"Temo uno sbocco militare"

Il parlamentare dell'opposizione Javier Diez Canseco, 48 anni, è stato uno dei primi ostaggi a essere liberato dai membri del Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru (MRTA) che hanno occupato la residenza dell'ambasciatore del Giappone a Lima in cui trattengono 72 ostaggi. Da quando è stato liberato, Diez Canseco dedica tutto il proprio tempo a cercare una soluzione pacifica della crisi.

Come valuta i fatti?
E' chiaro che Fujimori ha subìto un colpo molto duro. Egli fondava la sua popolarità su due cose: il controllo dell'iperinflazione e, dall'altra parte, i duri colpi inferti ai movimenti sovversivi, in particolare al terrorismo senderista e alla stessa dirigenza del MRTA.
I peruviani hanno scoperto che una soluzione militare al problema della violenza ha solo compresso i problemi, senza risolverli, e che non c 'é stata una soluzione politica. Pertanto, hanno scoperto la fragilità di questo processo di pacificazione.
Anche la Chiesa ha avuto la chiarezza di cominciare a parlare di pace e giustizia, legando il problema della pace ai gravi problemi sociali, ma anche di solidarietà e di giustizia per cercare di affrontare in un modo più duraturo tutto questo fenomeno.

Chi gestisce la crisi dell'ambasciata?
Non ho dubbi che siano lo stesso Fujimori e il suo entourage militari sta. È Fujimori, insieme al suo consigliere Vladimiro Montesinos, il "Rasputin" del regime, il vero dirigente dei Servizi Segreti Nazionali. L' MRTA aveva lasciato intravedere che stava preparando un'azione di grande portata. Sono certo che l'irresponsabilità dei servizi segreti e della polizia sia stata maggiore di quanto appaia in questo momento, e il prezzo politico che il governo dovrà pagare è indubbiamente uno dei suoi problemi più seri.
Questa è una delle principali ragioni per cui temo una soluzione militare, perché, se ci sono morti, i militaristi di sempre diranno che non c'è altra soluzione che quella militare e che pertanto la militarizzazione del paese non solo deve continuare, ma deve rafforzarsi. Cioè, vogliono coprire col sangue la loro stessa irresponsabilità, la loro inattività.

Chi altri si oppone a una soluzione pacifica negoziata?
Non solo i settori militaristi nel governo vogliono minare l'accordo. Anche il settore più sanguinario di Sendero Luminoso (SL), quello diretto da "Feliciano", che assassina i civili sgozzandoli brutalmente, come è avvenuto nella Sierra Nord, o sfondandogli il cranio a sassate, e non lo fa per un obiettivo militare, ma politico: dimostrare che i genocidi continueranno come sempre, e che non c'è possibilità di dialogo con loro.

Che cosa risponde ai settori al governo che non credono possibile una soluzione negoziata?
È ridicolo dire che non c'è spazio per una soluzione politica negoziata per il fatto che 1'MRTA è un gruppo molto piccolo. Primo, è assurdo pensare che l'MRTA sia tutto dentro la residenza dell' ambasciatore, perché l'infrastruttura necessaria per realizzare un' operazione di questa portata, moltiplica per cinque il loro numero. Secondo, la freddezza e la preparazione che rivelano non è frutto di un laboratorio, ma dell'addestramento in un fronte armato nella selva centrale. Terzo, perché se qualcuno è in grado di generare una situazione di destabilizzazione come questa, vale la pena di cercare di cambiare il linguaggio dei fucili con quello della politica. Quarto, al di là del fatto che l'MRTA sopravviva o meno, le condizioni della violenza in Perù, a causa della povertà, della delusione, della frustrazione, sono sempre presenti. E se non disattiviamo i promotori di questa violenza e se non troviamo un meccanismo di concessioni reciproche in un paese in cui la distanza fra ricchi e poveri è sempre più grande, e nel quale non c'è l'abitudine di consultare, di unire, ma uno stile politico autoritario, del tipo "io sono il padrone della verità e so tutto", non andremo da nessuna parte. Per ora sento che stiamo in un regime "autistico", rinchiuso in se stesso e senza capacità di dialogo, di negoziato.

