Solido e solidale

Mi sembrava di vederlo lì, solido come una quercia.
Un sommesso tam tam ci aveva avvisati che avevano scelto Don Sirio come maestro di vita per un raduno versiliese di capi scout. La proposta era partita in primavera dalla sezione provinciale dell'AGESCI; l'anima dell'iniziativa era stato Giovanni Lucchesi che ne aveva reperito libri, letto articoli, fotocopiato le cose più interessanti ed inviato il tutto alle varie sedi per farlo conoscere. All'inizio dell'estate il progetto cominciò a prendere corpo, tanto che un pomeriggio di luglio Antonella e Giovanni arrivarono alla Chiesetta del Porto per portarci la buona notizia: entro pochi giorni circa cento giovani capi Guide e Scout sarebbero confluiti a Viareggio da varie parti d'Italia, pronti a confrontarsi con la figura di Don Sirio. L'incontro aveva come chiave di lettura il bello slogan "Solidi e solidali": ci spiegarono che per l'Associazione era importante riflettere sul tema della solidarietà, da sempre centrale nella loro vita. Ricordo che ascoltandoli pensai subito che quel titolo era proprio giusto anche per Don Sirio: mi sembrava quasi di vederlo, lì, solido come una quercia, capace di ospitare nella grande chioma dei suoi rami eventi e persone, secondo uno stile di vita solidale che traeva la sua forza dall' aver messo ampie radici nella terra.
Naturalmente ci facemmo catturare dalla proposta: sì, l'idea che in tanti si muovessero per venirlo a conoscere ci commosse, cosa rispondere se non che chi sarebbe stato in zona per quella data (4/6
agosto) avrebbe accettato con gioia di parlare? Suggerimmo loro di contattare i diversi amici e alla fine c trovammo in quattro, la Piccola Sorella Maura, Don Rolando, Don Luigi ed io.
I giorni trascorsi insieme si sono rivelati ricchi di vita, per quel gioco di rispecchiamento reciproco che accade sempre quando lo scambio avviene al livello del cuore. Mi ricordo che guardandoli ascoltare intenti, seduti in circolo, uno accanto all'altro, avevo la percezione che un soffio di energia li raggiungesse, quella, ancora sovrabbondante, di Don Sirio che continua ad abitare fra di noi.
Non abbiamo avuto la possibilità di decidere in anticipo chi di noi avrebbe svolto un tema, chi un altro, in quale ordine e da che punto di vista. Eppure ognuno ha deposto sul verde prato nel quale eravamo radunati il suo frammento di verità, formando delle tessere capaci di costruire un ritratto non certo completo, ma il più possibile a tutto tondo di Don Sirio. Per ragioni organizzative i giovani erano stati divisi in due gruppi: il sabato ci siamo trovate ad aprire i lavori la Piccola Sorella Maura ed io, parlando ognuna a un gruppo diverso. Anche se la circostanza è stata casuale (ma c'è qualcosa di casuale nella vita?) è stato bello che fossimo noi donne a porgere il primo contatto con Don Sirio, facendo da ponte, tracciando una via, donando un filo conduttore capace di portare a lui.
Per me il contatto con i giovani ha significato una sfida a interrogarmi con sincerità, senza schermi, per essere pronta a capire nuovamente, lì con loro, il significato di quanto avevamo vissuto. Per prepararmi mi sono lasciata andare a un movimento rabdomantico: china ad ascoltare la realtà ed insieme abbandonata ai segnali misteriosi che conducono alla sorgente originaria.
Tenere collegati il piano oggettivo e quello intuitivo mi ha portato ad intrecciare insieme due elementi: il filo biografico e una chiave di lettura unitaria capace di coglierne il senso della vita. Ne è nato un racconto biografico che era contemporaneamente storia e descrizione del suo compito speciale nella vita.

Scopre la dimensione dello Spirito...
"... Don Sirio nasce in un paesino pianeggiante della Versilia, da una famiglia molto modesta: il padre, illetterato, è un semplice manovale che emigra come molta povera gente in Argentina. Ultimo di cinque figli, nato a diversi anni di distanza dai primi quattro, Don Sirio è molto amato dai genitori. Entrato in seminario adolescente, viene ordinato prete nel '43 l'anno più tragico della guerra, ma anche l'anno in cui si intravede una speranza. Due anni più tardi viene destinato alla parrocchia di Bargecchia, un prete come tanti, anche se forse più vivo di altri... Agli inizi degli anni '50 in Don Sirio si opera una lenta metamorfosi, la prima tappa di quella avventura che lo spingerà a mescolare e successivamente ad integrare lo Spirito con la Materia. Fu come se Dio lo chiamasse per la seconda volta, attirandolo verso gli spazi aperti dello Spirito."

