Stamani ho innaffiato la rosa

Stamane ho innaffiato la rosa.
E' la notizia, la sola importante che, secondo Saint Exupery, i giardinieri amici, lontani nello spazio, vicini nella fedeltà feriale, sentivano il bisogno di comunicarsi.
Innaffiare la rosa. Fanno tutte cosi le persone povere, giuste. Giorno dopo giorno, obbediscono alle esigenze del vivere, non fanno violenza alle cose e alloro farsi, coltivano il coraggio della speranza.
Fare le cose a modo umano è il loro stile di affrontare il mestiere di vivere, di dare domani alla tradizione ereditata dagli anziani che hanno reso ospitali le dimore, le vie, i borghi in cui vivono le loro giornate.
Sono persone dell'appartenenza, hanno tutte lo stesso nome: umane. Nessuna di loro è onnipotente, nessuna impotente, nessuna isolata. Ognuna è saldamente solidale e, nei limiti delle sue possibilità, si fa carico, senza ingiurie e senza lamentele, della realtà che anche quando è propria, non cessa di appartenere a tutti. Ognuna tra tornanti aspri e tortuosi, dentro scenari inediti, superficialmente uguali e sempre nuovi, diversi, tesse la trama seria, onesta, armonica che associa l'oggi al domani.
Queste persone popolano le case dove la vita cresce e muore, non riempiono le pagine dei giornali, non figurano nelle rubriche televisive, i loro nomi sono memoria e profezia. Le si incontra pacificate e pacificanti quando si vive nella realtà e nell'ambiente con solidarietà amica, con condivisione spontanea.
Hanno un uguale rispetto delle cose sia quando lavorano per mare, sia quando coltivano i campi, sia quando puliscono casa. Sono ospitali e accoglienti, condividono ciò di cui vivono, non si negano al bisogno, avanzano nel cammino, non hanno paura di essere sole e non ostacolano l'avanzare di altri.
Sono persone che vivono con compostezza le condizioni le più strane, ammirano compiaciute la realtà lavorata bene, pagano il prezzo della libertà di cui fruiscono. Come barche a vela che avanzano nella direzione giusta, non fanno pesare il loro avanzare. Loro sollecitudine è lavorare con frutto e vivere contenti. Sanno poco di Dio ma sono la dimora Sua, non hanno bisogno di tante parole per dialogare con Lui cosi come non ne usano molte per dirsi che si amano, vivono l'amore non lo dicono. Il rapporto con gli altri, con l'Altro, non è un evento a se stante, non ha tempo e spazio distinti, ogni tempo è tempo e ogni luogo è luogo, per respirare, per vedere, per pensare, implorare, ringraziare. Non vivono per cercare Dio, appartengono a Lui nella vita che vivono. Dio è ignoto ma è Dio, l'ignoranza è in loro ma non è il tutto della realtà in cui sono, vivono, si muovono. Non credo che questa visione delle cose sia frutto di incapacità di guardare la realtà ad occhi aperti o di proiezione romantica. Penso invece che, riconoscere che le persone che vivono del proprio lavoro, che ne sono contente, esistono e sono seme e segno di speranza, è consentire alla verità secondo cui l'operare giusto rende bella, amica, la realtà e l'umanità che l'abita.
Sono tanti a pensare che questa dimensione di realtà sia in calo, a picco. Non so, in ogni caso non lo credo. So che le persone che vivono nella pace non sono isolate, sanno riconoscere, ammirare quelle che solidarizzano, penano per quelle che si fanno male per ingiustizia, vogliono che anche esse si arrendano alla verità della condizione umana.
Il futuro umano della storia non è frutto di calcoli, di soprusi, di sfruttamento; non è l'opera dei Golia che dileggiano gli inermi; nasce dalle persone povere che si fanno carico delle situazioni violentate dall'ingiustizia, pagano personalmente il costo per ripararle, per aggiustarle.
Come avviene che tante persone vivono in modo dissociato la propria condizione umana mentre altre più semplici per quanto può apparire sono più unificate? Penso che quando si vive una professione, si finisce con l'avere una personalità burocrate la quale si sente legittimata dal comportarsi in modo diverso quando è fuori del contesto del proprio servizio o quando è fuori del proprio ambiente.
La rettitudine che rende buone le persone non si sviluppa a lato di quello che fanno; inerisce alle opere che realizzano e che sono fatte bene, per l'onesto guadagno; si accompagna al lavoro compiuto bene, ai rapporti che si costruiscono, a quelli che si rigenerano anche se con fatica, alle relazioni che si cerca di disintossicare.
Coloro che anche se poche volte sono riusciti a sintonizzarsi con lo sguardo amico di queste persone ne riconoscono la rettitudine. Esse non hanno bisogno di segni e investigazioni straordinarie per riconoscere la sofferenza nel povero, nell' ammalato, nel prigioniero, nell'affamato e nel senza casa. Non temono di essere coinvolte da coloro che soffrono nella ferialità del vivere. Ogni mattina riprendono il cammino, e a volte passano ore da pendolari nei mezzi che le portano al lavoro. Le si incontra ovunque, negli Ospedali, sulle strade, accanto agli handicappati, nei luoghi i più disparati. Ovunque fanno lo stesso mestiere, rendono vivibile il quotidiano. Scrivo e penso a te mamma, pallida come la tua camicia, sempre sorridente. Ti incontro al mattino, quando accompagni tuo figlio, gravemente spastico, in carrozzella, alla università per fargli seguire le lezioni. Ti nutri della serenità che coltivi in lui, riveli ciò che rende materna ogni esistenza donata. Ci si sorride e ci si capisce.
Penso a te, padre. La sofferenza ti si legge su volto. Non riesci a darti ragione perché tuo figlio ti è stato sottratto dalla malattia. Mostri che sono veri i legami dell'amore, che sono forti, che è terribile, angosciante non saper rispondere ad un bambino che continua a dir 'papà, bua' . Per te la sua scomparsa di un figlio non è un liberazione, è la fonte di una sofferenza senza limite anche se non ti impedisce di continuare ad operare per rendere felice l'altra tua creatura e serena la casa.
Penso a te donna e uomo che le inventi tutte per rendere gioiosa la vita che cresce, la vita che è nata da te e quella che non sai da chi è nata.
Penso a te, a voi, a tutte le persone giuste e amiche, di qualsiasi età, condizione, colore, cultura, religione, che affrontate il lavoro quotidiano con spontaneità e competenza. Camminando con voi si fa l'apprendistato della semplicità feriale, si impara a fare bene il proprio mestiere, a non barare con il lavoro e con le responsabilità.
Grazie, donne e uomini che nutrite il coraggio di esistere, che fate anche di questo nostro un tempo di speranza.


p. Dalmazio Mongillo


in Lotta come Amore: LcA febbraio 1999, Febbraio 1999

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