Vi racconteremo della nostra storia, dei nostri ricordi, vi parleremo della nostra vita, dal giorno in cui è nato il nostro odio verso 1'esercito. Nessuno di noi della comunità ha dei buoni ricordi dell' esercito.
Io e Dona Estebana, per esempio, odiamo i militari perché sono i responsabili della scomparsa di due nostri figli dei quali non abbiamo più saputo niente dal giorno in cui sono stati catturati. Vorremmo tanto sapere se sono ancora vivi, oppure conoscere che cosa ne hanno fatto, se li hanno assassinati o che altro. Ma ci sono anche molti altri motivi e adesso con calma ne parliamo. Tutte le domeniche, molti di noi contadini, ascoltavamo alla radio il messaggio del Monsignor Romero ed anche per merito delle sue parole li abbiamo tanto odiati ed ancor di più dopo che lo hanno ucciso. Bisogna dire che non a tutti piaceva il Monsignore ed infine c'erano anche quelli che spegnevano la radio appena lui incominciava a parlare. I militari invece spensero il Monsignore.
Quando poi ci furono i funerali di Romero arrivarono gli squadroni della morte che misero una croce rossa su un loro quaderno accanto al nome di molti che vi stavano partecipando, tra i quali quello della nostra nipote. La croce voleva dire che era contraria al governo dei militari, era come una sentenza di morte: prima o poi la avrebbero uccisa ed infatti la uccisero.
II giorno in cui mi catturarono mi dissero: "qui c'è la sua croce rossa". Mi fecero vedere il mio nome con a fianco una croce rossa su un libretto; "e qui c'è quella di sua nipote Dominga", così si chiamava la poverina.
Tempo dopo la incontrai mentre fuggivamo da una rappresaglia; era notte e correvamo su per i monti con le signore ed i piccoli: la vidi c le dissi di stare molto attenta. Lei mi rispose "sì hai ragione nonno, però noi dobbiamo andare a guadagnarci la libertà".
Il giorno seguente entrarono nelle nostre abitazioni: "Ahi Dominga, vengono le guardie" pensai.
Si indirizzarono da lei e le dissero "Adesso la ammazziamo" .
Ancora mi ricordo la scena, lì davanti c'era un bambino che stava raccogliendo dell' acqua, presero questa poveretta e la uccisero. Già la nostra sofferenza era grande, ma in quei momenti fu terribile, anche perché venne uccisa solamente per essere andata ai funerali del Monsignor Romero. Questi signori si accanirono contro di noi solo perché ci piaceva la parola del Monsignore e questo a loro bastava a loro per odiarci.
Conoscevamo Romero dal giorno in cui venne a celebrare una messa ed a pregare per nostro figlio che era stato assassinato. Da quel momento in poi i militari si accanirono sempre più ferocemente contro di noi nel villaggio.
L'altro nostro figlio lo catturarono nel 1982 mentre tornava da pescare con Lola, la sua fidanzata, ed un amico. Io conoscevo i militari del nostro dipartimento perché erano gente come noi e quando li catturarono andai dal comandante Feliz Guardado e mostrandogli una foto dissi:
"Guarda, Feliz, lo conosci questo ragazzo?". "No" mi rispose "non lo conosco". "Guarda Feliz che questo è mio figlio, con lui avevi fatto la naia a Milopango!". "Non è così, era con un altro dipartimento" .
Mi fermai lì ad aspettare, finché vidi i tre ragazzi portati via in camion dai militari. Dopo poco il camion si fermò ed io capii che stavano per ucciderli. Corsi verso il tenente ed aggrappandomi stretto a lui lo supplicai affinché non li facesse uccidere ma spararono lo stesso, colpendo per ultima la Lola. Le spararono in testa e nel petto ma per un miracolo non la uccisero perché i colpi uscirono da parte a parte e lei si riuscì a buttare giù per un dirupo.
Gli altri due non potemmo neanche seppellirli per paura che uccidessero anche noi.
