Utopia della coscienza

"A vent'anni si diventa uomini di guerra": così è scritto nei millenni della storia; nulla è cambiato se non la spada l'arco e le frecce e il grido di battaglia.
Mi ribello e respingo questo destino. Mia madre non mi ha partorito perché la madre patria faccia di me un soldato mi rivesta di una divisa, mi rinchiuda dentro una caserma armato di fucile in fanteria o dentro la corazza di un carroarmato, a puntare cannoni di incrociatori sul mare, a fendere di bombe e missili l'azzurro sopra le nuvole del cielo, a seminare di morte questa povera terra.
Sono nato e sono al mondo per essere un uomo non un soldato, uomo che ama e vuole essere amato, non un ordigno che esplode la morte, un battaglione che parte all'assalto a cercare di uccidere per non essere ucciso.
Cos' è questo giocare alla morte per la grandezza di patria e l'esaltazione dell' onor nazionale?
Cos' è questa gloria sul campo di battaglia, il coraggio di ammazzare per non essere ammazzati?
E' la stupidità di un incredibile inganno che ha traboccato di morte la terra e affogato la storia di lacrime e sangue.
No, caporale o signor generale non vengo a mettermi sull'attenti a diventare un burattino in divisa per dire sempre e soltanto: signor sì!
La disobbedienza al servizio militare è obbedienza alla propria coscienza e rifiutare le armi e l'esercito è credere e lottare perché finalmente il mondo sia abitato da un 'umanità diversa.
(Sirio, "Le ombre di Hiroshima", Declamazioni sceneggiate di pace, Viareggio 1983)

