Pretioperai a convegno

"Stiamo entrando nell'Europa della ricchezza e dei ricchi, tavola alla quale non hanno accesso 35 milioni di poveri dell 'Europa né i popoli dei paesi del Sud. L'immagine dell'Europa si ritrova nel successo economico, ma anche nell' incapacità di condividere i beni eccedenti e nel divieto d'ingresso degli stranieri. Noi diventiamo sempre più un castello che si deve difendere dagli aggressori, anche da quelli che chiedono solo lavoro e nutrimento".
Con queste parole, Gaspar, giovane prete operaio portoghese, morto di cancro il giorno di Pasqua di quest' anno, riassume il momento presente in un articolo per il n. 30/1995 della rivista "Pretioperai" dedicata alla "Cronaca, storia, prospettive dei preti operai europei" in occasione del 40° anniversario del diktat delle Congregazioni Romane che vietava ai preti di continuare il lavoro in fabbrica avviato da un decennio.
Sulla stessa linea l'invito ai preti operai italiani per il convegno che si è tenuto alla fine d'aprile dal titolo "Beato chi resiste!": "In un contesto di grandi sofferenze di continenti e di popoli dove i molti (deboli) subiscono gli effetti delle decisioni dei molti (forti), abbiamo bisogno di mettere insieme, confrontare, ciò che vediamo e pensiamo, per allargare la nostra capacità di analisi per sostenere le nostre azioni, per resistere attivamente al "baccanale dell' esteriorità" che impazza nel nostro paese, per cercare ancora il volto dell'amico."
Il tema delle Beatitudini non è nuovo per i pretioperai italiani che ne fecero oggetto di un seminario che si tenne nella forte emozione per la morte di Sirio Politi che di molti preti operai fu punto di riferimento e amico forte e generoso. Proprio le sue parole, citate nell'introduzione al seminario, possono costituire il filo conduttore del cammino dei preti operai italiani in questi ultimi anni. Scriveva Sirio: "... Siamo poveri - e questa è la povertà autenticamente gloriosa, esaltante - perché non siamo niente e quindi non contiamo niente. Non abbiamo nemmeno l'ombra di un minimo di potere, nemmeno quello che può venire da una considerazione, da un appello, da una benedizione. Neanche un granello noi abbiamo di qualsiasi autorità, non soltanto quella, ci mancherebbe altro, che vuol dire comandare, ma quella che proviene dall'essere servi, servi tori riconosciuti e accettati. Niente. Nemmeno siamo quei cani che hanno un padrone, una medaglia al collo, qualificati perché di razza. Siamo cani senza collare, sciolti, randagi, ad abbaiare alla luna piena. Assolutamente però senza museruola e senza l'obbligo di scodinzolare a nessuno. Liberi in tutto, perfino dai problemi che il nuovo concordato comporta per il clero in materia economica e circa la religione nelle scuole dello stato ecc ... Non sappiamo come e perché siamo cresciuti così, all'aperto; e il vento e la pioggia, il freddo e il caldo, sono sempre stati e sono doni di Dio, cioè predilezione, abbandono, riconoscenza, accoglienza e offerta e cioé Amore. E' la povertà dell' aver venduto tutto, assolutamente tutto, perfino l'ombra del privilegio, per poter cercare il 'tesoro' nel campo del mondo, nella terra della storia, nella zolla di ogni essere umano... ".
In questo terreno aperto e di vasto respiro si sono sempre più alimentate le parabole di vita dei preti operai in questi ultimi dieci anni. Con maggiore consapevolezza collettiva dopo il convegno del 1989 dove, in un confronto che ha aperto tra noi evidenti lacerazioni, così è stato sintetizzata la "forma futuri" della nostra esperienza: "Se vi saranno ancora preti operai sbocceranno come carismi personali in ministeri ordinati e la loro "forza" non consisterà tanto nell' esercizio di una qualche pressione sulla chiesa o nell'operare chi sa quali conquiste sul piano religioso, quanto nell'essere segni, realtà simboliche, che associano nella loro vita aspetti che appaiono divergenti, se non conflittuali, e proprio mediante la contraddizione esprimono una comunicazione e un appello" (Relazione introduttiva). E dal convegno del 1992 emerge chiaro come la parola "resistenza" non abbia i connotati di una ostinata cocciutaggine a strutturare l'esperienza dei preti operai in maniera tale da vincere il tempo, ma l'umiltà di chi ascolta e contempla, attento a non sostituire se stesso alla Parola che viene da Dio:
"Sembra il tempo dell'impotenza; invece è proprio questo il tempo di lottare facendo appello alle riserve di energia, alle ragioni più vere ed alla più lucida ragione. Ciascuno cerchi quel nucleo di luce che abita nel profondo o quel sogno che non ha del tutto dimenticato. E' tempo di riprendere la parola, di comunicare tra umani, perché il rischio è proprio l'eclisse di quanto è umano in noi, l'appiattimento di ogni soggettività e della dimensione comunitaria del nostro vivere" ("Pretioperai" n.22).
E in questa comunicazione, ravvivata nei giorni del convegno, risulta chiaro come il "lavorare" per i preti operai sia ancora oggi "condividere con i cristiani qualsiasi l'essere trattati male, ignorati, strumentalizzati, oggetto di aggregazione anonima, gente comune, applaudenti, figli di un "dio minore"! e "resistere" è insieme una testimonianza e un appello ad assumere come "indispensabile l'essere adulti e liberi per sé a partire da questa sofferenza in proprio, per porre il problema della libertà, che è da condividere e diffondere per tutti, anche nella Chiesa" (dalla relazione del gruppo veneto).

Mi sono chiesto spesse volte dove passi il confine tra la necessaria resistenza e l'altrettanto necessaria resa davanti al "destino".
Don Chisciotte è il simbolo della resistenza portata avanti fino al nonsenso,- anzi alla follia - come Michael Kohlhaas, che diventa colpevole rivendicando il proprio diritto... Per l'uno e per l'altro la resistenza alla fine perde il suo significato reale e si dissolve in una sfera teorico fantastica; Sancho Panza è il rappresentante di quanti si adattano, paghi e con furbizia, a ciò che è dato.
Credo che dobbiamo effettivamente por mano a cose grandi e particolari, e fare però contemporaneamente ciò che è ovvio e necessario in generale; dobbiamo affrontare decisamente il "destino" - trovo rilevante che questo concetto sia neutro [nella lingua tedesca]- e sottometterci ad esso al momento opportuno.
Possiamo parlare di "guida" solo al di là di questo processo; Dio non ci incontra solo nel "tu", ma si "maschera" anche nell'" esso", ed il mio problema in sostanza è come in questo "esso" ("destino") possiamo trovare il "tu" o, in altre parole, come dal "destino" nasca effettivamente la "guida".
l limiti tra resistenza e resa non si possono determinare dunque sul piano dei principi; l'una e l'altra devono essere presenti e assunte con decisione.
La fede esige questo agire mobile e vivo. Solo così possiamo affrontare e rendere feconda la situazione che di volta in volta ci si presenta .
Dietrich Bonhoeffer


in Lotta come Amore: LcA luglio 1995, Luglio 1995

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