E' così che ormai il nostro odio si era formato. Venne il giorno che catturarono anche me. Stavo arando il terreno per far crescere il mais, i bambini raccoglievano le pannocchie quando venne la mia unica figlia, Olga che era piccolina e mi disse: "Guarda papà che stanno venendo i militari". Tornammo a casa di corsa.
La notte seguente bussarono alla porta, "Ahi sono arrivati" pensai, aprimmo la porta e trovammo quelli della Guardia Nacional.
"Entrate pure" gli dissi.
Subito accusarono mio figlio di essere un attivista e di fare propaganda anti governativa e mi chiesero dove era nascosto. Gli dissi che non ne sapevo niente. Incominciarono a cercare per tutta la casa ma non trovarono niente. Provai a parlare con il capo della guardia e visto che loro cercavano i miei figli gli dissi: "Certo che sono i miei figli però non so dove sono, uno è in fabbrica e l'altro lavora in un bottega di un calzolaio. Qui non troverete nessuna prova di nessun delitto perché non ne abbiamo commessi". "Voi nascondete armi!".
"Non abbiamo nessuna arma, ehi solo abbiamo le pure mani!".
Rimasero lì fino alle quattro della mattina, fino a che uno mi puntò un coltello sul collo e mi disse "Questa è l'ultima volta, parla". "Fate quello che volete, sono vostro, però non mi faccio carico di quello che non ho, meglio morire che dire quello che non so! Ed inoltre andrete incontro ad un castigo del Nostro Signore perché state per uccidere un uomo ingiustamente".
E loro arrabbiati urlarono con tono di disprezzo: "Hombre, questo vecchio. Alzati sovversivo!". Mi portarono via e mi tennero diversi giorni imprigionato verso Chalatenango. Arrivati al comando dissero: "Abbiamo portato questo sovversivo" e uno dei soldati rivolto verso di me: "Lì a casa tua non avevi nessuna colpa, ma qui sì". Mi legarono ad una corda ed incominciarono a tirarmi in aria ed a farmi cadere a peso morto cosicché io finivo sempre per terra. Una volta mentre stavo cadendo un soldato mi colpì sul ginocchio con il calcio del fucile e mi fece proprio male, mi usciva sangue da molte parti e ancora oggi ne porto i segni. Mi stavano ritirando di nuovo in alto quando arrivò un comandante e chiese che cosa stavano facendo con me e questi risposero: "lo leghiamo per fargli uscire la verità". "Per fargli uscire la verità? Ma è tutta la notte che sta soffrendo e non ha detto niente".
Era forse un po' più coscienzioso degli altri, mi portò via e mi diede una tortillita ed un pezzetto di formaggio e mi disse di mangiarlo. Chissà forse gli dispiaceva vedermi m quello stato. "Vuoi un po' di caffè?" mi disse. Io tremavo e volevo bere dell'acqua, ma avevo paura che gli avessero messo dentro qualcosa per cui dissi solo "No, grazie". Mi portarono una bottiglia con puro guaro, il soldato lo mischiò con il caffè e mi disse: "Prendi questo".
"No grazie, se lei ne beve un po' allora anch'io altrimenti mi rifiuto" risposi.
Fu così che versò un po' di caffè e molto di guaro, lo sorseggiò per primo ed allora anch'io ne bevvi un bicchiere.
Dopo un po' di tempo consegnò una nota alle guardie affinché mi portassero fuori e mi rilasciassero. Così mi portarono via in camion e mi lasciarono a San Isidro. Appena fui liberato vidi un mio amico Rafael Mcnjivar che mi abbracciò tutto contento per avermi visto ancora vivo. Mi disse che era stato un miracolo che fossi riuscito a salvar la pelle. "Vamos Santillo, torniamo a casa". Tornando incontrai anche la mia signora che mi stava cercando e che non sapeva dove ero. Così è stata la nostra storia.
Don Santos Y Dona Estebana
in Lotta come Amore: LcA marzo 1996, Marzo 1996
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455