Abbiamo trascorso, Beppe ed io, alcuni giorni di ferie insieme. E' vero, bastano le dita di una sola mano a contarli ed anche .. ne avanza, ma a volte il tempo si dilata misteriosamente fino a contenere tante cose, assai più di quelle che possono uscire dalle inesauribili tasche di Eta Beta.
Imboccata l'autostrada per Genova, siamo usciti a Chiavari per affrontare le curve infinite del passo della Scoffera. Un itinerario già da tempo divenuto alternativo a strade ben più scorrevoli e veloci. Vecchie ferriere, opifici della prima industrializzazione, scuole di arti e mestieri che continuano ad inalberare piccoli monumenti all'incudine. Un percorso che si snoda in un paesaggio segnato da tracce di tanta fatica e di tanta passata (e attuale?) povertà. L'ultima volta che abbiamo percorso questa strada insieme è stato nell'autunno del 1987. Riportavamo Sirio a casa dall'ospedale di Pavia, dopo un mese di inutili tentativi per trovare un verso alla sua malattia, Lui insistette caparbiamente e in pratica ci obbligò a deviare a Busalla per il passo. Gli ricordava troppo il tempo delle sue scorribande in Lambretta per cercare quei respiri lunghi che lo avrebbero portato in Darsena prima ed in una continuità di lotta e di amore negli anni seguenti. Fu per lui certamente una grossa fatica e una forte emozione. Chi ci rimise di più nell'immediato però fu Maria Grazia che assommò alla stanchezza di quei giorni un persistente mal d'auto per quei continui strappi e sali scendi. Ci fermammo, allora, alcuni attimi al tramonto e furono attimi di gioia semplice e di grazia.
Abbiamo incontrato don Gino nel pomeriggio. Ad Ottiglio, alla cascina "G", vicino Casale Monferrato. Ed è subito festa, con il vino fresco e frizzante dell'amicizia. Intorno un gruppetto di giovani sono affaccendati a comporre scritte, a ritagliare strani oggetti nel cartone, a inchiodare cartelloni per invitare la gente di Ottiglio e dei paesi vicini ad un incontro sotto l'ormai mitico grande paracadute che fa da tenda. La sera facciamo memoria di un lungo cammino tra le mondine, i grandi cortili delle case popolari, le strade e i loro abitanti tutti particolari, la gente del sud terremotata... Ripartiamo al mattino, ma è come cambiar posto alla stessa tavola: a Saint Jacques in val d'Ayas ci attende don Michele e la semplice generosa accoglienza della pensione delle sorelle Favre. Amici tra loro Gino e Michele; amici con Sirio. Diversissimi tra di loro: uomini che han bisogno di spazio per crescere alla loro misura di alberi forti. E nell'arrampicarmi con il cuore in gola su per uno scosceso alla ricerca di stelle alpine e di genepy sotto un' acqua insistente, pensavo al messaggio di questi due uomini che hanno superato abbondantemente i 70 anni: l'insistenza sulla ricerca dell'essenzialità. Lungi dall'arrendersi di fronte alla complessità della realtà attuale essi scrutano l'orizzonte per cogliere ogni piccola manifestazione di novità vera. Ho capito che la vecchiaia non è necessariamente decadenza e morte. Il mistero del nostro corpo non è avvolto immancabilmente dal destino della fine. Anzi, c'è una grande misericordia nel corpo che invecchiando sembra aiutare, nella propria consumazione, tutta una trasparenza che rivela la perla preziosa che ci portiamo dentro. E' come se il progressivo diminuire delle forze accendesse e crescesse via via una luce tutta interiore capace di rivelare ciò che conta, ciò che veramente è importante. Come una nota prepotente e profonda che si leva a dare ordine e ragione a tutto un brusio inconcludente e stonato. Ho toccato con mano la grande ricchezza che sono questi uomini radicati nella ricerca attenta e mirata e nella speranza, Amici, tesori. Come don Arturo. Tesori da non custodire, ma anzi da investire nell'ampiezza delle nostre ricerche, nel coraggio e nella libertà delle decisioni e delle azioni. Energie potenti per dare vitalità alla vita.
Mi ha molto aiutato, questo incontro con don Gino e don Michele, in questi lunghi giorni di sofferenza e di morte di Michele, figlio quindicenne di Memo e di Enza. Un nipote ucciso dal cancro in appena dieci mesi. Una fibra forte e vitale, fino all'ultimo teso a non perdere contatto con la realtà, con la sua storia e la storia degli altri. Qualcosa di molto importante di me è morto con lui. Qualcosa di molto importante di lui ha forse preso vita in me. Qualcosa? No, qualcuno: Michele e io.
Luigi
in Lotta come Amore: LcA dicembre 1994, Dicembre 1994
Luigi Sonnenfeld
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