Cosa fare?

Stiamo mettendo insieme questo numero del giornalino in un rapido "crescendo" di temperature: è metà maggio, ma sembra già estate.
Il caldo, il sole, ma soprattutto l'incalzare della stagione turistica con le case da affittare e perfino le tettoie e i garages, spingono all'aperto coloro che, durante l'inverno, avevano potuto trovare un rifugio meno precario, ma sempre e comunque temporaneo.
Un piccolo rivolo di uomini e donne senza altro obiettivo che quello di sopravvivere ogni giorno e di riposare qualche ora di notte.
Segno più di disadattamento che di povertà. Questa abita nelle case e sa di ticket sanitari, di bollette minacciose, di bustepaga già spese ancora prima di averle in mano...
Due italiani su dieci, recitano le statistiche, vivono sotto la soglia di povertà. Ma le statistiche, come non ci mettono in mano l'ormai famoso mezzo pollo a testa consumato in media da ogni italiano, così non ci possono costringere a guardarci intorno sempre e comunque per individuare i "due" su dieci matematicamente poveri. Ci sono realtà territoriali in Italia dove, su dieci persone, ci sono dieci poveri. Dove la povertà non è un problema fronteggiabile con la solidarietà di vicinato, ma è strutturale.
Nasce, cioè, non per caso, ma da condizioni di approfitto e privilegio. Da spirali di accaparramento delle risorse intrecciate e, molte volte, paradossalmente incrementate dai tentativi di intermediazione della politica assistenziale.
E si sposa a condizioni di lavoro che ritornano ad essere largamente tollerate anche se fuori di ogni regola perché ciò che conta (e che dà legittimità allo sfruttamento) è dare un boccone di pane oggi ridurre gli indici di disoccupazione, dimostrare che si fa qualcosa... Racconti di schiavitù che riguardano non solo le prostitute africane o dell'est, ma ragazze della periferia milanese chiuse nelle "catene" del lavoro a cottimo, quello di tipo "cinese" tanto per capirci; lavori industriai studiati a tavolino da progettisti preoccupati di tutto fuorché di evitare di creare vere e proprie macchine di tortura per operai costretti a lavorare all'inferno di temperature impossibili, di cunicoli da topi, di gas che all'aria aperta immobilizzano i traffico di intere città.
Carrara, il bianco marmo delle Apuane, Michelangelo e le grandi cattedrali di tutti i tempi: cinque (5) morti sul lavoro solo in uno scampolo di anno. Schiacciati dal bianco che più bianco non si può. Non si può...!
Violenza strutturale del potere del denaro che non è più simbolo di ricchezze prodotte o della gestione di proprietà, ma ha ormai valore in sé e - come un idolo mostruoso - genera se stesso imponendosi all'adorazione del mondo come indiscutibile assoluto.
Violenza strutturale che suscita violenza e disperazione negli esclusi, nei vinti, nei grandi numeri di quegli oltre quattro miliardi di uomini e donne che fanno da piedistallo al "monumento" di quegli ottocento milioni che vivono nello sviluppo.
E che sviluppo! A sua volta connotato da condizioni di disparità abissale e di incontrollabile violenza al suo interno.
Maryjane, infermiera in una agenzia di assistenza domiciliare nella "grande" Pittsburgh (USA), racconta che in alcune aree metropolitane non può andare senza la scorta comandata di un poliziotto che ha spesso, lui per primo, una gran paura. Sarajevo, l'Albania, sono periferie scomode da cui tutelarsi con invii di aiuti protetti dai blindati. Dal Perù, come dalla regione centro africana dei grandi laghi, basta - per difendere la tranquillità di casa - il silenzio degli organi di informazione che liquidano imprigionamenti e massacri con "due righe" subito sopraffatte da altre notizie.
Cosa fare?
L'interrogativo può apparire il risultato di uno sconforto, di una disperazione assoluta.
I meccanismi che determinano lo squilibrio e l'ingiustizia abissale di cui soffre gran parte dell'umanità, sembrano avere la forza della natura, la inderogabilità dei fenomeni naturali e soprattutto quella "sacralità" che ciò che è naturale ancora richiama nella nostra cultura. Occorre - prima di tutto - mettere in atto una forte resistenza interiore ai messaggi che invadono ogni angolo della nostra esistenza per convincerci che non c'è niente da fare.
Uscire quindi dall'isolamento e dal senso di impotenza che i messaggi massificanti provocano in noi. Cercare contatti concreti con chi porta avanti testimonianze critiche; non rifiutarsi ai "piccoli" gesti che aiutano a sentirsi vivi e - soprattutto - prendere sul serio la ribellione, ogni ribellione. Segno di tempi che maturano eventi nuovi ogni volta che, dalle viscere tormentate di questa umanità e di questa storia, sale la voce della coscienza e grida "basta"!



Luigi


in Lotta come Amore: LcA giugno 1997, Giugno 1997

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