Don Sirio Politi
(1920-1988) prete operaio nella Darsena di Viareggio, abitante dei grandi spazi dello spirito, uomo impegnato con passione sul fronte della giustizia sociale, della pace, della lotta antinucleare, restio ad ogni forma di protagonismo, don Sirio non si è mai considerato un leader, rifiutando le certezze e le sicurezze di un sacerdozio chiuso in sacrestia. Volle abitare nel mondo per vivere una fede semplice ed essenziale, liberata da teologie e ideologie. Spesso incompreso ed emarginato incarnò nella insignificanza della vita quotidiana, nella sua piccola chiesetta del Porto e nel laboratorio di ferro battuto, il detto a lui caro: "chi lotta e soffre su una zolla di terra, lotta e soffre su tutta la terra".
Obiettore di ogni forma di concordato tra stato e chiesa per una libertà pienamente fondata sulla coscienza personale al di sopra di ogni autoritarismo e forma di potere, lottò a lungo contro quell'insieme di interessi politici, religiosi ed economici che si servono del concetto di "patria" per alimentare i focolai di guerra nel mondo.
Per risvegliare la coscienza popolare riguardo a questi temi, promosse, a cavallo degli anni '70 e '80, delle azioni teatrali con la collaborazione di un folto gruppo di giovani di Viareggio e dintorni. Un teatro itinerante seguito da infiniti e appassionati dibattiti in giro per l'Italia e nei luoghi più disparati, dalle chiese, alle fabbriche, alle discoteche. Convinto sostenitore dell' obiezione di coscienza al servizio militare, offrì ai giovani, fin dal 1980 a Viareggio, la possibilità del servizio civile nell'associazione A.R.CA. da lui fondata. Presidente nazionale del M.I.R. (movimento pacifista inter confessionale, nato in Europa dalle ceneri della II guerra mondiale), fu attivamente presente nelle campagne per l'obiezione fiscale contro le spese militari e per la riconversione civile delle fabbriche di armi.
Preoccupato per l'adesione indiscriminata al nucleare fortemente legato all'industria bellica nelle scelte energetiche della fine degli anni '70, si impegnò in prima persona in una attività a tutto campo che lo portò ad essere incriminato per occupazione della linea ferroviaria in occasione di una manifestazione del popolo della Maremma contro la costruzione di centrali nucleari a Capalbio e a Montalto di Castro.
Dieci anni dopo, pochi mesi prima di morire, visto il risultato del referendum- che sancì l'opposizione al ricorso al nucleare, poteva però scrivere sul suo giornaletto "Lotta come Amore":
"Non mi è possibile nascondere la giusta soddisfazione di vecchio antinuclearista. E non è tanto per vittoria (è sentimento sciocco se in contrapposizione alla sconfitta), ma unicamente per l'utopia iniziata a palpitare nei sogni di vent'anni fa sulle piazze, a Capalbio, a Montalto di Castro, a Caorso, sulle timide paginette dei giornaletti della Nonviolenza, dei pacifisti, dei gruppi più o meno sparuti e dipinti delle manifestazioni, a fare folclore antinucleare, rischiando giudizi di pazzo idi, di arruffoni del buon comportamento politico, della saggezza lungimirante dei partiti, preoccupati per questa manica di urlatori decisi a riportare l'umanità, dal progresso dell'Enel al lume di candela...
Fu pesante a quel tempo l'utopia e carica di angosciosa perplessità a decidersi di farsi manifestazioni di blocco delle strade, del traffico ferroviario, di scontri con la polizia: questa fatica pazzesca di infiltrare l'utopia dell'antinucleare nell'opinione pubblica, nelle centrali del Potere, nei sacrari della scienza e del progresso.
Fu assai dura e lottata con passione, la vittoria al tribunale di Grosseto con piena assoluzione per manifestazioni non autorizzate e blocco ferroviario. E amarissima, sconcertante, in sede di Corte d'Appello a Firenze, la condanna a sei mesi di carcere e cinque anni di condizionale: e la Legge credette, in quel mattino piovigginoso, di aver respinto ancora una volta l'utopia a vagare nel mondo dei pazzi e a garantire così la libertà di progresso all'inciviltà criminale del nucleare.
Ecco che quell'utopia adesso è diventata la Legge, orgoglioso motivo di civiltà, provocazione a ricerche scientifiche risolutive, a piani energetici a misura d'uomo e di rispetto ecologico...
Quando l'utopia dal mondo dei sogni, dove logicamente nasce, si matura, acquista possibilità e sostanza d'autentico valore di umanità, a poco a poco, ma irresistibilmente, scende, si cala, entra nel tessuto del vivere umano, diventa movente, provocazione politica, allora l'utopia diventa l'unica forza capace di rovesciare l'impossibile e di rendere concretezza il sogno".
L'occasione per queste citazioni di scritti di Sirio nasce dalla richiesta del Comune di Viareggio di un breve profilo di Sirio da inserire in un libretto per dare ai giovani informazioni sul servizio civile. Iniziativa "meritoria", ma assai lontana dallo spirito con cui Sirio portava avanti la sua lotta contro le strutture militari.
Si può parlare ancora oggi di obiezione di coscienza nel campo del servizio civile alternativo a quello militare? O piuttosto di una obiezione di coscienza che può essere attiva in alcune (e non tutte, di per sé) modalità del servizio civile? E molto giocate sul filo della resistenza agli inquadramenti che si materializzano concretamente nell'attuale iter della legge di riforma del servizio civile come alcune testimonianze, non solo individuali, ma di gruppo, fanno chiaramente intendere?
Così le vigorose espressioni di Sirio nei suoi testi teatrali di lotta suoneranno assai strane in un testo pubblico (ammesso che siano realmente pubblicate integralmente) se non ci sarà una ripresa di iniziative collegate a questo spirito di utopia che cammina sulle strade degli uomini.
La prima provocazione è nei confronti di noi stessi, pacifici abitanti della Chiesetta del Porto, custodi di una memoria che però rischia ogni giorno di essere solo formale.
Di questo rischio ci sentiamo consapevoli, ma non gravati dalla responsabilità assoluta che questa memoria sia sostanziata nella nostra povera ricerca di onestà di vita. Gravati semmai dalla responsabilità della ricerca, dentro di noi, intorno a noi, fino ai confini della terra... per riconoscere, meravigliarsi e benedire i luoghi, le persone, i popoli dove la storia che la morte non chiude, continua.





in Lotta come Amore: LcA luglio 1995, Luglio 1995

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