Pace e ipocrisia

Ormai parlare di pace, proporre la pace, discutere e pregare per la pace, è impegno che si è andato allargando nella coscienza individuale e collettiva. E chi è che non si dichiara per la pace? E di pace si riempie la bocca e di pace tratta con carta e penna?
Ugualmente capita per la nonviolenza. La non violenza sta diventando la cultura di questi ultimi decenni del secolo. Anche, se a dire il vero, questi ultimi decenni concretamente sono tempi di inaudita violenza. Milioni di morti nelle "guerrette" qua e là per il mondo. Killeraggio disinvolto, normalizzato, negli scontri di potere mafioso. Commercializzazione ad alti livelli della morte con la produzione e collocazione di armamenti e di droga. Milioni di morti di fame ogni anno. Sfruttamento incontrollabile delle risorse naturali e nel frattempo riversamento incontenibile di rifiuti inquinanti ad assassinare la terra da coltivare, l'acqua da bere, l'aria da respirare. Più i due blocchi est-ovest che si ostinano per amore di pace a tenere col fiato sospeso l'umanità sull' orlo dell' abisso nucleare, aumentando sempre più quei quindici miliardi di tonnellate di tritolo, l'equivalente del potenziale nucleare. E ora, come se non bastasse, cercano di coinvolgere anche le stelle progettando le cosiddette guerre stellari.
Pace e nonviolenza stanno diventando paurosi equivoci.
Non soltanto perché c'è il rischio, estremamente pericoloso, di convincersi a stare tranquilli, a fidarsi ad occhi chiusi di chi gestisce il potere, impegnando questa passività nella ricerca di fare i propri interessi e provvedere saggiamente e più abbondantemente che sia possibile, alla migliore sistemazione economica politica della propria carriera. L'equivoco micidiale è quello culturale. Tutti ne sono consapevoli, tutti, dall'uomo della strada all'uomo di cultura, dal dirigente sindacale, all'imprenditore industriale, dal politico all'ecclesiastico... che il mondo nel quale stiamo vivendo è spaventosamente nell'ipocrisia, nel fariseismo più sfrontato.
E, secondo il giudizio del Vangelo e la spada a due tagli della sua Parola, l'ipocrisia, il fariseismo, il camuffamento del male come bene e del bene finalizzato al male, merita soltanto una parola terribile: "guai", che nel linguaggio biblico suona come maledetti, segnando un'impossibilità di recupero.
Così è della pace: un bene supremo, assoluto, strumentalizzato per il potere, asservito all'interesse politico, economico, militare, religioso. Un bene essenziale, vitale per il popolo, come l'aria che si respira, che si stravolge contro il popolo.
Pace e intanto l'industria bellica è l'economia che più tira nel mondo in interessi capitalistici sconcertanti. Pace e i regimi dittatoriali militari sono i più che dominano nel mondo e tutti disinvoltamente sostenuti ad ogni livello dagli imperi che si spartiscono il mondo.
Pace e i blocchi si fronteggiano rafforzando i potenziali capaci di distruggere l'umanità
Pace e la guerra economica si scatena sempre più per il possesso di mercati e di sfruttamento, costringendo ad una sotto umanità il sud del mondo per favorire la superumanità del nord. Pace e fra i poveri si riflette la guerra delle multinazionali e sempre più il miraggio dell' arricchimento lustra la canna della pistola e il fucile delle canne mozze.
Pace, pace, ma nessuno, o quasi, crede che povertà sia decisiva per la pace. Che la semplicità sia condizione essenziale, costruttiva della non violenza. Che serenità è pace proporzionalmente ad un lasciar cadere assurde pretese. Che pace è essere felici anche delle piccole cose. E che non violenza è rifiuto d'imposizione, di forzatura culturale, sociale, politica, psicologica, morale e religiosa: nonviolenza è rapporto con ogni essere umano da pari a pari e se antecedenza e preferenza vi dev'essere è dell'altro, tanto più se l'altro è povero, indifeso, oppresso, infelice. Nonviolenza è lasciar cadere ogni e qualsiasi assolutizzazione, è rifiutare ogni occasione di essere monumento e demolire qualsiasi piedistallo per altri monumenti. Perché "pace, pace": e ancora è favorita, sollecitata, benedetta una convivenza sociale basata sulle differenze economiche, culturali, politiche, un cristianesimo individualistico, ghettizzato, intimi sta, devozionale... Pace e la pace è diventata il grande equivoco che rafforza il potere, copre di un rimboschimento spaventoso di missili di qua, di là, dovunque, questo povero mondo e giustifica le egemonie, gli imperialismi, le ideologie e gli impazzimenti più disumani. Pace è la spietata ipocrisia che la cultura imperante, quasi tutta venduta al potere, sta dilagando, perché nasconde la guerra e la violenza mimetizzando la, contrabbandandola come scienza, progresso, libertà. Fariseismo camuffato di pace è spesso una pastorale che filtra, passa e ripassa al setaccio dell'ortodossia, le bevande per scoprire il moscerino e nel frattempo disinvoltamente ingoia e impone che sia ingoiato, il cammello. Purifica e lava l'esterno del piatto e del bicchiere e intanto li riempie, e spesso traboccano, del proprio interesse, prestigio, autorità. Pace, pace... ma spesso è imbiancatura di sepolcri: all'esterno appaiono belli sì che sembrano grandi opere sociali, imprese umanitarie, congressi prestigiosi, salvezza dell'umanità... e invece dentro sono ossa di morti e marciume.