Incontra la materia: un contatto così forte, così virile, così povero, così in basso ma così caldo...
Raccontavo a quei giovani che la parola magica che ci fa entrare nel vivo della vita di Don Sirio è "integrazione", che ritrovo come leitmotiv anche nella mia esistenza.
" ... Poi venne l'esperienza operaia. Era qui che doveva approdare per portare a termine il disegno di Dio su di lui: incarnarsi, mescolare insieme Spirito e materia. Don Sirio non poteva immaginare cosa avrebbe significato tutto questo quando entrò, accolto con diffidenza, nel duro ambiente operaio dei cantieri navali anni '50. Più tardi il sospetto si stemperò e venne plasmato dal loro contatto, quel tempo fu per lui una sorta di iniziazione. Conobbe la materia: corpi, sudore, fatica, peso e ne uscì trasformato. Lui, magro allampanato, divenne solido e robusto, proprio come la vostra bella frase "solidi e solidali". Acquistò materia, non solo la incontrò, ma la assunse, la fece propria, la integrò al suo vasto mondo spirituale."
"In seguito il cammino compiuto in quegli anni gli consentì di creare uno spazio adatto a successive integrazioni: l'uomo e la donna, la solitudine e la vita in comune. E più tardi persona e natura, amore e lotta, normalità e disabilità, sacerdozio e laicità, salute e malattia".

Ora il femminile e il maschile potevano integrarsi e convivere in maniera radicalmente nuova annunciando la venuta di ''nuovi cieli e nuove terre"
" ...Io, per vie diverse e misteriose, mi ero preparata a quell'incontro che era anche per me sotto il segno dell'integrazione, di una integrazione mancata e della quale, allora inconsapevolmente, andavo alla ricerca. Venivo da una famiglia borghese, della tranquilla e solida borghesia che attraversata la guerra si era data regole sempre più definite per distinguersi dai nuovi ricchi nati dai disastri bellici. Mio padre rappresentava il mondo dello spirito: gusto intellettuale, onestà morale, tensione etica e una ricerca continua verso l'armonia che lo spingeva ad essere tollerante. Mia madre era la visceralità fatta persona, la forza indifferenziata della materia che non distingue il sé dai propri figli e nipoti, il maschio dalla femmina. L'integrazione fra loro non poté avvenire e in una famiglia se il principio femminile e quello maschile non si integrano la vita che nasce deve come ricominciare da capo e andare alla ricerca del tassello mancante che le è stato sottratto. Incontrato Dio alla fine dell'adolescenza, ed innamorata di Lui come era accaduto a Don Sirio, una spinta vitale mi spinse alla ricerca di materia da potere accostare e mescolare alla mia parte spirituale."
"E allora si ripeté un disegno: Dio cercato in basso, uno stile di vivere semplice, un muovermi da una famiglia a creare un'altra famiglia con un movimento simile al pendolo, da una materia a una differente materia, da un luogo ad un altro. Eravamo fatti per incontrarci. "
(Rimando il racconto degli anni '70 ed '80 al prossimo numero per potere lasciare spazio sufficiente a tratteggiare gli altri interventi.)

