Pubblichiamo un articolo scritto da Maria Grazia negli anni della Comunità di Bicchio.
La storia di una esperienza, di una ricerca, di un valore con cui confrontarsi anche oggi.
La nostra casa, posta nella campagna, scomoda e vecchia ma abbastanza grande per accogliere in amicizia chiunque crede di venire, un giorno è diventata troppo piccola. Piccola perché eravamo a poco a poco cresciuti, e la spinta iniziale a vivere insieme (due uomini e una donna) una serietà di vita cristiana senza pretese, umile, povera, parrocchiale, ma aperta ad accogliere ed ascoltare problemi più vasti di quelli posti dalla parrocchia, era stata raccolta in questi brevi anni da altre persone. E ci siamo trovati in otto, sei preti e due donne.
Ormai eravamo nello stretto specialmente perché si erano allargati degli interessi e la casa, che può così bene esprimere la vita che vi si svolge, non era più segno di un dedicarsi anche al mondo operaio. E così una parte di noi si è allargata nella chiesetta della Darsena, costruita tanti anni fa.
In questi due luoghi scorre la nostra vita: sono spazio, di anni e di luogo, nel quale si offre quotidianità, peso, stanchezza, un andare e un venire, un lavorare e un riposarsi, un accogliere e un soffrire - agli ideali che ci occupano il cuore. Ideali che viviamo attraverso una tale normalità di cose (perché il cristianesimo è normalità assoluta di esistenza, mai eccezionalità) che a volte sembra perfino a noi di averli perduti.
Qui in questa vita cerchiamo di rivivere in modi sacerdotali alcuni rapporti fondamentali dell'esistenza.
Il lavoro a seguito di una visione universale della realtà con tutto ciò che comporta come fatica del vivere, scelta di una classe, diritto e dovere che ne derivano ad una lotta libera e coraggiosa.
E una vita di comunione profonda fra uomini e donne che scelgono di camminare insieme nella verginità, che è visione sacerdotale delle cose, perché credono nella liberazione che Gesù ha portato rendendoci figli di Dio. E questa possibilità di rapporto sereno e nuovo che solo il cristianesimo può attuare, la offrono agli altri.
Ogni uomo e ogni donna e tanto più ogni cristiano ha il dovere di riportare luce e pace (non superficiali, non false ma duramente conquistate e profondamente credute) nel tormentoso problema del rapporto uomo-donna dove, nel corso della storia si è operata la frattura più profonda forse perché la più intima.
E' stato il sacerdozio di Gesù che ha reso chiaro e semplice il perché dell'esistere dell'uomo e della donna, restituendoli a loro stessi, unificandoli in modo nuovo.
Dopo di Lui noi cristiani siamo chiamati a percorrere le vie del creato per riscoprire in esso il volto di Dio, per riscoprire in ogni realtà, e tanto più in questa, il pensiero del Padre. Che ha consegnato fin dall'inizio dei tempi alla donna un dono semplice e naturale, essere legame fra l'uomo e se stesso, fra l'uomo e gli altri, fra l'uomo e Dio. Questo legame naturalmente sacerdotale che la donna compie accogliendo l'uomo in sé perché egli possa sentirsi completato, possa ritrovare l'origine del suo essere, si possa sentire in rapporto esistenziale, totale, profondo con qualcuno, in quel rapporto che solo l'amore uomo-donna può attuare - viene poi compiuto nel generare all'uomo dei figli, segno e realtà di un uscire da sé per scoprire gli "altri". La donna, naturalmente, istintivamente, tende a proteggere la vita che deve nascere, ad accettare che si stacchi da sé, a nutrirla, a difenderla, ad offrirla all'uomo. Tende (anche senza una esperienza propriamente religiosa) come custode della vita, ad essere attenta ai valori dell' esistenza, ad essere nemica del male e della violenza che vorrebbero distruggerla.
Essa dona all'uomo la possibilità - pagata nella sua stessa carne con la sofferenza del generare - di sentirsi simile a Dio perché padre, non padrone degli altri - perché esso stesso è in grado di generare, perché pienezza di vita.
