Sabato 4 luglio, nella casa religiosa dei Redentoristi di Gars am Inn, in Germania, è morto padre Bernhard Häring, riconosciuto il più autorevole studioso di teologia morale di questo secolo e, soprattutto, l'antesignano delle aperture conciliari in materia di etica e morale sessuale. L'alunno che gli è stato più vicino, don Valentino Salvoldi, cosi descrive il ruolo fondamentale svolto da p. Häring nella difficile impresa di aprire nuove strade nella dottrina e nella prassi della teologia morale: "A p. Häring si deve il cambiamento di prospettiva della teologia morale, il passaggio da una morale della legge alla morale dell'amore; dal "tu devi" al "tu puoi"; dall'obbedienza servile alla gioia della libertà e della fedeltà dei figli di Dio".
Sapiente innovatore in ambito teologico ed ecumenico, tra i più ascoltati esperti del Concilio Vaticano II, p. Häring è stato apprezzato da Giovanni XXIII e da Paolo VI; dopo un periodo di sofferenza per incomprensioni con l'autorità ecclesiastica, Giovanni Paolo II, in due occasioni, gli ha dimostrato la sua stima.
Spirito profetico, in nome del Vangelo, si è opposto al nazismo da subito. Processato quattro volte dai tribunali di Hitler, si è guadagnato il rispetto dei generali che vedevano in lui l'uomo disposto a morire per la verità, ma soprattutto per l'uomo. Ha girato il mondo con la volontà di essere voce critica di ogni situazione di ingiustizia. Ha insegnato alla maggior parte dei docenti attuali di teologia morale che sono sparsi nei più remoti angoli della Terra.
Häring è stato processato anche dal tribunale ecclesiastico dell'ex Sant'Uffizio, per avere sollecitato nei suoi libri, nei suoi articoli, nel suo insegnamento, la nascita di una Chiesa diversa da quella del tempio e del potere, più misericordiosa e più giusta verso le donne e gli uomini che cercano Dio e un po' di felicità, senza l'oppressione del moralismo ecclesiastico in fatto di libertà di coscienza e di vita sessuale. Tutte le travagliatissime vicende di quel processo Häring le ha raccontate con grande franchezza e abbondanza di documentazione in un librointervista, "Fede Storia Morale", curato dal giornalista Gianni Licheri per l'editrice BorIa nel 1989.
Dopo essere stato protagonista di grandissimo rilievo nella preparazione e nella celebrazione del Concilio Vaticano II, godendo della fiducia di Giovanni XXIII, ma anche, sia pure con qualche perplessità, di Paolo VI, Häring fu poco per volta emarginato e ridotto di fatto al silenzio dalle autorità vaticane. Lo scorso l0 novembre, in occasione del suo 85° compleanno, i cardinali della Chiesa tedesca e della Chiesa austriaca, forse su suggerimento di Giovanni Paolo Il, si sono recati a trovarlo a Gars am Inn per un atto di riparazione alle sofferenze inflitte dalla Chiesa istituzionale all'anziano religioso e per una sia pur tardiva riconciliazione.
Il suo testamento lo ha affidato alla prefazione del libro "Mai più la guerra" edito da qualche mese dalla editrice La Meridiana. «Oggi la morale - vi si legge - deve essere concentrata sui problemi della pace e della nonviolenza. Per noi teologi morali è prioritario l'obbligo di lavorare per salvare il seme dell'uomo sulla Terra».
Nel 1993 ha pubblicato in Germania e in Italia una "Perorazione per una nuova forma di rapporti nella Chiesa. Perché non fare diversamente?" (Queriniana editrice), dove dà voce ad una «istanza fondamentale» per la nascita di una Chiesa dal volto umano.
La sua Perorazione l'ha affidata ad una ipotetica «lettera pastorale di Giovanni XXIV», all'inizio del nuovo millennio, datata 1/1/2001. Ecco di seguito il testo della lettera.
[da ADISTA, Roma 11 Luglio 1998, anno XXXII (n.5513)]
Lettera pastorale di Giovanni XXIV all'inizio del nuovo millennio, 1.1.2001
Dilette sorelle e fratelli!
Nel suo pellegrinaggio la cristianità entra oggi nel terzo millennio. Essa si trova di fronte a problemi grandi e scottanti. Ma riponiamo la nostra speranza nel Signore della storia e ci apriamo con umiltà al suo Spirito Santo.
