi portare da un moto del cuore capace di andare oltre e di vivere - nell'utopia del gesto forte - una intensa comunione con quella umanità sofferente e oppressa.
Vivendo l'esperienza umile - ma a tratti esaltante - della "Tenda della pace" piantata qui accanto alla Chiesetta da alcuni testimoni di pace della città il giorno stesso dell'inizio dei bombardamenti, ho creduto di capire che la nonviolenza e l'opera di pace hanno bisogno di terra buona (per dirla con Beppe) per poter germinare nella nostra storia umana. Di uomini e donne, cioè, che "fanno pace" a partire da se stessi, dall'incontro vitale e vivo tra la mente, il cuore e la "pancia".
Io sono molto indietro su questa strada, fuori dalla luminosità solare di quella umanità, immerso nel cono d'ombra della violenza dal corto respiro. Ma non posso fare a meno di additare la direzione che mi pare giusta anche se non ne sono testimone affidabile.
Sempre nell'ambito delle prese di posizione contro la guerra, ho voluto riportare la dichiarazione di don Gallo riguardante la propria decisione di autosospendersi dalla messa come elemento emblematico di tutta una serie di autosospensioni: dal proprio partito, dalla propria carica, dal diritto di voto sia in occasione dell'ultimo referendum che delle recenti elezioni europee. Esse - generate da motivazioni molto diverse e in ambiti non certo simili - mi sembra che comunque abbiano in comune il bisogno di manifestare il proprio dissenso e indurre a una sorta di disobbedienza civile collettiva per rompere il fronte della adesione alla guerra.
Io non sono molto sicuro che l'autosospensione sia una strada da incentivare e sempre e comunque. Devo confessare che faccio un po' fatica ad aderire a queste iniziative, ma non sono capace di chiarire a me stesso i motivi di questa difficoltà. Magari qualche lettore può venire in mio aiuto con una consapevolezza più chiara del problema.
Infine ripropongo un articolo di Peyretti su "Il foglio" riguardante alcune precisazioni sul pacifismo e la non violenza.
Le parole hanno sempre la loro importanza, specie quando negli inevitabili dibattiti accesi dalle diverse posizioni al riguardo della guerra nei Balcani, diventano pesanti come pietre e aprono ferite difficilmente rimarginabili di diffidenza e opposizione.
Mi par di notare che anche sul fronte "pacifista", anche quello che si dichiara nonviolento, spesso le parole volano con la stessa tagliente rotazione dei "sampietrini" di vecchia memoria.
Fino a far pensare che anche la pace, con i suoi striscioni e le sue bandiere, non sia che l'altra faccia della guerra e, ugualmente, abbia bisogno di una vittoria e di una schiera di vinti finalmente in catene da portar dietro il carro del trionfo.
E' proprio vero che l'utopia di un mondo nuovo ha bisogno ancora di ali molto forti per poter volare in alto e allargare ogni volta con coraggio gli orizzonti dell'umanità.
Luigi
in Lotta come Amore: LcA agosto 1999, Agosto 1999
Luigi Sonnenfeld
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