Embargo: due paesi in una morsa

La parola "embargo" viene ripetuta più volte come un efficace alternativa alle misure distruttive della guerra guerreggiata. Non scorre sangue per l'azione militare diretta, ma gli effetti sulla popolazione sono comunque devastanti. Specie quando tali misure sono mantenute per anni e anni fino ad incidere sulle generazioni.
Le risorse dei paesi sottoposti a tali misure sono sempre più finalizzate ad un ristretto gruppo dominante che finisce paradossalmente per avere più forza nel controllo di una popolazione stremata e ridotta alla pura sopravvivenza.
E' misura che congela e finisce per ibernare il problema che si voleva risolvere, se non viene praticata con incisiva tempestività e in ambiti di tempo delimitati.
Proponiamo una corrispondenza di una suora americana che ha visitato l'Iraq appena dopo la guerra del Golfo e un breve estratto da uno studio sulla conformità o meno al diritto internazionale dell'embargo americano nei confronti di Cuba.

La scorsa estate sono andata in Iraq per due settimane. Dalla mia prima venuta come membro del Gulf Peace Team nel gennaio 1991 ciò che m interessa è mantenere rapporti di amicizia con molti iracheni. Nell'estate 1991 passai tre settimane in Giordania aspettando il visto per rientrare in Iraq. Con quel visto ho viaggiato liberamente, usando autobus pubblici affollati da iracheni che si spostavano a nord o a sud di Baghdad. Giovani militari di ritorno alle loro guarnigioni, uomini e donne di ogni età ansiosi d rivedere le loro famiglie. Viaggiando a nord verso Mosul, a occidente verso Babilonia o a sud verso Kerbala, ebbi la solita paura dei posti di blocco. Anne Montgomery e io non appartenevamo a una qualunque organizzazione. Avevamo deciso di partire perché eravamo sgomente pensando a ciò che stava succedendo al popolo iracheno a causa dell'embargo imposto dagli alleati. Ma come avrebbe reagito l'ufficiale del posto di blocco abituato a prendere in considerazione solo moduli e permessi timbrati? Non ho mai dovuto dare alcuna spiegazione e solo raramente ho dovuto tirar fuori il passaporto dalla borsa.
Nel 1992 il visto mi fu concesso più facilmente. Mi ero presa la responsabilità nell'estate del '91, di ascoltare e rendere pubbliche le voci del popolo iracheno. Chirurghi rimasti senza anestetici per le loro operazioni, madri e padri che avevano perso figli nei bombardamenti delle città, suore e frati di rito Latino e Caldeo, amministratori che prima erano orgogliosi del livello dei loro ospedali... Poiché non trovai neppure un editore americano, fotocopiai i rendiconti, li rilegai e scelsi come titolo le tre parole che mi furono rivolte da un giovane soldato iracheno prima di essere spazzato via dalla Tempesta del Deserto, seppellito vivo dai tanks americani.
Ho incontrato Mahmoud all'inizio del gennaio '91 sulla strada per il campo dei pacifisti al confine tra Iraq e Arabia Saudita. Mi presentai come Americana e la sua risposta immediata fu:
"American-Salaam-Iraqi". Ogni cosa che faccio ora per far conoscere il vero volto del popolo lo faccio in nome di Mahomud. Mentre sto tenendo un corso sulla Sacra Scrittura alla St. John's University, lo vedo seduto davanti a me. Quando vedo giocare a pallone in Washington Square Park, vedo Mahmoud colpire il pallone con la testa o con i piedi. Naturalmente la testa e i piedi sono stati dapprima torturati dalla fame perché abbiamo tagliato i rifornimenti alla sua unità; e il suo corpo è divenuto sabbia, tutta la sabbia che gli abbiamo rovesciato sopra. Ma lo spirito di Mahmoud vive e le sue parole prevarranno: "American-Salaam-Iraqi" .
Alla fine del 1991, ho presentato una serie di diapositive che mostravano i reali effetti delle sanzioni e della distruzione delle infrastrutture irachene. Una sera dedicata tanto alla cultura Mesopotamica che alla realtà attuale dell'Iraq, ci furono parecchi interventi sia da parte di quel 9% di americani che si sono opposti alla guerra che da parte di artisti, poeti, rappresentanti politici iracheni. Un amico riprese la serata ed io ne inviai una copia al Dr. Al Anbari alle Nazioni Unite. Forse egli vide, oltre tutte le parole, il nostro sincero dolore e la nostra vergogna. In ogni modo non fu difficile ottenere un visto per l'estate del 1992. Non avemmo bisogno di programmi riservati. Eravamo semplicemente due donne che rispondevano all'augurio ingenuo e profondamente sentito - nello stesso tempo - di Mahmoud: "American-Salaam-Iraqi".
L'estate fu ancora torrida, ma dovunque andavamo gli iracheni ci offrirono acqua, tè o caffè turco.
Essi hanno sempre distinto tra il popolo americano e il governo americano. Chiesero solo perché fossimo venute nel pericolo; divisero con noi il cibo che avevano, ci mostrarono orgogliosi ciò che erano riusciti a ricostruire in pochi mesi e che avrebbe preso cinque anni a cose normali. Gli iracheni sono divenuti contadini, ma anche ingegneri elettronici. Sono un popolo con un forte senso di dignità. Sono consapevoli di essere nati nella culla delle civiltà. Un giorno chiameremo le nostre minacce di bombardarli tutti con il vero nome: terrorismo psicologico. Ma per il momento non possiamo accettare il fatto, o solo la possibilità, che siamo noi i terroristi.
Di sicuro non sono un politico. Non ho documenti segreti per le mani. Non conosco i diabolici piani di Saddam Hussein per il controllo delle risorse petrolifere mondiali, piani che sia John Major che Bush dicono di conoscere bene. Sono solo una sorella. Ed ho camminato tra la gente: Sciti, Sunniti, Kurdi,...". Per tutti loro io dico: "Basta!". Togliete le sanzioni. Lasciate che gli iracheni utilizzino le loro risorse per ricostruire una nazione federale. Non imponete loro la carità quando hanno bisogno di libertà per essere quel popolo pieno di risorse che sono stati per sei millenni. So di parlare a nome dei medici iracheni, degli insegnanti, dei preti, dei genitori e dei piccoli. Verrò con la mia documentazione ovunque sarò invitata. La mia visione è resa chiarissima da ciò che ho visto ed è radicata nella visione di pace evangelica. Non è prodotta da rivalse della politica inglese, da vendette irachene, dall'amore americano per il petrolio a basso costo.
Tutti abbiamo fatto degli errori. La Guerra del Golfo è stato un gravissimo errore. C'è da vergognarsene appieno. Ma possiamo imparare dai nostri errori e possiamo onorare la memoria di Mahmoud facendo eco alle sue parole: "American-Salaam-Iraqi".
Sister Eileen Storey
In The Catholic Worker, 1993


