Cari amici italiani, i mesi scivolano rapidi, e mi pare d'essermi addormentato a Natale e di essermi svegliato nella settimana santa. Mi verrebbe da pensare che ormai è inutile scrivere, ché questa lettera vi arriverà dopo pasqua. Ma ho sentito che disobbedirei alla voce interiore cui cerco di essere fedele. Devo confessare che il mio lungo silenzio si deve non solo alla strettezza di tempo ma anche e soprattutto a una certa tristezza che sovente mi minaccia. Spesso mi vengono in mente le parole del cardinal Newman: "Prima io appartenevo a una religione triste ma ero lieto, ora appartengo a una religione lieta, ma sono triste". Potrei farne argomento di certi tratti autobiografici, affermando che fino a una certa tappa della mia vita, provavo l'entusiasmo di essere cattolico, ma forse ero meno abbandonato allo Spirito, ora che sono vecchio e che mi è data quella gioia spirituale che il Cristo promette prima di lasciare i discepoli, vivo la tristezza della chiesa. Giovanni il discepolo amato all'epilogo della sua vita, non riesce a trovare altro argomento se non - figlioli miei amatevi. Io mi sento come legato a un argomento che non è così squillante e pasquale come quello del discepolo amico, ma è piuttosto dolorosamente critico. Quando cerco di distrarmi e di dimenticarlo, mi viene, così quasi per caso sotto gli occhi, che devo necessariamente pensare alla complicità dell'Amico. Si tratta della "schizofrenia cattolica", una malattia spirituale di cui sono affetti moltissimi cattolici almeno i latinoamericani. Ogni domenica vedo davanti a me la cattedrale rigurgitante di devoti, e ora so che sono gli avvocati, chi i medici, chi i professori e avanti. Qualche volta entra un mendico stracciato che va verso l'altare maggiore e tenta qualche "segno" extraliturgico, e poi se ne va o viene allontanato sotto gli occhi indifferenti degli oranti; ma, a parte queste strane apparizioni, nessun povero, nessun vicino della favela oserebbe entrare nella cattedrale durante una liturgia. Arrivato a casa trovo sul tavolo abbandonato non so da chi, un foglio con dati della FAO. Questi dati precisano che 85 milioni di brasiliani sono subalimentati, ricevendo meno del minimo vitale calcolato in 240 calo rie. Si conclude - responsabilità della FAO - che i cinesi non umanizzati, non dignificati, non divinizzati dai missionari cristiani, con la metà del terreno agricolo del Brasile alimentano un miliardo e duecento milioni di bocche. Capite che quando vedo gruppi numerosi di preti di religiosi di suore affannarsi a costruire case di ritiro, a organizzare incontri di spiritualità a formare e riciclare questi responsabili della fame dei fratelli, mi invade una tristezza senza consolazione. Quando davanti a me col rosario in mano e con un foglio sui miracoli di Medjugorj vedo inginocchiato un proprietario di quasi quattromila capi di bestiame e migliaia di ettari di terra, e poi trovo davanti alla mia porta i volti pallidi di quelli che appartengono agli 85 milioni, non posso provare la gioia di appartenere alla religione del Risuscitato... Quando so - e non è un segreto - che i vescovi solidali con il popolo, preoccupati di quei scandalosi dislivelli, vengono a poco a poco implacabilmente, con una tecnica computerizzata, sostituiti da "vescovi religiosi" e che il lamento la protesta del popolo orfano, vale meno del raglio di un asino. Quando vedo sacerdoti che credono che l'evangelizzazione sia principalmente diretta ai poveri, vengono trasferiti usando lo stesso metodo satireggiato nel 1600, vedo il volto di Cristo coperto di un velo nero che lo sottrae alla vista, da rendere difficile e quasi impossibile la nostra speranza. Trovo conforto nelle parole di Gesù: "sarà tolto a voi il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare" (Mt.2l,43). E non è un'utopia lontana. Questo cristianesimo ufficiale ortodosso così disumano e irresponsabile, cede a poco a poco il luogo a un cristianesimo che viene dal basso... Nel 1933 il movimento interreligioso del Brasile s'impegnò nella lotta contro la fame e fu firmato un documento da 24 leaders religiosi. Si sta formando l'ecumenismo dell'avvenimento. mondo. Questo ecumenismo, incontro pacifico, fraterno di persone e gruppi che praticano differenti religioni o culti, non nasce da una discussione teologica, né da sommi principi, ma dalla logica degli eventi, la fame, la violenza, la salvezza del mondo. Nessun teologo della terra potrà riportare la prova della verità cattolica alla sua purezza, alla sua sublimità a quel che di puro di nobile di superiore che le è immanente, ma alla capacità di creare pace, concordia e giustizia per tutti. lo vorrei gridare fino alla morte che questa trasformazione è irreversibile. Il programma comune in questo incontro non è costituito da una volontà superiore, ma da azioni non coordinate, unite dalla comune aspirazione di volere trovarci fratelli. Nasce senza autou l'etica della pace della giustizia della solidarietà.
Ho cercato di far capire questo a un sacerdote pieno di zelo missionario che si propone di "cattolicizzare" gli indios guarinies. Gli errori commessi in cinquecento anni non gli dicono nulla. Il risultato facilmente prevedibile è quello della discordia fra gente che convive pacificamente e l'avvilimento la spersonalizzazione di coloro, dei pochi, costretti a baciare la mano di quelli che li hanno spogliati delle loro terre, e condannati a un lento e implacabile genocidio. Come vedete esiste fra noi una pastorale cosciente, intelligente, illuminata che acuisce le divisioni le disuguaglianze, la discordia, e consacra l'ingiustizia. Esiste la pastorale incosciente quella che è diretta dallo Spirito Santo che guida verso 'unione la concordia la responsabilità comune verso l'umanità, la giustizia e la pace del Regno. Vi scrivo il mercoledì santo e alzo i miei occhi verso la gioia pasquale. Anche in mezzo alla tristezza può introdursi la gioia perché, scrive un amico poeta che "La differenza fra il piacere e la gioia sta nel fatto che il piacere per esistere ha bisogno che la cosa esista. Ha bisogno dei maccheroni, della bistecca, della bocca che ti baci. Mentre la gioia non ha bisogno che la cosa esista. Questo mi fa pensare che la gioia deve essere più divina del piacere perché se diamo retta a Riobaldo, Dio è quello che è anche quando non esiste" (Ruben Alves). Non mettetevi a arzigogolare sulla finale, contentatevi di sapere e di sperimentare che la gioia esiste negli avvenimenti che ci immergerebbero in una profonda disperata tristezza. Così vorrei trasmettervi la mia immagine interiore in questa Pasqua 1994.
Vi abbraccio.
fratel Arturo
in Lotta come Amore: LcA agosto 1994, Agosto 1994
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455