BEPPE

A dieci anni dalla morte di Sirio, questo nostro giornale si apre con un' altra notizia che mai avrei voluto scrivere.
Forse, tra chi riceve questi semplici fogli, c'è gente non ancora raggiunta dal triste e doloroso annuncio della morte di Beppe.
Una morte non annunciata, improvvisa, un vero e proprio colpo di fulmine.
Ci eravamo salutati come al solito quella mattina di lunedì 19 gennaio. lo uscivo una mezz'ora prima, Beppe era seduto al tavolo in cucina con il "suo" bicchiere di caffè e latte e stava leggendo un foglio. "Buona giornata! Ci vediamo più tardi".
Appena poco prima delle 9.00 una telefonata mi raggiunge al capannone: "Beppe è nel retrobottega. Si è sentito male. Mi ha chiesto di avvertirti di andare dai ragazzi che lo stanno aspettando e di non preoccuparti di lui. Comunque ho chiamato l'ambulanza".
Dopo un rapido passaggio dal laboratorio dell'Archeggiola, sono arrivato in tempo a vedere Beppe sdraiato sulla barella con gli occhi chiusi. Ho inseguito l'ambulanza fino all'Ospedale di Viareggio, alla porta del Pronto Soccorso e in rapida sequenza la barella fino alle porte inesorabilmente chiuse di Cardiologia.
Un'attesa di mezz'ora o forse più. Telefono a Maria Grazia. Un'altra barella vuota. "Portiamo Beppe a Pisa". Sbattono le porte. Contrordine: "Rimane qui". Un'infermiera mi fa entrare. Il primario mi dice delle parole, mi spiega. Capisco solo che l'infarto è stato devastante, la situazione critica. Complicazioni ne hanno impedito il trasporto a Pisa per l'intervento meccanico di rimozione dei coaguli. Ci raccogliamo in piccolo gruppo nella sala d'aspetto. Momenti di allentamento della tensione. Notizie più rassicuranti. Aiutato da Maria Grazia, tiro giù una lista: pigiama, fazzoletti, biancheria,... Vado in Darsena e, appena arrivato a casa, una telefonata. "Torna subito, lo portano a Pisa. Beppe ti vuole parlare".
Mi fanno entrare in reparto. Il primario mi dice:
"Vada, a questo punto può fare lei più di noi". Ma cosa avrei potuto fare?
Sono entrato nella piccola stanza e, mentre infermieri e medici si affannavano intorno a Beppe, gli ho preso la mano e siamo rimasti così, in una stretta forte e ferma per lunghissimi istanti. Poi la barella si è di nuovo messa in marcia. E noi dietro in macchina, ma rallentati, quasi a voler posporre il più possibile l'arrivo a Pisa. Beppe ha avuto un ultimo arresto cardiaco pochi metri prima dell'arrivo in Ospedale.
E' stato rianimato, ma non ce l'ha più fatta. Così ci ha detto il medico che ci ha accolto.
Era uno dei primi obiettori in servizio civile all'Arca e molto amico di Beppe. Lui, a concludere quell'uscire per sempre di Beppe dal porto verso il mare aperto, accompagnato da volti conosciuti e amici. Dal negoziante che lo ha soccorso, ai volontari in ambulanza, alle infermiere in reparto, Beppe ha incontrato volti di persone che lo hanno circondato di attenzioni e di affetti in quella terribile, durissima mattina. Segno e frutto non di casualità, ma di una presenza - la sua - sempre affettuosa e incoraggiante con chiunque, per chiunque.
Ne è stata testimonianza tangibile, il propagarsi rapido della notizia della sua morte, in città e non solo. L'accorrere commosso di tanta gente, prima a Pisa poi qui alla Chiesetta. E il funerale partecipato da una folla strabocchevole fino al palazzetto dello sport dove si erano svolte belle feste di giovani dei "Percorsi di Pace" e dove Beppe è stato ricordato a lungo, quasi a non volerlo lasciare più andare via.
Al calar della sera è stato trasportato a S.Casciano Val di Pesa, il suo paese natale, per essere sepolto insieme ai suoi genitori, morti quando Beppe - figlio unico - era ancora molto giovane. I cugini e gli altri parenti lo hanno accompagnato in quest'ultimo tratto di strada che lo ha ricongiunto alla sua terra, alle sue radici. Come Sirio.
Sono passati oltre due mesi da quel lunedì mattina, ma, per me, è ancora molto difficile accogliere quello che è avvenuto.
Non credo sia facile per nessuno, in circostanze simili, rimuovere dalla propria coscienza il peso terribile di non essersi reso conto, di non aver potuto, di non aver saputo cogliere i segni di un malessere così decisivo. E' tremendamente difficile anche per me sostenere il pensiero che avrei potuto fermarmi con Beppe quella mattina, avrei potuto fermarlo...
Tutto è avvenuto così velocemente.
La Chiesetta restringe ancora di più le sue mura, come a riscaldarmi e proteggermi contro la paura e la desolazione. Mi avvolge come un utero di pietra, scaldato dal sole primaverile di queste belle giornate.
Tocca a me ora a nascere.



Luigi


in Lotta come Amore: LcA aprile 1998, Aprile 1998

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