Sono stato invitato da una carissima amica del MIR (movimento internazionale della riconciliazione) a partecipare ad un campo di lavoro nella città di Valona, in Albania. Lo scopo del campo era la riparazione di una casa-convitto per studenti situata in una zona periferica della città, sopra una collina che guarda il mare. Nell'arco di questa settimana il gruppo dei partecipanti era invitato ad una riflessione comune sul tema della nonviolenza come stile di vita e di comportamento nella realtà conflittuale dell'esistenza. Mi sono sentito spinto a raccogliere l'invito, anche se intuivo che la fatica non sarebbe stata poca: d'altra parte questa era un' occasione non cercata per allargare il cuore e la mente in un breve spazio di condivisione e partecipazione alla condizione drammatica di un popolo che si trova ad affrontare problemi veramente complessi legati alle difficoltà economiche e sociali provocati dal crollo della dittatura comunista.
Mi hanno spinto ad accettare il premuroso e fraterno invito ragioni personali legate alla memoria di un amico contadino che nei lontani anni '60 mi parlò della sua drammatica esperienza albanese nella 2.a guerra mondiale. Per me la parola "Albania" era legata al suo racconto più che alla cronaca politica dei nostri giorni. Un altro motivo, direi naturale, era il desiderio di mettermi a disposizione di un gruppo di circa 60 giovani che erano stati invitati ad unire l'impegno lavorativo a quello di una ricerca sul valore, il significato, l'urgenza della scelta nonviolenta. C'era inoltre la volontà precisa di mettere a disposizione del popolo albanese una goccia del mio sudore come segno di fraternità, amicizia, solidarietà priva totalmente di "secondi fini" , condivisione del suo faticoso e difficile cammino. Questo anche in segno di fraterna riconciliazione per l'invasione armata dell'esercito italiano negli anni bui della 2.a guerra mondiale.
Sono contento di essere andato a Valona, lasciandomi convincere dal sereno invito della mia amica del Sud: d'altra parte Valona è il Sud dell' Albania ed è simile per tante cose al nostro meridione. Con la differenza che la storia del popolo albanese è stata segnata dalla follia di un sistema personalista e repressivo che in nome di una presunta "dittatura proletaria" ha creato una struttura sociale dominata dalla paura e dal terrore. Quando il "coperchio" è saltato via, i rapporti economici, sociali, politici hanno subìto una paurosa sfasatura.
Valona ha una baia molto bella, un mare splendido, dei monti ricoperti di ulivi e di pini: la casa-convitto dove abbiamo lavorato è situata su una di quelle colline proprio di fronte allo splendore del mare. Sulla collina dove abbiamo vissuto, in un ambiente semplicissimo e molto povero, abbiamo trovato un piccolo villaggio che è tutt'ora in formazione. Ci vivono alcune famiglie "storiche" alle quali si sono aggiunte altre che hanno lasciato zone più interne ed hanno costruito delle modeste casette, ancora prive di acqua. Abbiamo toccato con mano l'importanza di un servizio minimo di acqua potabile per la vita di una comunità. Fra l'altro, quasi per uno strano scherzo del destino, il piccolo villaggio si chiama "Acqua Fredda", perché la zona è ricca di acque profonde che attendono di essere sapientemente incanalate. L'incontro con la gente del villaggio è stato molto buono: per me ha significato l'allargarsi di un sentimento di fraternità universale, la scoperta sempre nuova e bellissima che la "razza umana" ha nelle sue profondità una linfa vitale che può far fiorire le diversità verso la pienezza dell'incontro e dell'amore. Il clima in cui abbiamo vissuto per otto giorni è stato caratterizzato dalla necessità dell' arrangiarsi quotidiano che è la regola per la popolazione albanese in questo momento in cui tutto ciò che è servizio pubblico fa un'enorme fatica ad organizzarsi. Tutto è lasciato alla buona volontà dei singoli e degli aiuti dell'esterno.
