Sul filo dei giorni

Domenica scorsa, 19 febbraio, abbiamo ricordato in modo molto semplice il settimo anniversario della morte di Sirio.
Un gruppetto di persone mescolato alla gente della messa domenicale nella chiesa parrocchiale della Darsena. Ed insieme, altri amici lontani eppure vicinissimi nella memoria e nell'affetto.
Eppure, forse come mai prima, ho sentito l'esigenza di confrontarmi con quella memoria nella dolce nostalgia della sua presenza e del conforto della sua amicizia. Dov'è Sirio ora?
Questa domanda non è puramente retorica e neppure vuole stabilire delle misure comuni a mondi eternamente distanti. Piuttosto nasce dalla difficoltà di immaginare cosa avrebbe fatto Sirio ora, in questo nostro tempo, in questa nostra realtà attuale per tanti versi così diversa da quella di appena una diecina di anni fa.
Dov'è Sirio ora rispetto a questa nostra realtà, a questo nostro vivere?
La domanda può essere semmai inquietante perché se anche i muri della Chiesetta, le darsene del Porto, la spiaggia e il mare e i monti sono ancora alloro posto, lo spirito che abita i luoghi e li rende storia può essere davvero molto diverso.
Lui non è più qui, ma anche il qui e ora non è più lo stesso.
E la prima conclusione giunge scontata: è illusorio fissare una memoria nella pietra o nel bronzo, su una lapide o su un cartello di una strada.
Ma anche delegare ai ricercatori e agli studiosi la descrizione di queste derive della storia non dà una vera risposta alla domanda che mi sono posto. Perché il "dove è Sirio, ora" porta dentro una domanda ancora più diretta: "dove sono io, ora?". "Dove siamo?"
E non mi riferisco solo a noi, abitanti di questa Chiesetta, piccole porzioni di questa comunità, ma a tutti noi che in un modo o nell'altro, in riferimento a Sirio o ad altri ugualmente cari, sentiamo forte nella nostra vita una presenza che non si materializza nei modi consueti, eppure conta così tanto, forse più di quella delle persone che ci sono fisicamente accanto. Solo cercando risposte dentro di sé ad una vita che scorre tumultuosa come un torrente in piena oppure pigra dentro alvei sinuosi che solcano immense pianure, si può capire quanto siamo vicini a coloro che sembrano lontani. Solo se ci lasciamo andare a questo fluire delle cose e delle realtà umane.

Mi ha aiutato in questo la lettura di un breve tema a mo' di lettera, scritto in classe un anno fa da Michele, un ragazzo che allora faceva la terza media:
"Parlerò di me, del Michele attuale, così diverso dal bambino di tre anni fa, non solo nei tratti fisici. Traccerò il mio ritratto psicologico nel tentativo di giustificare certi atteggiamenti e comportamenti che spesso gli adulti disapprovano e non capiscono".

