Intervista a V.K.

D. - Nonostante quello che sta avvenendo nel tuo paese, è possibile non provare il sentimento dell'odio?
R. - Io non voglio odiare o ferire nessuno. Quando hai tanto amore dentro di te non puoi provare il sentimento dell'odio. Hanno distrutto la mia casa, una parte della mia vita, ma adesso sono qui e cerco di dimenticare. La vita può ricominciare anche a partire da qui.
D. - Sei una cittadina serba di Sarajevo. Che cosa significa per te questa cosa?
R. - Spesso mi sento colpevole per ciò che è accaduto e che accade. Mi sento colpevole per tutte le distruzioni e le sofferenze provocate dai serbi, ma non sono tutti uguali i serbi. Bisognerebbe conoscere a fondo la verità... mi sento molto triste per tutto quello che dicono contro di noi. Sarebbe necessario conoscere a fondo la storia della Jugoslavia per capire veramente. Nessuno ha il diritto di fare ciò che stanno facendo i serbi, i musulmani, i croati, ma chi è il maggiore colpevole? Certamente la responsabilità non è solo dei serbi.
D. - Come è possibile che una nazione che ha vissuto tanti anni di coesione interna e ha espresso il meglio di sè sul piano della convivenza fra diverse etnie e religioni esprima poi una tale brutalità?
R. - E' una questione molto complessa. Tutto ciò che è successo in Jugoslavia può accadere anche in altri paesi. Ci sono dei grossi interessi economici in gioco anche se questo elemento rimane poco chiaro all'opinione pubblica. Certo, lo sappiamo tutti, le alleanze storiche di serbi e croati sono sempre state conflittuali. Penso alla seconda guerra mondiali, ma anche prima. Penso che in realtà i serbi sono stati ingannati nel corso della storia. Noi siamo un popolo aperto ... anche se adesso non riconosco la mia stessa gente e non posso credere che si siano macchiati di tutti i massacri che ben conosciamo. Dovremmo capire chi sta giocando con noi, chi ha provocato questa grossa esplosione di odio. E c'è un pericolo latente in tutto il mondo, anche in Italia.
D. - L'idea di costruire la Grande Serbia trova consenso fra la popolazione?
R. - L'idea della guerra non riguarda il popolo. Sono stata in Serbia cinque mesi fa; non puoi immaginarti le reali condizioni di vita della gente così provata dall'embargo. C'è una grossa propaganda contro la Bosnia e la Croazia, ma nonostante questo la gente non vuole andare in Bosnia a combattere, non ne vede il motivo. Ho conosciuto molte persone scappate per non andare in guerra. Con l'embargo hanno letteralmente distrutto la gente. A volte penso che vogliono distruggere la Serbia e tutta la Jugoslavia. Fanno di tutto perché si acuiscano le tensioni con l'Europa. Forse il vero scopo è proprio quello di preparare le condizioni per un conflitto più generalizzato.
D. - Pensi che una grossa pressione internazionale potrebbe rompere l'isolamento di Sarajevo, permettendo a significativi settori della società civile internazionale di entrare in città?
R. - Sarebbe bello se molte persone andassero a Sarajevo a chiedere la pace, ma è molto pericoloso. In qualsiasi momento potrebbe accadere qualcosa di grave e allora le ripercussioni sarebbero molto dure. Purtroppo però non è più possibile avere fiducia nelle trattative: è da più di due mesi che parlano, parlano... Credo che l'isolamento di Sarajevo dipenda prima di tutto da Izibegovic e Karadric.
D. - Se non possiamo credere alla volontà della diplomazia internazionale di fermare la guerra, dobbiamo allora credere alla forza della gente, in qualunque parte sia, perché riesca a costruire la pace... altrimenti non c'è speranza...
R. - In realtà io sono molto pessimista; non vedo nessuna speranza per tutti noi. Prima pensavo che fosse impossibile la guerra in Bosnia: invece c'è stata. Se questo è successo vuoI dire allora che non c'è nessuna speranza per il mondo. Forse penso così perché non sono credente come lo siete voi italiani. Voi siete abituati a credere in qualcosa... Prima avevo una grossa fiducia nel socialismo. Stavamo bene, prima, ma il nazionalismo ha troncato questa nostra esperienza e ora è difficile credere in qualcosa. Il nostro socialismo era molto diverso da quello di altri stati, per esempio della Russia. Per loro noi eravamo occidentali e del resto nel giro di non molti anni avremmo potuto raggiungere un tenore di vita simile al vostro. Ma "in alto" hanno deciso di distruggere quel sistema. E' stato facile allora alimentare i nazionalismi e arrivare alla guerra.
Se le persone vogliono dividersi secondo la religione o l'etnia, allora ti dico che non voglio più tornare indietro. Per me esiste una sola regola: un uomo o è buono o è cattivo. Su questo baso la mia vita e il rapporto con gli altri. Quando all'inizio è scoppiata la guerra in Croazia, non avremmo mai pensato che sarebbe arrivata anche da noi. Quando invece è stata una realtà non potevamo esporre i nostri figli al pericolo e quindi siamo venuti via.
D. - Avevate rapporti con famiglie di altre etnie e religioni?
R. - Abbiamo molti amici croati e musulmani. Non c'è mai stato nessun problema fra noi. La diversità era una cosa reciproca e normale. Abbiamo vissuto benissimo per anni a Sarajevo. Ci sono tanti matrimoni misti a testimonianza di come eravamo. Quando è scoppiata la guerra in Croazia ci consigliavano di comprarci delle armi, ma per noi era una cosa assurda. Eravamo amici di tutti, contro chi avremmo dovuto usarle? Come avremmo potuto trovarci opposti agli amici? Abbiamo sempre creduto nel valore dell'amicizia e gli abitanti di Sarajevo erano fieri proprio della loro diversità. Ci sentivamo speciali. Sarà difficile ritrovare i valori di prima, molto difficile.
A volte i miei figli mi chiedono il perché della guerra, perché siamo venuti in Italia. Non ho mai parlato male né dei serbi, né dei croati, né dei musulmani. Non voglio che crescano con un senso di rancore nei confronti di qualcuno, ma che pensino piuttosto al bene che c'è nelle persone. Il problema è anche quello di pensare ai bambini che saranno gli adulti di domani: forse loro potranno ricostituire la nostra società, un popolo nuovo.
Spero che tutte le mamme facciano in maniera che quello dei loro figli non sia un futuro di odio.





in Lotta come Amore: LcA aprile 1994, Aprile 1994

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