Forse è venuto il tempo in cui il capitolo 23 di Matteo è di una attualità sconvolgente, a leggerlo come criterio di giudizio della realtà storica del nostro tempo. E se questa lettura storicizzata non è consentito farla perché verrebbe stimmatizzata e repressa come Teologia della Liberazione, allora forse è più semplice e onesto togliere una volta per sempre molte pagine del Vangelo e bloccare definitivamente il Cristianesimo alla devozione.
Perché mai come oggi l'equivoco, il distorcimento, la manipolazione, il surrogato, il sofisticato, l'inquinamento, il propagandismo, la sponsorizzazione, la pubblicità, la reclamizzazione... è il pane che si mangia, il vino che si beve, la cultura che ci propinano, la politica alla quale si crede, la religione che si pratica, la pace nella quale si spera. Di verità sotto il cielo pare quasi che non esista più niente. E tanto meno di semplice, d'immediato, di onesto, di cuore aperto... Fra le tante proposte del Vangelo tutte sicuramente norma fondamentale di sincerità di vita e di onestà di rapporti ve n'è una, che nel nostro tempo, è. particolarmente inascoltata e disattesa, pur essendo la chiave di volta del Cristianesimo: la tua parola sia sì, sì, no, no, perché ogni aggiunta viene dal maligno.
Non può non porsi, a lasciarsi andare a certe riflessioni non accomodanti, per ogni coscienza onesta, il problema: se le cose stanno così - e sembrerebbe - cosa fare?
A dire il vero lascia piuttosto perplessi che in una così pesante degenerazione di valori, qual è l'equivoco, l'ipocrisia, degenerazione che investe così radicalmente il vivere umano fino a sembrare normalità di cultura, di comportamento, come dire, una moralità corrente, non si sappia in concreto cosa fare.
Questa moralizzazione dell'immoralità è il segno inequivocabile che ormai il male è cronicizzato. E inoltre è anche la riprova di un arrendersi, se non proprio di un assecondamento, da parte delle centrali che fanno cultura, che formano le coscienze e che gestiscono i grossi mezzi d'informazione, a che la fiumana straripi dove e quando vuole. Una vera e propria sconfitta, si direbbe, della Religione e della Civiltà.
Cosa fare.
Come prima fatica bisognerebbe provvedere immediatamente ad una rimozione: togliere prima di tutto la trave che è nell'occhio, cercare cioè di avere capacità visiva e di giudizio, purificata, libera È' chiaro: questa rimozione a livelli personali, collettivi: più ampliati che sia possibile. L'ipocrisia è condizione psicologica tutta particolare: è facile vederla e inorridirne intorno a noi e nel mondo, è difficilissimo riscontrarla in noi stessi e nel nostro comportamento. D'altra parte lottare contro l'ipocrisia vuol dire prima di tutto non essere ipocriti.
Poi è necessario tirarci fuori e coraggiosamente, da ogni intrigo, complicazioni, compromessi, forse occorre attenzione anche alla troppa prudenza, all'eccessiva saggezza... Nel frattempo cercare di riconsiderare e ritrovare il fascino della sincerità, della semplicità, la gioia e la dignità di essere quello che siamo, nel superamento di ogni complesso: riscoprire cioè, nello specchio della verità, la propria vera immagine e preferirla a qualsiasi altra.
Respingere ogni ipocrisia comporta logicamente non intrallazzare, non incensare, non aver paura... Non pretendere, non aspettarsi niente, fregarsene disinvoltamente dell'importante, del personaggio.
Non adattarsi a dipendenze, sudditanze, servilismi e tanto meno pretenderli e imporli. E poi aiuta molto un'inesauribile capacità di umorismo...
Accenni certo, e banalissimi se volete. E' praticamente impossibile ammaestrare sulla sincerità, la schiettezza, la verità. Anche perché dovrebbe essere cosa semplice, spontanea, come camminare, come respirare... E' certamente decisivo avvertirne l'importanza vitale, come sentire il cuore che palpita. Trattandosi poi di pace, attenzione: bisogna avere il cuore puro, limpido, liberato da qualsiasi ombra o penombra di ipocrisia, a voler vivere in pace e per parlare di pace, lottare per la pace.
Ogni e qualsiasi intenzionalismo, a livelli personali, sociali, politici, religiosi, fino alle realtà di potere mondiale, quello che decide se l'umanità deve vivere o sparire, ogni intenzionalismo, rende la pace ipocrisia, inganno, equivoco miserabile.
Perché di pace ce n'è una sola, è identica la pace per sé stessi e per ogni essere umano, oppure è ipocrisia cioè la guerra.
E' così, veramente, nel cuore di ogni uomo e nel cuore del mondo.
don Sirio
(da Lotta come Amore - ottobre 1984)


in Lotta come Amore: LcA giugno 1997, Giugno 1997

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