E' passato mezzo secolo dalla fine della seconda guerra mondiale: cinquant' anni - più o meno il tempo della mia vita - ci separano dal momento in cui terminava una delle più spaventose tragedie provocate dalla follia umana. Così scrive il papa Giovanni Paolo Il" nel messaggio di commemorazione di quella data: "L' 8 maggio 1945 si concludeva sul suolo europeo la seconda guerra mondiale... A mezzo secolo di distanza, i singoli, le famiglie, i popoli custodiscono ancora il ricordo di quei sei terribili anni: memorie di paure, di violenze, di penuria estrema, di morte; esperienze drammatiche di separazioni dolorose, vissute nella privazioni ogni sicurezza e libertà; traumi incancellabili dovuti a stermini senza fine".
Mi ha fatto molta impressione ripensare ai primi sei anni della mia vita segnati dallo scandire di avvenimenti spaventosi, dominati dalla morte e dal dolore di milioni di persone. Anch'io ho i miei "ricordi" stampati in modo incancellabile nel fondo dell' anima. "Col trascorrere del tempo - continua il messaggio i ricordi non devono impallidire; devono piuttosto farsi lezione severa per la nostra e per le future generazioni".
Anch'io credo di aver appreso, strada facendo, la "lezione" di quella tragedia: penso che sia veramente giunto il tempo, dopo cinquant' anni da quell' evento, e raccogliendo tutto ciò che è accaduto dopo e sta tuttora accadendo, di trarre delle conclusioni che aprano percorsi nuovi, vie diverse, cammini inediti. Occorre una lettura profetica anche della storia passata, perché forse essa sola è capace di illuminare di luce nuova il presente e il futuro: piangere sul troppo sangue versato può essere un atto doveroso e indispensabile, ma dalle lacrime deve nascere qualcosa che faccia fruttificare una autentica novità di vita. Sono dispiaciuto che lo stesso papa Giovanni Paolo non abbia coraggiosamente delineato questi percorsi nella lettera enciclica "Il vangelo della vita" troppo preoccupato com'era di sottolineare i pericoli derivanti dal problema dell'aborto, dell'eutanasia, delle nuove tecniche di riproduzione umana. Ci sono rapidi e sfuggenti (ed anche contraddittori) accenni al problema della guerra. Penso invece che una riflessione seria e decisiva vada fatta all'interno della comunità cristiana, liberando il discorso e 1'annuncio da tutti i "freni" che il bisogno di consenso, le ragioni dell'opportunità, la necessità degli equilibri politici e diplomatici possano imporre. Una lettura profetica della seconda guerra mondiale, la cui tragedia appare sempre più vasta all' occhio e alla mente che penetra in tutti gli aspetti di quel tremendo avvenimento, costringe a spingere il discorso fino alle sue estreme conseguenze perché cresca nel cuore dei credenti - e da essi si allarghi a misure più vaste possibili - la convinzione che la guerra è sempre un male orribile, mai "necessario", mai "inevitabile", sempre da respingere in tutte le sue molteplici componenti. La guerra non deve mai essere "giustificata", se abbiamo il coraggio di vederla nella luce del mistero di Dio che è mistero di vita, di amore, di pace . Guardando col cuore lacerato alla tragedia della Bosnia, ai tre anni di guerra atroce che ha cosparso di morte e di odio terre e popoli della ex-Jugoslavia, non si può non sentire dentro l'anima la ribellione verso ogni apparato militare e guerresco, ad ogni fabbrica di armi, ad ogni commercio di questi orribili strumenti di morte. Se vogliamo affrontare il problema con un minimo senso di serietà e responsabilità, credo che occorra il coraggio di una presa di posizione molto netta nei confronti di tutto l'apparato militare-industriale, di tutta la cultura "guerresca" di cui è imbevuto il nostro tessuto sociale, fin dentro le pieghe più nascoste anche della cultura religiosa e della pratica di vita. Penso che non ci possa essere altra risposta che quella di una OBIEZIONE TOTALE, un rifiuto forte e deciso di qualsiasi forma di collaborazione, comprensione, accettazione di tutto l'insieme della realtà economica, politica, culturale che si traduce nella concretezza dei fatti nelle "strutture