Il dilagare dello Spirito non lo lascia più lo stesso, lo attira verso spazi ancora inesplorati
La passione dell'assoluto scorre come una vena sotterranea nel racconto della Piccola Sorella Maura ed emerge dal tono vivace del suo parlare, ma soprattutto dall'attenzione nel porgere la storia di come Dio sia entrato prepotentemente nella vita di Don Sirio e nella sua. "Ero giovane ed abitavo e lavoravo nei campi vicino a Bargecchia quando Don Sirio fu nominato parroco di questo piccolo paese che ha campane stupende, incastonate come gioielli in un campanile di pietra bianca che sbuca fuori da una distesa di ulivi. Il giorno in cui arrivò per la prima volta, a piedi, le campane suonavano a festa inondando di vita nuova le colline e la pianura e la gente gli andò incontro, sentendosi riconosciuta una per una ... ". Vi rimarrà dal 1945 al 1956: Don Sirio era diventato prete da poco, dopo un periodo tormentato e burrascoso nel quale aveva vissuto una strenua, personalissima battaglia per resistere all'invasione che Dio operava nella sua vita. "... Aveva cercato perfino di non diventare prete, chiedendo, ancora seminarista, di andare come infermiere al fronte. Ma quando il tentativo fallì, si arrese, senza condizioni a Gesù Cristo, credendo perdutamente in Lui". Quello di Bargecchia è il periodo nel quale viene sopraffatto da Dio, una presenza che lentamente si impone nella sua vita, dilatandola, aiutandolo ad uscire dal solco della tradizione, non lasciandolo più lo stesso. Solo più tardi sceglierà gli ultimi e non sopporterà più di vivere mantenuto da una parrocchia ricca, con buone rendite: allora si compirà un disegno:
"Dio avrà tutto il campo libero e quella zolla di terra di Don Sirio diventa terreno di incontro dove Dio e l'umanità avrebbero vissuto insieme un mistero d'amore".
"Dio si assicurò di prendermi nero su bianco, nel dubbio che non capissi, dura di testa come sono."
Maura, allora sedicenne, era "vivacissima, ribelle", con tanta voglia di vivere, un desiderio, un'energia irruente che le lunghissime ore di lavoro non riuscivano a domare. Come tutti a quell'epoca frequentava la chiesa la domenica, ma l'incontro con Dio sarà un'altra cosa. Avvenne per caso: una domenica pomeriggio di piena estate, invece di andare al cinema entrò nella chiesa deserta a cercare riparo dal sole. La penombra quieta l'attrasse e rimase lì, sentendo qualcosa mai provato prima "un'impressione di pace, una presenza che mi meravigliava. Ma cos'è, mi domandavo?". La domenica seguente volle provare di nuovo, l'esperienza si rinnovò "ma di più, ed io ebbi paura". Alla terza domenica vide su un bancone un libro aperto alle pagine della Resurrezione di Gesù: la Maddalena va alla tomba, la trova vuota e piange desolata perché hanno portato via il suo Signore e non sa dove l'hanno deposto. Si rivolge al giardiniere pregandolo di rivelarle dove l'ha trasportato e lui le risponde: "Maria!.." e subito Lo riconosce. Le sembrò che ci fosse scritto Maura e che quella voce la interrogasse, le parlasse al cuore: da allora rispose "Eccomi".
"Ero una bimbetta" dice la Maura "Don Sirio, anche se giovane, già forte del suo cammino... era come se fossimo sempre insieme, da allora ci unì l'amore per Lui". E racconta come Don Sirio pregasse in Chiesa, fino a tardi la notte e le gente si era abituata a vedere la chiesa illuminata a lungo la sera, o all'alba, quando si alzava. L'abitudine della preghiera li univa, anche a qualche chilometro di distanza. Dopo pochi anni Maura e una sua giovane amica, Giulia, anche lei di Bargecchia, partirono per entrare fra le piccole Sorelle di Charles di Foucault, un ordine religioso che influenzerà profondamente la spiritualità di Don Sirio.