Faccio alcune considerazioni molto immediate su questo tempo brevissimo ma ad alta "intensità interiore": in poche ore (si fa per dire: l0 di treno + 4 di nave) ho trovato una condizione umana gravata di problemi molto seri, soprattutto quello del lavoro inteso come un bene capace di sostenere ed alimentare la sussistenza fisica, culturale e morale della gente. Mi ha ricordato il periodo immediatamente successivo alla guerra, negli anni '50, che io ho visto con gli occhi di un bambino. Sono stati soprattutto i bambini e le bambine di "Acqua Fredda" che mi hanno dato i momenti più intensi di una comunicazione che è stata soprattutto fatta di mani, di sorrisi, di gesti, di saluti e di "occhiate veloci" per cercare di impedire la sparizione superrapida di qualunque attrezzo lasciato per un attimo incustodito, o del sapone, dell'asciugamano, delle scarpe... Una delle cose più impressionanti è che dopo la caduta del regime comunista in molti edifici di uso comune, specialmente nelle scuole, sono scomparsi gli interruttori elettrici, i vetri, legname e qualunque materiale riciclabile per uso privato. Per le drammatiche condizioni sociali sono state tagliate molte piante di olivo per farne legna da riscaldamento durante l'inverno.
Abbiamo parlato molto con alcune persone del luogo; ci sono stati scambi con alcuni insegnanti e con un medico assessore alla sanità di Valona e tutti mi hanno dato l'impressione di una situazione umana in lentissima evoluzione verso una presa di coscienza che non sarà né facile né scontata. Perché la spinta ad imitare il modello occidentale ed in particolare quello italiano è molto forte e certamente il potere del capitale può avere un fascino molto pericoloso per chi si trova ad un livello economico così basso.
Abbiamo ricevuto molti segni di amicizia, di accoglienza, di una fraternità che è filtrata attraverso una nutrita squadra di "scugnizzi" scalzi, abbronzati e pieni di istintiva energia vitale che ci hanno saltellato intorno, partecipando ai vari lavori di pulizia dell'ambiente esterno alla casa. Il tempo del "cambiamento albanese" ha certamente il ritmo della loro generazione, con la speranza che la loro crescita ed evoluzione non venga turbata dalla violenza armata della guerra che potrebbe scendere dalla confinante regione del Kossovo che è ritenuto parte della patria albanese.
Vorrei concludere questo semplice "taccuino d'estate" con un ricordo speciale per i galli di Acqua Fredda: il loro canto ritmato, tenace, dalle svariate tonalità, ha accompagnato fedelmente le mie notti pressoché insonni, mentre cercavo di lasciarmi andare ad una specie di riposo disteso su di un ripiano di legno assai compatto e duro. Cominciavano verso le due della notte e senza arrendersi, senza deflettere dal loro compito, i galli albanesi (come del resto tutti i galli del mondo) lanciavano il loro richiamo fino alle prime luci dell'alba. Poi, come per incanto, all'avvicinarsi del nuovo giorno, tacevano: il loro compito era terminato. La certezza che la luce avrebbe vinto ancora una volta il buio della notte li rendeva tranquilli e li appagava.
Spero ci sia data la stessa tenacia di questi caparbi galletti che mi hanno circondato per una settimana e che con insistenza e determinazione chiamavano l'aurora del giorno nuovo. Il popolo albanese (come tanti altri popoli) ha urgente bisogno di questo giorno pieno di luce e di vita serena. C'è sicuramente la possibilità di dargli una mano perché questo sogno notturno trovi pienezza di compimento e venga alla luce. La sua storia è segnata da sofferenze grandissime, frutto di invasioni, di violenza, di repressione della libertà. Questo tempo molto incerto che sta vivendo può essere fecondo di cose buone e positive, a meno che i falchi del grande capitale non rendano ancora una volta più difficile il percorso di questo cammino di liberazione. L'aquila albanese può essere il segno di un desiderio e di un sogno non fondato sulla forza, ma sulla libertà e sull'apertura del cuore nei grandi spazi della solidarietà disinteressata, dell'amicizia e della fraternità.
don Beppe
in Lotta come Amore: LcA ottobre 1993, Ottobre 1993
Luigi Sonnenfeld
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