1- Questo seminario è nato dal convegno nazionale che i P.O. italiani hanno tenuto lo scorso anno a Salsomaggiore. In quel contesto il discorso era stato posto con chiarezza utilizzando sette parole, "quale tentativo di vocabolario per dire ciò che sta succedendo nel mondo: Globalizzazione - Oligopolizzazione - Sfruttamento - Economia come sottosistema - Declino della forza lavoro globale - Terza rivoluzione industriale - Terzo settore-postmercato-economia sociale" (Pretioperai, 35-36 pp. 33-40).
Da molti dei partecipanti veniva percepita l'urgenza di affrontare in maniera più articolata una tale tematica, urgenza motivata dalla fase storica che tutti stiamo concretamente vivendo, ed anche la necessità di farlo, perché si avverte il bisogno di mettere a punto strumenti culturali più adeguati per rendere possibile pensieri ed azioni davvero responsabili, sfuggendo al rischio, tutt' altro che immaginario, di lasciarsi sommergere dalla confusione mentale e dalla passività.
Va da sé che questo seminario non rappresenta una riflessione "interna" ai preti operai, perché la posta in gioco riguarda davvero tutti; e tuttavia non è neppure una iniziativa pleonastica rispetto ad altre analoghe che sono diffuse nel nostro paese. Per molti di noi si tratta di continuare a tener viva, come tra compagni di viaggio, una riflessione comune, che dura da molti anni, e che trova da un lato il suo punto di riferimento nell'ingresso, nella permanenza e nella condivisione della materialità del lavoro, cioè quel luogo nel quale è acuto e "fisico" lo scontro tra "le ragioni economiche" e il bisogno di giustizia, di dignità, e dall'altro nella dimensione teologale della fede quale fonte ed ispirazione per la vita di cristiani impegnati come ministri ordinati. Anche per quanti tra noi hanno lasciato l'attività produttiva permane il compito di conservare, anzi affinare, "lo sguardo dal basso, cioè quell'esperienza di eccezionale valore" imparata nei lunghi anni trascorsi nel lavoro. Abbiamo esteso l'invito a questo appuntamento alle persone che ci conoscono e ci sono amiche, a quelle che ci seguono sulla rivista e a tutti quelli che, avendo avuto notizia di questa iniziativa, l'hanno trovata interessante per le tematiche in programma e per i relatori che sono presenti tra noi. In questi tre giorni lavoreremo assieme qui sulla montagna, nel monastero di Camaldoli. Anche la scelta del posto ha la sua importanza. Con i pochi mezzi a disposizione abbiamo fatto del nostro meglio perché le cose fossero organizzate per bene. Il desiderio più grande è che ciascuno di noi, dopo l'esperienza di questi giorni, possa tornare a casa arricchito da incontri umani significativi, da parole ascoltate e scambiate, capaci di provocare riflessione e chiarezza di pensiero.
E ora una breve introduzione al tema del seminario.
2 - "Economia globale e giustizia sulla terra: sfida del terzo millennio". Crediamo che questo titolo esprima con immediatezza la correlazione e quindi la tensione dei tre elementi che lo compongono: l'economia globale quale processo materiale ed organizzativo che a partire dall'occidente realizza una "certa" unificazione del mondo, la giustizia sulla terra ovvero l'istanza etica insopprimibile e resistente che rifiuta qualsiasi forma di omologazione al ribasso perché attinge alle finalità stesse della vita umana, prendendo partito per il bene concreto dell' essere umano nella sua dimensione terrestre. Le parole di Edgar Morin: "non sappiamo ancora se la mondializzazione é l'ultima possibilità o la sventura estrema dell'umanità" rappresentano bene la situazione di sfida inevitabile nella quale l'umanità tutta è coinvolta.
Qualche tempo fa su un settimanale tedesco (Die Zeit) è stato scritto che "Essere contro la globalizzazione é ragionevole quanto protestare per il cattivo tempo". Quello che sembra qui sottinteso é che tale processo appartenga all'ordine "naturale" delle cose, a quell' ordine che sarebbe irragionevole e grottesco contrastare e che va preso così com'è. In verità anche questo processo storico appartiene al regno dell'artificio e si costruisce attraverso precise decisioni economiche e politiche, peraltro sempre più riservate ad una ristretta élite nelle cui mani si concentra un potere impressionante.