L'uomo, fatto per comunicare, è chiamato alla comunione con gli altri e con le cose, a rapporti molteplici e diversi, a non sopportare il particolare, ad accendere la vita allargando ciò che è limitato per portarvi liberazione e respiro. L'uomo non è naturalmente mediatore, è fatto per l'espansione di sé.
Noi crediamo a tutto questo e sappiamo bene che per viverlo ci vuole una disponibilità profonda, una lunga pazienza, coraggio, e generosità nell'affrontare la vita; per lasciare che essa ci insegni col passare degli anni tutto quello che avevamo solo intravisto, appena intuito, o affatto compreso.
A noi cristiani però, e qui è il senso profondo del nostro sacerdozio, e qui è l'aspetto di quel valore nuovo dell'esistenza che solo Gesù ci ha rivelato, il perché ultimo, il motivo vitale delle cose - è domandato di camminare nell' esistenza annunciando una Realtà diversa, un'altra Vita, una ricchezza nuova: Dio non è solo il motivo e il fine delle cose, ma l'esistenza stessa, fino al punto che non siamo più noi che viviamo, è Dio che vive in noi.
E nello scoprire Dio, il motivo unificante della nostra vita, nel seguire Gesù, colui che ha racchiuso in sé l'intera storia umana - abbiamo scoperto poco a poco che le differenze si sono annullate. Abbiamo trovato quello spazio nuovo di esistenza che tutte le parole di Gesù indicano, quel luogo che non ha tempo né spazio, ma è più vivo e vero di ogni altra cosa perché vivente nel profondo di noi e posto alla radice di ogni realtà esistente, nel quale la realtà umana e quella di Dio sono unificate, un tutt'uno, e fluisce da questa unione l'esistenza cristiana. Ci si arriva poco a poco, rinunciando a quanto in noi c'e di istintivo. di chiuso, di egoistico, aprendo le mani, lasciando che ciò che abbiamo si allarghi, fino al punto che non è più nostro, non ha più nemmeno la nostra fisionomia. Ci si arriva non accontentandosi di trovare motivi immediati dell' esistenza, quelli che fanno tranquilli, non andando dietro ad inquietudini strane, ma approfondendo quei valori che Dio ci ha consegnato senza dire basta, finché spariscono i particolari, e si imbocca quella via stretta di cui parla Gesù, che è stretta perché vi si cammina da soli avendo perduto lentamente ogni cosa, avendo accettato che tutto di noi si trasformi in Gesù.
E' in questa nuova dimensione che l'umano maschile e l'umano femminile si annullano per una comunione ormai troppo profonda, quale Dio solamente può compiere. Comunione nella quale l'uomo e la donna si offrono l'uno all'altra i singoli doni che Dio aveva loro consegnato allargati però dalle misure che Gesù ha indicato. E da questo donarsi reciproco che nascono quei valori nuovi di esistenza quali l'offerta, l'accoglienza, la pace, il riposo, la lotta, la comunione, la croce che il cristianesimo ha proposto.
Valori cristiani e perciò valori nei quali vi è tutto Dio e tutto l'umano (maschile e femminile) ma fusi insieme nella proposta di una esistenza nuova.
Abbiamo creduto alla nuova creatura nata dal pensiero di Dio, pagata da Gesù, vi abbiamo dato il cuore e l'anima, vogliamo crederci nonostante tutto, e tante volte abbiamo visto che c'è, esiste, è più vero di noi, è al di là del velo che tanto spesso i nostri occhi pongono alle cose. Non ci rimane ormai che offrirei al mondo, donare quello che abbiamo, e accogliere ogni realtà con attenzione profonda, paterna e materna, per generare in essa la vita che Dio vi ha nascosto. L'esistenza sacerdotale di uomini e di donne ci ha portato a questo bisogno di comunione, a questa esperienza di unione non trovata percorrendo la via naturale, ma creduta vera in Dio e accettata e ricevuta dall'esistere di Gesù.
Maria Grazia
(da "La Voce dei Poveri", 1971)
in Lotta come Amore: LcA novembre 1995, Novembre 1995
Luigi Sonnenfeld
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