Che prospettive vede per questa situazione?
Nonostante il fenomeno sia complicato, e nonostante occorra valutare con ponderazione, credo che si possa aprire in Perù un quadro nuovo, diverso, in cui imprenditori, intellettuali e politici si pongano il problema della pace come un problema politico, la riconciliazione nazionale come parte di un progetto nazionale integrale. Per la via del dialogo il Perù può trovare un processo più positivo per tutti. Si deve comprendere che la gente non può vivere aspettando le briciole che cadono dal piatto dei ricchi per trovare una speranza di futuro, ma deve avere un progetto di paese, che dia futuro e garantisca una prospettiva di pace.

(Fonte : Noticias Aliadas, Perù 30/01/97 - Trad. SIAL Servizio Informazioni America Latina, marzo 1997- via Bacilieri 1/A - 37139 Verona - tel, 045/8900329 - fax 045/8903199)

IL COMPAGNO EVARISTO E GLI ALTRI
Nessuna Corte internazionale di giustizia condannerà Fujimori per i reati di strage: quello consumato nell' ambasciata giapponese e quello che il presidente peruviano quotidianamente compie all'interno delle "sue" carceri. Ma la condanna verrà dalla storia che farà tesoro dell' indignazione, della rabbia e del dolore che oggi sgorgano dal cuore di tanti esseri umani. E' per "far tesoro" che pubblichiamo qui di seguito (parte del)l'articolo dello scrittore Luis Sepulveda apparso su "il manifesto" il 24 aprile scorso. (da Adista - 3 maggio 1997)

...il telefono ha suonato e la voce agitata di Cerpa, Evaristo, diceva: "Mezz'ora fa si è ritirato l'ambasciatore del Canada, l'attacco contro l'ambasciata è cominciato. Moriremo tutti, fratello, e cadiamo per il Perù e l'America Latina".
Sono le due del mattino quando scrivo queste righe e sono preda di una tremenda rabbia perché tutti gli sforzi andavano in direzione di un negoziato. Un mese fa ne parlai con l'ambasciatore dell'Uruguay in Perù, che era uno degli ostaggi liberati dal Mrta, e lui mi assicurò che gli occupanti della residenza giapponese erano tutti molto giovani e molto colti, e che nessuno degli ostaggi aveva paura di loro. Adesso le agenzie parlano della morte di tutti quei compagni, che sbagliassero o no compagni, perché è bene che si sappia una maledetta volta per tutte che tutti quelli che si ribellano in America Latina, dai ragazzi combattenti del Chiapas fino ai detenuti politici del Frente Manuel Rodrigues in Cile, sono una sola grande famiglia che con orgoglio assoluto va avanti nella traccia lasciata dal Che, perché non ci è stato lasciato altro cammino, perché la pace non convive con lo sfruttamento, perché la dignità non la decide il Fondo Monetario Internazionale, perché le speranze del continente non le amministra la Banca Mondiale, perché la sete di giustizia sociale non si è saziata con la caduta del falso mondo socialista né con l'avvento del nuovo ordine internazionale.
Non so ancora quanti guerriglieri del Mrta siano morti, neanche conosco quanti ostaggi siano caduti e neanche a quanto ammontino le perdite dell'esercito peruviano. Tutto importa, perché si è scritta una nuova pagina della storia nera dello sfruttamento e della repressione della storia dell'America Latina.
Oggi i governanti del mondo si affretteranno a salutare l'energia e la decisione di Fujimori, ma i detenuti politici continueranno a morire secondo dopo secondo nelle galere peruviane. Appena un mese fa Fidel Castro aveva offerto asilo ai guerriglieri del Mrta ma loro risposero che non avevano preso d'assalto l'ambasciata per guadagnarsi una vacanza a Cuba, bensì per strappare alla morte 400 compagni. Questo si chiama dignità, valore, avere le palle in politica.
Per quanto non serva più a nulla, saluto quei compagni caduti, i miei compagni, che forse sbagliavano o forse no, ma che hanno dimostrato che il capitalismo non ha la minima chance di dormire sonni tranquilli.
Con ogni donna o uomo che muore per la giustizia sociale muore anche qualcosa della decenza umana. Però qualcosa resta, ed è proprio quel qualcosa che ci fa inghiottire la rabbia e ripetere a denti stretti: Vinceremo!
Luis Sepulveda, scrittore cileno




in Lotta come Amore: LcA giugno 1997, Giugno 1997

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