La globalizzazione, o mondializzazione dell'economia viene così definita dall'OCSE (Organizzazione per l'economia e lo sviluppo) "un processo attraverso cui mercati e produzione nei diversi paesi diventano sempre più interdipendenti a causa della dinamica di scambio di beni e servizi e attraverso i movimenti di capitali e tecnologia". In parole povere si può dire che il mondo assomiglia sempre più ad un enorme supermercato nel quale avviene la produzione, la distribuzione e il consumo, con quotidiani spostamenti di enormi volumi di capitali in perenne ricerca della massimizzazione del profitto. La cosa non è nuova, ma nuova è la dimensione del fenomeno. Tre fattori hanno congiuntamente concorso a dargli una inedita imponenza:
- lo sviluppo delle imprese transnazionali in grado di esercitare le forme più evolute e complete di oligopolio;
- il crollo dei paesi dell'Est e della loro economia pianificata;
- la riduzione dell'intervento degli stati dell'Ovest in ordine a regolamentazioni da introdurre nell'economia, tanto che è si è arrivati ad affermare che "il mercato colonizza lo Stato molto più di quanto non avvenga il suo opposto" (J.P.Wamier).
La tendenza espansiva della economia mondializzata richiede, come sua spinta immanente, "l'economicizzazione del mondo, cioè la trasformazione di tutti gli aspetti della vita in questioni economiche, se non in merci... " E pertanto "la globalizzazione designa anche questa incredibile avanzata dell'onnicommercializzazione del mondo" (S. Latouche, La perversione della mondializzazione, in Testimonianze, 372/97, pp.7l-72).
Anche il pensiero umano e l'immaginario collettivo sono sottoposti ad un processo di colonizzazione culturale, il cui assunto di fondo è dettato dall'economia: tutto può essere pagato, tutto può essere scambiato. La razionalità dominante, alla quale viene consegnata l'ultima parola è quella del calcolo e si basa sul presupposto che solo quello che è quantificabile è reale. E' la dittatura del "pensiero unico".
Può essere illuminante un brano di S. Weil scritto nel lontano 1934: "Nell'ambito economico un'impresa non è giudicata secondo l'utilità reale delle funzioni sociali che assolve, ma secondo le dimensioni che ha assunto e la rapidità con cui si sviluppa; e così per tutto. Pertanto il giudizio di valore è in questo modo affidato alle cose invece che al pensiero... ". In tal modo si verifica "il rovesciamento del rapporto tra mezzi e fini, rovesciamento che in certa misura è legge... e si estende quasi a tutto"..." (Riflessioni sulle cause della libertà e dell' oppressione sociale, Milano 1983, pp. 112.114).
Lo sganciamento del bene economico rispetto all'utilità reale per le popolazioni assume dimensioni esponenziali con l'imporsi del processo di finanziarizzazione col quale "si afferma la dominazione del capitale-denaro, finanziario, sul capitale produttivo". Il danaro si riproduce senza la necessità di passare attraverso la produzione di merci. Anzi "l'ammontare delle speculazioni finanziarie è sproporzionato rispetto alle attività produttive". Ad esempio "i movimenti finanziari rappresentavano nel 1993 circa 150.000 miliardi di dollari ovvero tra le 50 e 100 volte quelli commerciali annuali. Le economie, e specialmente quelle del terzo mondo, sono alla mercè delle fluttuazioni dei mercati finanziari stessi" (Latouche, art.cit., p.73).
Dopo il crollo del muro di Berlino si è arrivati a parlare di fine della storia per la presunta immodificabilità dell' assetto raggiunto e delle istituzioni esistenti, per la cessazione delle grandi contrapposizioni dialettiche che hanno accompagnato l'intera epoca della modernità. L'economia del profitto e le regole conseguenti a questa razionalità dominano praticamente ovunque. Ma si devono segnalare dei fattori che sono in grado di "disturbare" anche pesantemente la linearità ottimistica della mondializzazione imposta dall'occidente:
- i presupposti sui quali si fondava la prospettiva dello sviluppo illimitato sono privi di fondamento. Vi è la certezza che oltre certi limiti questo sviluppo produrrà alterazioni e degradazioni ecologiche in grado di minacciare la biosfera e l'umanità nel suo insieme;
- l'espansione dell' economia e della tecnica occidentale se da un lato "occupano" il mondo, dall'altro sono captate da civiltà non occidentali. Però all'apertura recettiva, da parte di questi paesi, della tecnologia occidentale, corrisponde spesso una loro chiusura difensiva, culturale e religiosa, contro il processo di omologazione. Pertanto se "per lungo tempo è stato possibile misurare qualunque civiltà su scala europea, oggi dobbiamo misurare l'Europa col metro della loro civiltà" (Jean Starobinskv).
La sfida che è aperta con l'avvento del terzo millennio si può. sintetizzare con le espressioni di due rappresentanti dei mondi che si confrontano "nell'emergere di un oggetto nuovo, il mondo in quanto tale" (Jacques Levy).
George Bush all'indomani del crollo dei regimi dell'est europeo ebbe a dire: "il secolo XXI sarà nordamericano". E Rigoberta Menchù,.guatemalteca portatrice di una cultura millenaria per la quale reclama il diritto all'esistenza. Annuncia: "il secolo XXI sarà indigeno".