Cara Giulia, *
la nostra avventura alla Carducci è giunta ormai al termine. Bene o male? Forse male; dovrò abbandonare molti dei miei amici, alcuni forse per sempre: la terza F era una classe simpaticissima, e probabilmente non eravamo così disuniti e sempre in conflitto come sarebbe potuto sembrare (vedi, per esempio, pianti dell'ultimo giorno di scuola).
Mi ricordo sempre del nostro primo incontro: la professoressa fece la sua brava gaffe d'inizio d'anno: "oh, vedo che abbiamo un bel ragazzo nuovo! come ti chiami?" "Giulia". "Ah, allora sei una ragazza!".
Tu eri una bambina (non una ragazza) molto timida, con due occhioni neri sempre nascosti dai capelli. Ma si capiva subito che eri una persona speciale: e infatti saresti diventata la mia migliore amica.
Anch'io sono molto cambiato: sono riuscito a seppellire quasi totalmente il mio passato; ero un bambino sempre zitto, molto riflessivo, serio: il bambino della mamma.
Avevo infatti con mia madre ottimi rapporti, nel senso che lei seguiva la filosofia de "il figlio è mio e me lo gestisco io". Mia madre decideva come vestirmi (il mio primo paio di jeans risale ad appena un anno e mezzo fa), come pettinarmi, come pensare, cosa mi piaceva e cosa non mi piaceva, cosa era giusto e cosa era sbagliato.
Come in tutte le dittature portate all'estremo, poi arrivò la rivoluzione, che fu lenta ma non indolore, e tuttavia sempre troppo veloce per mia madre, la quale è sempre stata una "brava bambina", anche nell'adolescenza, credo. (cosa vuoi, è stata in collegio dalle suore fino a venti anni!).
Molti hanno cercato di spiegare i motivi di questa ribellione per l'indipendenza che interessa, chi più, chi meno, tutti gli adolescenti. Nel mio caso è stata una situazione esasperata a farla scattare, unita alla mia età (cielo, non ero mica più un bambino!) e alla certezza di poter vivere bene. se non meglio, anche senza la supervisione della mamma.
Così sono diventato più spigliato (anche più simpatico, non trovi?), ho rinnovato totalmente il mio guardaroba, ho cambiato pettinatura e sono diventato un "rockettaro".
Molti criticano le ribellioni ostentate con un look provocatorio (orecchini, teste rasate, anfibi, eccetera... ), ma penso che l'obiettivo di questi "schiaffi alla morale pubblica" sia proprio quello di attirare critiche, per poter magari abbattere i pregiudizi che condannano una persona dal suo aspetto esteriore e che confermano che la società non è mai adatta al mondo della gioventù, ma, al contrario, sembra fatta su misura per contrastarlo.
E questo è anche il messaggio di molti gruppi rock:' Shock to the system", "Stop development", cioè "Shock al sistema", "Stop allo sviluppo". Questi sono i miei ideali: distruggere per ricominciare; e pensare che due anni fa ero un conservatore! Ma bisogna sbrigarci: se non cambiamo il mondo, allora sarà il mondo a cambiare noi. Forse sarebbe meglio? Non lo so. La politica dei piccoli passi è sempre la più sana. Non so se avrò il coraggio di organizzare una rivoluzione; tu mi aiuteresti? Se non altro saremmo già in due.
Ma nemmeno io sono sicuro delle mie idee (andiamo bene!). Nonostante tutto, infatti, non ho perduto il mio carattere introverso, riflessivo e silenzioso, più parlo e meno penso. Perciò scrivo. Ma adesso ho scritto anche abbastanza.
Rispondimi
Ciao
Michele
* (Professoressa, non pensi male!)
Dov'è ora Michele? Dov'è ora Sirio?, Dove sono io, ora?
Queste domande si intrecciano, si rincorrono, si parlano.
Difficile dare una risposta senza darsi una risposta.
Eppure dal tema di Michele, come da molti ricordi di Sirio e della sua vita, esce un elemento che è connotato dalla ricerca del cambiamento. Mai fine a se stesso, ma sempre accolto come qualcosa che fa parte della vita, che ne è come il midollo, rimasto sanissimo - questo sì! - in Michele. Vero, nell'implacabile guardar dentro le cose di Sirio.
Ed insieme la ricerca affettuosa e sincera di quanti si muovono in questo clima per vivere relazioni aperte, mai possessive. Là dove la storia rinnovata inizia ancora da un uomo e una donna.
Perché l'accoglienza reciproca di questa differenza, che le riassume tutte (fino quasi a soffocare le altre in questo nostro tempo ... ), è comunque fondamentale per un percorso di vita non irrigidito e arroccato sulla permanenza e quindi sul potere, ma liberato al fluire e all'incontro di uguali, diverse realtà.
Fino a intuire che anche se siamo così terribilmente sottoposti a toccare con mano la morte nella vita, possiamo - forse anche solo nel silenzio e nella solitudine -, percepire la vita nella morte.


Luigi


in Lotta come Amore: LcA marzo 1995, Marzo 1995

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