In questo giorno che cosa può mai starci più a cuore dell'istanza fondamentale espressa dal nostro Fondatore umano e divino, prima della sua dipartita: "Perché tutti siano una sola cosa" ?
Con Giovanni XXIII e con il concilio da lui convocato, in cui per la prima volta era rappresentata tutta la terra, un'alba luminosa è spuntata. La chiesa cattolica è entrata nell'era dell'ecumenismo. Paolo VI, il suo venerando successore, continuò con tenacia la sua opera. Egli ebbe anche il coraggio di esprimere davanti al Consiglio ecumenico delle chiese il proprio timore che il papato, nella sua forma storica, sarebbe potuto divenire un grande ostacolo sulla via della riunificazione della cristianità. Il suo amabile successore Giovanni Paolo I affermò con chiarezza profetica che la collegialità fra i vescovi e il papa costituisce la prova e il sigillo della cattolicità. E aveva anche coraggiosamente riflettuto su ciò che questo dovrebbe significare, per esempio, per il modo dell'esercizio dell'ufficio petrino.
Molte cose sono nel frattempo succedute e molte occasioni si sono perse. Ora è giunto il tempo di compiere subito dei passi decisivi. Il passo più importante consiste anzitutto in una rivisitazione umile e coraggiosa della storia del papato. In secondo luogo dobbiamo dare chiari segni che sappiamo imparare dalla storia e che vogliamo lasciarci illuminare dalla parola di Dio. Riflettiamo sull'ufficio petrino, così come esso fu delineato da Gesù e si espresse nella tradizione più antica.
Il secondo millennio è l'era delle tristi divisioni della chiesa. Una delle cause furono l'irretimento dei vescovi, in particolare dei vescovi di Roma, in lotte mondane di potere, nonché idee troppo mondane circa l'esercizio dell'autorità ecclesiale e del potere. Questo provocò una cecità incomprensibile. Con sgomento pensiamo alla tortura, ai roghi degli eretici e delle streghe. I metodi dell'Inquisizione impedirono il dialogo sano e franco nella ricerca di una maggior luce in questioni dottrinali, morali e di disciplina ecclesiastica. Malgrado tutto Dio continuò a far dono alla chiesa romana anche di buoni vescovi. Ma la loro santità e sapienza non riuscì a imporsi in misura sufficiente in seno a strutture fossilizzate. Le chiese si difesero e difesero la loro dottrina e prassi con una specie di mentalità da fortezza assediata. Ogni parte, e in particolare i papi, rivendicarono una specie di monopolio sul possesso della verità. E così si smise in larga misura di cercare insieme. Ma rendiamo lode a Dio, che ha continuato a far spirare il suo Spirito in tutte le parti della cristianità, che ha permesso di compiere tanti passi sulla via di una riconsiderazione ecumenica e che ha rafforzato lo spirito del dialogo e del reciproco ascolto.
Oggi volgiamo comunque il nostro sguardo al futuro, pur nella piena consapevolezza del passato che rimane ancora da superare. Mi limito a menzionare i punti più importanti del programma immediato:
- 1. Poiché il trono, la corona e i titoli pomposi sono sintomi patologici, proibisco energicamente di chiamare i vescovi di Roma con titoli antievangelici come 'Sua Santità', 'Santo Padre'; così infatti Gesù chiama Dio il solo santo prima della sua dipartita. Ci vergogniamo del fatto che il papa abbia permesso ai suoi cortigiani di chiamarlo 'Sanctissimus' e 'Beatissimus', Non vi saranno più prelati domestici di 'Sua Santità', né 'porporati', Né in Vaticano si parlerà più di Eminenze, Eccellenze e cose del genere. Perché il punto di incontro con Dio, che in Gesù si è rivelato come umiltà, è la coscienza del nostro nulla.
- 2. Faremo nostri, quanto prima, i risultati sorprendenti dei dialoghi bilaterali e multilaterali e li porteremo al sospirato traguardo. Simbolo di ciò sarà il fatto che il 'Segretariato per l'unione dei cristiani' diventerà d'ora in poi una delle autorità principali e sarà trasformato nella Congregazione per l'unione dei cristiani. Per quanto riguarda la ricezione dei risultati, competente non sarà più la Congregazione per la dottrina della fede. Sotto la guida della Congregazione testé menzionata per l'unione dei cristiani si procederà a stabilire strutture corrispondenti, le quali garantiscano che tutto il popolo di Dio, in particolare i vescovi, le conferenze episcopali e le facoltà teologiche, intervengano fattivamente in questo processo importante.
