Gioiosa responsabilità

Questo numero è il terzo ed ultimo dell'anno in corso. Non c'è tempo ormai per il quarto: è il momento semmai di pensare al primo numero del 1996. Questa nostra "lettera" continua comunque il suo viaggio nel tempo. Vecchi amici dicono il loro addio alla vita e a noi; altri si aggiungono alla spicciolata, ma in continuità. L'indirizzario resta molto oltre i duemila nomi: alcuni carissimi e vicini; altri, ugualmente carissimi, letteralmente sconosciuti. A tutti ci lega l'amicizia di questo foglio stampato, scritto con grande semplicità, se non con ingenuità vera e propria. L'ingenuità di chi si meraviglia dei propri pensieri e li offre come se fossero qualcosa di meritevole d'attenzione... ! Se qualcuno vi trova motivi per riscaldare il cuore e allargare i cieli della speranza vuol dire che porta già questi doni seminati nella terra del suo spirito e l'unico merito della nostra amicizia può essere il calore che ne aiuta la germinazione.
Vorremmo che ognuno fosse consapevole delle . energie di cui è portatore per reggere meglio lo scontro quotidiano con una realtà che, nella forza smisurata della sua prepotenza sembra svuotarci di ogni responsabilità.
Non dobbiamo farci e fare del male coltivando le piante amarissime dell'illusione: certo! Ma anche il contribuire a rappresentare il Potere, ogni potere, come un gigante compatto, strabordante, inevitabilmente vincente, capace di ricorrere alle abilità di un consumato trasformista che illude di essere a pezzi per meglio strangolare le sue vittime, è atteggiamento che distorce e vanifica la vita.
La responsabilità è un vestito per tutte le stagioni, compreso l'inverno che gela precoci speranze o l'autunno che sembra consumare in un fuoco di colori ogni residua energia.
Non la si assume all'improvviso solo perché acquisiamo un ruolo e qualcuno ci riconosce un compito.
Essa, per quanto esile e fragile di fronte alla supposta inevitabilità della Storia, sta di fronte a ciascuno di noi nel silenzio della coscienza individuale e costituisce la radice della nostra libertà: uomini e donne lo siamo pienamente solo nella responsabilità di sé che diventa, non solo, la fonte della nostra identità, ma anche e soprattutto l'origine del dono di grazia in cui Dio si rende presente all'umanità attraverso l'umanità e immette nell'orizzonte storico l'utopia della liberazione.
Nel linguaggio della comunicazione quotidiana, la assunzione di responsabilità è collegata direttamente all' esercizio di un potere. Essa implica I'immersione nelle acque abissali della solitudine dove non penetra né luce né calore, ma solo la voce di un dio evocato attraverso il rituale del sacrificio di sé.
Richiama spesso, la responsabilità, un assoluto rispetto delle regole e delle leggi; un formalismo rigido servito da ministri eternamente serrati in testa da cerchi di ferro che fanno assumere alle maschere della loro responsabilità lineamenti sofferti e mandibole sporgenti, quasi che "stare con i piedi per terra" (frase quanto mai amata dai responsabili...!) sia esercizio fisico e spirituale di stoica resistenza a volar via sulle ali della vita.
E' proprio invece in questo lasciarci andare alle correnti altalenanti degli avvenimenti che la responsabilità può essere esercitata senza che essa diventi un compito da eseguire, ma una dimensione da vivere e che fa vivere. Affatto collegata con un potere da esercitare, ma con un potere da accogliere perché la realtà sia veramente trasformata verso la piena misura di sé.
Una visione serena ed aperta - potremmo dire gioiosa?!? - della responsabilità è oggi veramente necessaria, per poterla di nuovo accogliere come indispensabile compagna di strada. Ad essa ci riconduce il filo di una "sorella povertà" ritrovata non tanto e non solo nell' esercizio ascetico dell'astinenza, quanto nell'accogliere l'invito a inoltrarsi in questa vita senza le cinture di sicurezza di certezze, strategie vincenti e orizzonti risolutivi. Ma senza, neppure, l'avvolgersi nelle soffocanti spirali di una storia destinata inevitabilmente a ripetersi, paralizzata dalla constatazione che nulla di nuovo ci sia sotto il sole.
La novità non sta nel tentare di raggiungere supposti traguardi illuminati dal sole dell'avvenire, ma nell'inoltrarsi - nonostante la notte - passo dopo passo in una terra nuova che il sole, sorgendo, ci rivelerà. L'abitudine a convivere con l'esitazione del passo vacillante, con la necessità di crescere sensibilità diverse da quelle illuminate solo dalla ragione; la riconciliazione con la parte più oscura di noi legata al corpo e alla materia, sono percorsi sui quali la responsabilità trova dimensioni nuove ed un esercizio non più legato alla solitudine distaccata, ma al confronto e alla comunione più aperta.
Camminare responsabilmente nella cieca notte di questo nostro tempo significa infatti avere fiducia che stendendo la propria mano, questa ne possa sfiorare altre e da altre essere stretta, in un calore di vita che dà riposo alla vista ormai consunta e la consegna alla visione del futuro.



La Redazione


in Lotta come Amore: LcA novembre 1995, Novembre 1995

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