3 -"Giustizia sulla terra" è l'altra parola di questo seminario. Una parola che praticamente non si usa più nel senso presupposto dal nostro discorso. Ora è stata confinata in espressioni del tipo "i problemi della giustizia", 'il ministero di grazia e giustizia" e simili.
Si sono invece moltiplicati i richiami - dalla chiesa al sindacato - all'altruismo alla solidarietà. "Mercato e solidarietà" è il massimo della sintesi. Ma chi non vede che mentre col primo termine si esprime qualcosa di duro, di razionale, di programmato, di indifferente a tutto meno che al profitto, col secondo, in tale compagnia, difficilmente si riesce ad esprimere più che un appello dai contorni vaghi e indefiniti?
E' don Dossetti che in Sentinella quanto resta della notte (Is. 21,11) (pp. 12-17), la commemorazione di Giuseppe Lazzati nell'anniversario della morte, accenna alla debolezza del ricorso alla mera solidarietà. E lo fa riferendosi al pensiero di matrice ebraica di Levinas dove invece si parla di obbligazione: la Thorà è data dalla luce di un viso. L'epifania dell'altro è ipso facto la mia responsabilità nei confronti dell'altro: la visione dell'altro è fin d'ora un'obbligazione nei suoi confronti ( ... ) la coscienza è l'urgenza di una destinazione che porta all'altro, non l'eterno ritorno su di sé". Dossetti sta parlando della notte della comunità. Questa notte consiste nella perdita del "Conessere ... cioè l'esserci al mondo insieme" con lo sbriciolamento "della comunità in componenti sempre più piccole ... sino alla riduzione al singolo individuo". Riportando il pensiero del prof. Miglio egli continua "è il singolo ciò su cui l'ideologo della Lega costruisce tutta la sua dottrina: i diritti sono degli individui, il diritto è solo individuale. E perciò rispetto agli altri non vi possono essere che contratti, in funzione dei rispettivi interessi e del reciproco scambio". Citandolo poi direttamente aggiunge: "noi stiamo entrando in un' età caratterizzata dal primato del contratto e dall'eclissi del patto di fedeltà". Dossetti cita poi un interrogativo di Cacciari in dialogo con Miglio: "Che cosa differenzia un tale sistema da quello che regola gli accordi fra imprese industriali e commerciali?"
La separazione dell'individuo dal gruppo e dalla comunità, la sua astrazione dalle relazioni umane che pure lo costituiscono, per farne un polo di diritti senza obbligazioni, rappresenta la perdita del senso. Invece l'accettazione della obbligazione, quella che mi vincola all'altro, per riprendere Levinas, rappresenta "la nascita del senso, l'evento fondante l'instaurarsi di una responsabilità irrecusabile: ( ... ) Ben avanti ogni sermone edificante, ogni moralismo, ogni paternalismo. C'è una relazione e una responsabilità che mi costituisce prima ancora che io possa chiedermi come devo comportarmi e cosa devo fare".
Dossetti tiene la commemorazione nel 1994, poco dopo la sconfitta elettorale democristiana, e in apertura del discorso afferma: "non (è) tanto lo sbandamento elettorale dei cattolici, ma le sue cause profonde, oltre gli scandali finanziari e oltre le collusioni tra mafia e potere politico, soprattutto (è) l'incapacità di pensare politicamente, la mancanza di grandi punti di riferimento e l'esaurimento intrinseco di tutta una cultura politica e di un'etica conseguente" (pp. 3-4).
Ho seguito il discorso di un testimone italiano appena scomparso perché la "giustizia sulla terra" concretamente si fa a partire dalla propria terra, dal proprio contesto culturale ed organizzativo. Don Sirio Politi quando era tra noi era solito dire "chi lotta e soffre su una zolla di terra, lotta e soffre su tutta la terra".
Verso la fine Dossetti mette in guardia contro "l'illusione dei rimedi facili e delle scorciatoie per uscire dalla notte". Anche se c'è da insistere nel chiedere e ripetere la domanda: "sentinella quanto resta della notte", la risposta è lasciata in una voluta ambiguità.
"La sentinella risponde: viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandate, domandate, convertitevi, venite".
Intanto possiamo seguire la traccia indicata da questo monaco tentando di rovesciare le negatività da lui denunciate: imparare a pensare politicamente, cercare con tutto il proprio essere i grandi punti di riferimento e ricostruire una cultura politica basata su un'etica all'altezza della sfida della mondializzazione.
E' quanto in questi giorni tenteremo di fare.
Roberto Fiorini
in Lotta come Amore: LcA giugno 1997, Giugno 1997
Luigi Sonnenfeld
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