- 3. Il papa si lega a strutture precise, che esprimono e favoriscono la collegialità. Ciò significa fra l'altro che il sinodo dei vescovi, che si raduna a intervalli regolari, svolgerà più che una funzione di consulenza. Il papa accoglierà le sue conclusioni e di norma le approverà. 1 punti controversi saranno chiariti con un dialogo paziente e schietto.
- 4. Per quanto riguarda la scelta e la conferma dei vescovi di tutto il mondo torniamo decisamente alla prassi del primo millennio. Al riguardo possiamo sicuramente molto imparare dalla prassi ininterrotta delle chiese ortodosse e dalle chiese nate dalla riforma protestante, nostre sorelle. Il vescovo di Roma, in corrispondenza al suo compito ecumenico, sarà eletto dai rappresentanti delle conferenze episcopali secondo modalità che saranno stabilite dal prossimo sinodo dei vescovi. Quanto prima un sinodo dei vescovi dovrà similmente procedere alla riforma del cosiddetto corpo diplomatico. Già il semplice nome è inaccettabile, perché ricorda troppo strutture del potere statale.
- 5. Un'accurata interpretazione dei documenti del concilio Vaticano I e II alla luce della parola di Dio e della tradizione ha sufficientemente dimostrato che l'esercizio della suprema autorità magisteriale del vescovo di Roma è completamente inserita nel tutto della chiesa. Egli non è, per così dire, un maestro che parla dall'alto e dal di fuori, ma è inserito in maniera particolare ne processo di apprendimento con le sue dimensioni e i suoi organi ecumenici. Suo compito è quello di confermare, mediante l'esempio e il modo di esercitare la propria autorità, la fede nel Servo di Dio e Figlio dell'uomo umile e non violento accreditato dal Padre e di contribuire così a esprimere la fede di tutta la chiesa.
Egli fa parte sia della chiesa discente e ascoltante sia della chiesa docente; con tutti gli altri deve tendere soprattutto l'orecchio alla parola di Dio, osservare e cercare di decifrare i segni dei tempi.
Deve conoscere che cosa nella chiesa realmente si crede in virtù della libertà del senso della fede e della coscienza. Deve prestar attenzione alla ricezione o alla eventuale non ricezione delle encicliche e lettere pastorali. Il vescovo di Roma non può assolvere fecondamente e con fiducia questo compito, in collaborazione con i suoi confratelli nell'episcopato, se in tutta la chiesa non c'è veramente posto per un dialogo sincero.
Sicuro del consenso dei miei confratelli nell' episcopato abrogo perciò le disposizioni del diritto canonico (CIC c. 1371, par.l) secondo le quali qualsiasi manifestazione di dissenso nei confronti di dottrine non infallibili del papa è un delitto. Al di fuori dei nostri voti battesimali e della comune professione della nostra fede non esiste d'ora in poi più alcun giuramento di fedeltà al papa. «Sia il vostro parlare sì, sì; no, no. Il di più viene dal maligno» (Mt. 5,37).
- 6. Le scottanti questioni ora emergenti, come ad esempio quella del ruolo della donna nella chiesa e della sua eventuale ordinazione sacerdotale, non saranno d'ora in poi più un tabù. Esse vanno chiarite nel dialogo intraecclesiale e con disponibilità ecumenica ad imparare, fin quando non saranno mature per essere risolte. Risoluzioni che il papa non prenderà da solo, ma in piena collegialità.
- 7. La chiesa deve essere luce del mondo e sale della terra. Essa deve e vuole divenire una specie di sacramento della salvezza, della guarigione, della pace e della giustizia universale. Per questo percorriamo il nostro cammino con profonda e sentita solidarietà con tutta la famiglia del genere umano, con tutti i popoli e con tutte le culture, non da ultimo anche con le grandi religioni mondiali dell'Oriente.
In unione con tutti intendiamo imparare, vigilare, pregare e lavorare per la soluzione dei problemi più scottanti, affidatici anche dal vangelo, come la pace e il lavoro per la pace nello spirito della non violenza evangelica e dell'amore riconciliatore, la giustizia e la conservazione della creazione affidata agli uomini.
Raccomando me stesso e il mio servizio in seno alla chiesa alle vostre preghiere, così come raccomando voi alla grazia e all'amore di Dio nostro Padre e del nostro Signore Gesù Cristo.
Il vostro fratello in Cristo,
Giovanni XXIV
in Lotta come Amore: LcA ottobre 1998, Ottobre 1998
Luigi Sonnenfeld
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