Il quattro Ottobre

Il 4 ottobre di ogni anno, il capannone di via Virgilio 222 nel Porto di Viareggio è aperto a tutti dalle 16 in poi, per una festa semplice e sempre assai affollata. Dal 1979 questa data - ben più conosciuta come festa di S. Francesco d'Assisi! - segna il "compleanno" di questa struttura, aperta "a più mani" e intrisa di tanti sogni e idealità.
"Utilizziamo queste righe" - scrivevo in Lotta come Amore dell'ottobre del 1979 - "per informare i nostri amici dei primi passi di questa nuova creatura che occuperà una buona fetta del nostro quotidiano. Intanto avvertiamo che i traslochi sono stati fatti ed il 4 ottobre, con un incontro fraterno intorno a una damigiana di vino tra quanti hanno dato una mano, è stato ufficialmente inaugurato il nostro nuovo ambiente di lavoro... A Sirio, Rolando e a me si è aggiunto Beppino, non più determinato in modo totale dai suoi ragazzi e quindi abbastanza disponibile per riconvertirsi dal ruolo di casalingo tuttofare ad un lavoro e a interessi diversi. Siamo in quattro ad occupare uno spazio grandissimo voluto per un impegno allargato nella realtà del lavoro, quella artigiana in particolare".
Un paio d'anni prima cominciammo a parlare del "progetto".
Don Sirio, a quel tempo, continuava ad andare a lavorare a Bicchio, nella vecchia officina, in uno sforzo di fedeltà all'amicizia con don Rolando. lo mi arrabattavo sotto le lamiere della baracchetta di lamiera sull'angolo vicino alla Chiesetta. Sentivamo di lavorare per lavorare: per delle briciole di dignità economica e umana, ma in una realtà che era solo la "maschera" impallidita di una condivisione della condizione di rischio e di impegno della gente lavoratrice.
Cercavamo un luogo abbastanza ampio per allargare progressivamente il nostro lavoro del ferro a una "comunità" di piccole imprese artigiane di lavorazione del legno, ceramica, cuoio, ecc., sotto un unico tetto. In Darsena, in quanto volevamo che questa attività artigianale vivesse il respiro serio del lavoro, le tensioni del mondo operaio, la ricchezza umana di una realtà ambientale come quella del porto di Viareggio.
Nel numero di luglio del 1979, sempre su Lotta come Amore, potevo scrivere con orgoglio: mese di maggio è nata una nuova" "ditta" nel porto di Viareggio: la nostra! (C.A.V. Centro Artigiano Viareggio)... Ritorniamo a insieme: e questo dovrebbe essere un primo motivo di gioia anche i nostri amici... Abbiamo trovato un capannone di circa 500 mq. e, dopo varie avventure nel mondo della burocrazia, l'abbiamo acquistato... con la fiducia di amici che ci hanno dato forti prestiti... che intendiamo restituire fino all'ultima lira".
Cosa intendevamo fare in questo capannone?
La prima cosa che ci interessava fare era sviluppare il lavoro artigianale in senso stretto. Un lavoro manuale, creativo, responsabilizzato a tutti i livelli, dal reperimento della materia prima alla sua collocazione sul mercato a prodotto finito, rispettoso dei valori d'uso e comunque non facile preda del consumismo.
Inoltre ci interessava lavorare partecipando i problemi, le lotte della classe operaia concretamente presente a Viareggio e, naturalmente, la vita. Infine, ci proponevamo di realizzare un ambiente aperto all'interesse dei giovani in modo da offrire uno spazio concreto a quanti, imparando un mestiere, potevano ritenere di qualificare le proprie mani e affrontare il problema del lavoro con uno spirito di indipendenza e di fantasia. "Sappiamo" - ancora sullo stesso numero del luglio 1979 - "che noi stessi abbiamo ancora tanto bisogno di chiarirci le idee. Comunque il treno è ormai partito e, mentre ora sono iniziati i primi lavori di assestamento del capannone, Sirio, Rolando e io ci siamo saltati sopra forse, ancora una volta, più con il cuore che con la ragione. A questo nostro vecchio peccato sappiamo ormai che i nostri amici sono abituati".
Il primo "muro" da affrontare in questo nostro rinnovato incontro con la realtà è dato dalla necessità di lavorare molto, molto di più che non nelle precedenti condizioni di un lavoro sufficiente a se stesso. Le rate dell'impegno economico assunto per rilevare il capannone (proprietario per legge sarebbe diventato dopo un anno il Demanio Marittimo e noi semplici affittuari) erano pesanti e l'aiuto consistente di amici serviva a posticipare gli impegni, non ad annullarli. Prendevamo una "paga" ridotta all'osso, per la pura sopravvivenza. Credo, a questo proposito, che dovremmo riflettere sul rapporto con il "denaro" che avevamo, prima al Bicchio e poi nel periodo del Capannone. Una povertà concreta, ma mai idealizzata nella realtà quotidiana, quella di Sirio. Eppure, questo suo "stile" è stato solo imitato (ognuno in questi anni ha trovato il suo, e questo è sicuramente positivo) e meriterebbe ancora confrontarcisi anche per capire meglio tutto un "percorso" di quegli anni.
Il secondo "muro" erano le condizioni ambientali in cui lavoravamo. "Se vuoi patir le pene dell'inferno: fabbro d'estate e murator d'inverno!" recita un vecchio detto. Sotto il tetto di eternit, in assenza di vie d'aria sufficienti, il Capannone diventava un forno d'estate: inferno due volte per noi fabbri. E una ghiacciaia d'inverno!
Da Lotta come Amore, gennaio 1980: "Un gelo, quello di tante mattine, stemperato appena dal calore del ferro passato nella forgia e portato qua e là come uno scaldino, tanto perché non si inchiodino le mani. Per i piedi invece la soluzione è affidata al legno. Dopo avermi preso in giro perché li usavo, Sirio si è appena convertito agli zoccoli valdostani ... Rolando ha un paio di "scroi" locali con robusta suola in legno. Beppino invece è affezionato ad un paio di scarponi ormai leggendari per le loro dimensioni tanto che, da lontano, prima vedi gli scarponi, poi lui che c'è dentro". Eravamo così giovani, a cominciare dai più vecchi! E lo scherzo, la battuta, il riso punteggiava le nostre giornate. Ma che freddo!!!
Il terzo "muro" lo avevamo avvertito da subito: "Sentiamo tutta la pressione sociale che vorrebbe fare di questa nostra iniziativa un fatto assistenziale nel campo dell'handicap e della droga" (LcA, luglio 1979).
Già all'inizio del 1980 scrivevo su LcA: "Sta prendendo consistenza (ma è anche una consistenza di ... carta nel senso che per ora siamo ai manifesti) la possibilità che prenda avvio un corso di formazione professionale per ceramisti con un gruppo di una quindicina di persone con la presenza di tre handicappati...
Pur essendo una iniziativa pubblica non intacca minimamente la nostra natura di iniziativa privata, cioè a dire di iniziativa di lavoro uguale in tutto e per tutto a qualsiasi altra ditta artigiana".
Non potevamo sapere, tenaci artigiani del C.A.V., che questa non era un'acqua da cui ci saremmo potuti riparare con un qualsiasi ombrello. Sarebbe diventata un... "diluvio" e, per sopravvivere, ci sarebbe voluta un'ARCA.
E cioé l'associazione Ricerca Cultura Artigiana.

(continua)

Luigi


in Lotta come Amore: LcA ottobre 1996, Ottobre 1996

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