militari" dello Stato. Bisogna sradicare dal cuore e dalle fibre più intime dello spirito - e di conseguenza dalla realtà concreta dei rapporti sociali - ogni forma di connivenza e di copertura con la "cultura militare" che è inevitabilmente segnata dalla cultura della morte, anche se motivata con i nobili sentimenti della difesa dei deboli e dei "confini della patria". Mi pare di avvertire qua e là, in varie maniere e molteplici occasioni, un'aria di voglia di rivalutazione della realtà militare, soprattutto ora che è in atto una ridefinizione delle forze armate a livello europeo e internazionale. La cultura delle "azioni di polizia" attraverso lo spiegamento di uomini (e donne) altamente specializzati e quindi debitamente equipaggiati (con grande soddisfazione di tutti i produttori del settore) potrebbe essere la cultura dell' avvenire. Rompere i legami e gli accordi, più o meno evidenti, con questo tipo di realtà, mi sembra indispensabile per chi si voglia collocare sul versante della testimonianza evangelica. E' giustissimo gridare "Mai più la guerra!", ma poi occorre proclamare la rottura di quell'equilibrio che ha permesso per secoli e secoli la comunione tra la croce e gli eserciti. Bisogna dichiarare chiuso per sempre quel tempo e aprire il grande "portone" chiuso da più di un millennio per poter intravedere lo splendore di un cielo nuovo e di una terra almeno disposta al cambiamento.
L'esperienza tremenda di ciò che è accaduto in Argentina durante gli anni della dittatura militare (1976-1983) è una realtà che sempre più viene alla luce e mette a durissima prova la credibilità della Chiesa. Durante quegli anni durissimi (e molto "vicini") sono stati commessi crimini, violenze d'ogni genere, torture e "sparizioni" di migliaia di civili, con la copertura di vescovi e cappellani militari che "sapevano". La denuncia di questa angosciosa situazione è stata fatta con forza dalle "madri di Piazza di Maggio", che sono state per più di dieci anni la "voce profeti ca" che non si è stancata di gridare al mondo intero il bisogno di giustizia e di verità. Penso che ciò che è avvenuto in Argentina risponda ad una logica perversa, spinta sicuramente all'estremo, ma che porta dentro di sé una specie di interna giustificazione: la dottrina della "sicurezza nazionale" può abbagliare anche coloro che si dovrebbero ispirare unicamente alla luce e alla forza della verità e dell'amore di Cristo, così come è accaduto tante volte nel passato lontano o più recente a causa della teoria della "guerra giusta" e dal "sacro valore della patria". Credo che occorra lavorare molto intensamente, là dove ciascuno può arrivare nel proprio impegno quotidiano, per far crescere e maturare una coscienza cristiana libera da paure o compro missioni con il potere dominante, per cui sia possibile la presenza di uomini e donne sempre più disposti al rifiuto, alla respinta, all'obiezione totale verso l'apparato militare e tutto il "mondo" che guadagna, vive e si alimenta della guerra o della "paura della guerra". Cercando vie di pace, costruendo tenacemente un insieme di "forze disarmate" per quanto riguarda gli strumenti della morte e della distruzione, per arrivare (magari nel quarto millennio!) alla realizzazione del sogno che Bernard Benson descrive col suo stile intenso al termine del suo secondo "Libro della pace":
"Prima di tutto le persone cominciarono a credere che il Disarmo Totale del Mondo era possibile...
Milioni e milioni di persone furono catturate dall'idea.
Si dedicarono ad essa anima e corpo.
Poi tutti insieme affrontarono i loro capi, li minacciarono di cacciarli via. se non avessero eliminato le Armi.
Si rifiutarono di continuare a lavorare nelle Fabbriche di Armi.
Chiusero i cancelli...
Raccolsero tutte le Armi che erano state già fatte... e le distrussero...
Alcuni ne fecero delle sculture...
La Pace, come idea, aveva davvero messo radici, e l'idea si diffuse, finché invase tutto il Mondo... e niente poteva fermarla!"
don Beppe
in Lotta come Amore: LcA luglio 1995, Luglio 1995
Luigi Sonnenfeld
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