Come un padre di famiglia che tira fuori dalla sua sacca cose vecchie e cose nuove.
Don Rolando ha offerto un insieme di ricordi, un fiorire di aneddoti, come il buon un padre di famiglia che tira fuori dalla sua sacca cose vecchie e cose nuove. A cominciare dal 1965, quando lui e Don Sirio andarono ad abitare al Bicchio: racconta che per mantenersi fecero all'inizio il lavoro delle vigne e gli imbianchini: "vangavamo, pativamo il caldo e il freddo, facevamo tutto con serenità e una buona dose di umorismo. L'anno seguente iniziammo a fare gli imbianchini, mettendo su quella che battezzammo la "ditta Splendens"... alla fine ci venne in mente il lavoro del ferro battuto. Quanto alla parrocchia io facevo il catechismo ai bambini, seguivo gli ammalati, la messa tutte le mattine. Tutto ciò che si fa normalmente: la differenza era che non volevamo rumore di denaro intorno all'altare, che traducendo significava non prendere soldi per i sacramenti" .
Lavorare per noi era normale, avevamo scelto questa vita semplice, umile...
Fu nell'anno seguente che io mi unii alla piccola comunità e la grande casa di campagna (che ricordo Don Rolando chiamava la casa più bella del mondo) diventò un affollato porto dove la gente approdava. E Don Sirio e Don Rolando dovettero lavorare sempre di più per mantenere la famiglia che cresceva. "Lavorare per noi era normale, avevamo scelto questa vita semplice, umile, per restituire alla povera gente quanto avevamo avuto. Il nostro intento era quello di ritrovare la normalità dell'esistenza, perché proprio qui è il segreto del cristianesimo".
Nel mio ricordo tre erano i luoghi fisici e simbolici del nostro vivere: l'officina dove Sirio e Rolando lavoravano il ferro battuto, la cappella dove ci ritrovavamo la sera e la mattina per pregare, e la casa, una sorta di alveare affollato di incontri, luogo privilegiato di scambi. "La cappella era costruita nel fienile, il vetro dello sfondo era grandissimo e lasciava vedere la pioppeta dietro casa, lo avevamo fatto per dare risalto al primo sacramento di Dio che è la natura. L'eucarestia, il secondo sacramento, era custodito in un tabernacolo scavato in un ceppo di vite, sulla cui porticina era saldata una chiave:
Gesù apre il cuore di Dio e quello dell'uomo".
"La nostra era una casa aperta a tutti, condividevamo quello che avevamo. Annunciavamo il vangelo con la vita, offrivamo senza la pretesa di convertire nessuno". A proposito del loro rapporto con la Chiesa ufficiale don Rolando ricorda che: "ci fu il periodo controverso del dramma di Firenze, dell'Isolotto:
Don Sirio scrisse una lettera bellissima che ancora conserviamo, aperta alla fedeltà alla Chiesa ed insieme alla realtà dell'Iso lotto. In seguito, con una quindicina di preti ci recammo presso la CEI per far finire lo scandalo della lotta che si era fatta durissima contrapposizione fra la curia e Don Mazzi, con la polizia che entrava nella Chiesa per farne cessare l'occupazione... " . Pochi anni dopo la comunità, nel frattempo cresciuta fino a undici persone, si divide: Don Rolando rimarrà con altri ad abitare al Bicchio, mentre Don Sirio, Don Luigi, Don Beppe, ed io torniamo di casa in darsena, in quella Chiesetta del porto che aveva ospitato Don Sirio nei suoi primi anni di vita operaia. "Ma anche se separati continuavamo a vederci, perché Don Sirio la domenica veniva a dire la messa in parrocchia, tutti i giorni arrivava per lavorare nella nostra officina e il mercoledì ci riuniamo insieme. Direi che quello che ci univa era uno scambio di ricerca".

Nacque allora l'utopia di un laboratorio
"Nel '79, aiutati da alcuni amici abbiamo comprato un capannone, dove ci siamo riuniti, noi due insieme a Don Luigi e Don Beppe". Nacque allora l'utopia di un laboratorio nel quale mantenere vivo il sapere artigianale: vi troveranno posto diverse lavorazioni, la forgiatura del ferro , poi quella del rame, la falegnameria, l'impagliatura delle seggiole, e via via ceramica, rilegatoria di libri, tessitura. Il tutto trova posto in un luogo fisico, un grande capannone posto nella darsena che lavora.
Lì, per un insieme di coincidenze troveranno ospitalità dei ragazzi con handicap che avevano bisogno di sentirsi inseriti in un ambiente amico. Il posto esiste ancora, nel tempo ha abbandonato la caratteristica artigianale e si è trasformato in una Cooperativa di servizi sociali. Su questa realtà i giovani hanno interrogato sia Don Rolando che Don Luigi, per capire il senso dei frutti e l'angolo prospettico nel quale leggerli.
Dice Don Rolando: "ora il nostro sogno iniziale è continuato da Luigi e Beppe che lo hanno profondamente trasformato: la cooperativa che si occupa di fornire servizi sociali a persone con disagio (handicap, disagio psichiatrico, anziani, minori) dà attualmente lavoro a 75 soci e quel che mi fa più piacere è sapere che sta per essere costruita una casa per handicappati. Si è creata una sensibilità nella città di Viareggio verso il problema dell'handicap e penso che questa sia già una fruttificazione. E penso che le capacità di Luigi e Beppe di espandere la cooperativa con un'impostazione tanto diversa dalla nostra sia il segno di un progredire delle generazioni, come accadrà a voi nei confronti dei vostri genitori".
"Sì, la cosa che voglio sottolineare - conclude Luigi - è che Sirio non ci ha lasciato un'opera da continuare a gestire nel solco dello spirito del fondatore. Ci ha lasciato qualcosa di veramente diverso e insieme di assai più prezioso: l'energia e la passione di lasciarsi invadere dalla realtà della vita.
Di questa sua passione e della sua energia noi siamo debitori come uccelli che affidano le ali delle loro migrazioni ad una invisibile corrente d'aria ascensionale, come fiori di montagna che si vestono di colori dalle mille sfumature nel caldo incavo della grande roccia".



Maria Grazia Galimberti


in Lotta come Amore: LcA dicembre 1997, Dicembre 1997

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