L'embargo economico, commerciale e finanziario adottato dagli Stati Uniti nei confronti di Cuba è in vigore da ormai più di 30 anni. Le prime misure economiche contro Cuba furono prese nel 1960 e gradualmente estese. Nel 1963 l'embargo era completato. Esso è stato finora costantemente mantenuto con poche varianti. Nell'ultimo anno si è avuta un'ulteriore "escalation" di tali misure, culminata nell' adozione da parte del Congresso del progetto di legge presentato dal deputato Torricelli: il "Cuban Democracy Act of 1992". Per i dati consultare il volume "United States Economie Measures Against Cuba" a cura di Falk e Krinsky.
Riassumendo le più importanti misure economiche degli Stati Uniti nei confronti di Cuba, in generale:
Importazioni ed esportazioni - Sono vietate tutte le importazioni da Cuba verso gli Stati Uniti e le esportazioni degli Stati Uniti verso Cuba. Trasferimenti di denaro e altre proprietà - E' fatto divieto a qualsiasi persona fisica o giuridica statunitense di trasferire a Cuba o a cittadini cubani (o cittadini di Stati terzi residenti a Cuba) denaro o proprietà di qualsiasi genere, inclusi i crediti e le tecnologie. All'inverso è vietato ai cittadini USA ricevere proprietà da Cuba o da cittadini cubani. Poche le eccezioni contemplate: invio di modeste somme di denaro a parenti, pacchi dono a parenti o istituzioni di beneficenza e simili, invio di medicinali a organizzazioni non governative. Qualche limitata possibilità di esportare medicinali e attrezzature mediche è ora prevista dal "Cuban Democracy Act".
Servizi - E' vietato a cittadini statunitensi fornire servizi a Cuba o a cittadini cubani )0 a cittadini di Stati terzi residenti a Cuba) o ricevere da essi servizi.
Contratti - E' vietato stipulare contratti con Cuba o cittadini cubani (o cittadini di Stati terzi residenti a Cuba).
Viaggi - E' vietato ai cittadini statunitensi pagare Cuba o cittadini cubani per spese di viaggio e soggiorno a Cuba. Poche eccezioni. Aerei - E' vietato agli aerei statunitensi atterrare a Cuba quale che sia il paese da cui decollano. Inoltre è vietato a tutti gli aerei (statunitensi o meno) di decollare da un aeroporto statunitense con destinazione Cuba.
Navi - E' vietato l'ingresso nei porti statunitensi di navi, siano esse cubane, statunitensi o di Stati terzi, che trasportino merci o passeggeri da e per Cuba o in cui Cuba possa avere interesse. Inoltre dal 1993 è fatto divieto a qualsiasi nave che abbia toccato nei sei mesi precedenti un porto cubano di caricare o scaricare merci in un porto statunitense anche se non si tratti di merci cubane.



in Lotta come Amore: LcA ottobre 1993, Ottobre 1993

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