Cari amici,
da vari mesi si presenta alla mia mente il tema della risurrezione. Credo di dovere questo orientamento del mio spirito a una frase di Popper che mi colpì molto. Considero un dono di Dio l'ingresso di parole o idee sconvolgenti che influiscono su quel processo di trasformazione interno, che è il segno che ancora viviamo. Popper dice: "Noi tutti dobbiamo morire, e forse anche la vita deve morire". A me piace questo pensatore che conosco solo per i suoi scritti (e non profondamente), perché parla e scrive sorridendo. Le cose che scrive ultraottantenne, perdono la pesantezza accademica e acquistano una levità piacevolissima. Con quel suo fare allegro giovanile, ha attaccato gl'idoli della filosofia, arrivando a dire di Hegel che "non cerca la verità: vuole impressionare" . Per questo la sua dichiarazione non certo nuova - che tutti dobbiamo morire -, non mi poteva arrivare in altro modo che sulle ali di farfalla come altre sue affermazioni. Ma la seconda parte - che "forse anche la vita deve morire" , mi ha immerso nel pensiero della risurrezione.
Ormai il distico dialettico morte-vita è entrato nella nostra cultura. Non sono state le guerre a svegliarci alla consapevolezza della morte, ma lo sparire delle specie animali e vegetali, la creazione che muore intorno a noi. Di noi sapevamo che dobbiamo morire, e i cadaveri straziati dalla violenza dell'uomo sono entrati nel conto della legge inesorabile della nostra vita. Ma la natura era così fedele al suo ciclo, morte-vita-risurrezione, che non ci accorgevamo della sua morte. Chi poteva chiamare "morte" i nostri autunni toscani che ci regalano le foglie delle viti rosso-ruggine e quei pacifici tramonti che andiamo puntualmente a godere in un luogo scelto della nostra campagna? Ma ora ci siamo accorti che molti degli esseri vivi che entrano nel ciclo, non tornano più. E questo ci fa pensare che "forse anche la vita muore". Ho ripensato seriamente alla mia fede che è fede nella risurrezione, e ho concluso che noi cristiani abbiamo perso tempo, non poco tempo, secoli di tempo. Perché ogni anno abbiamo ricordato con simboli sempre meno significativi per le generazioni che si succedono, la risurrezione di Cristo; l'abbiamo discussa, polemizzata fino a trovare una formula accettabile, ma non abbiamo capito di essere noi portatori responsabili della energia della risurrezione.
Lévinas ci ha familiarizzato con l'idea che a una modernità razionalista, onnipotente, giunta all'esaurimento delle sue possibilità creative, può succedere solo un'epoca che parta dalla coscienza che esiste la morte. Ma se ignoriamo la forza della risurrezione o non siamo capaci di accoglierla e di trasmetterla, l'impatto con la morte non può produrre alcuna novità. La pura obbedienza al comandamento "Non uccidere" non può aiutare la storia ad andare avanti con speranza; la legge non ha dato mai frutti di vita e non li darà. Bisogna che il cristiano ripeta veramente l'esperienza del Cristo: essere attaccato ad una fede profonda che "Dio ha il potere di risuscitare dalla morte" e vivere questa fede immergendosi fino in fondo nella realtà, sottomettendosi alla legge della storia che non ha mai risparmiato quelli che sognano un mondo migliore. Dico questo perché il discorso sulla vita che chieda solo il rispetto alla vita, dall'uovo fino al prodotto finale della sua evoluzione, non spinge i ricchi, i soddisfatti ad uscire dalla loro piccola grotta ecologica, e il mondo continua ad essere attanagliato da forze di morte. Portatori dell'energia della risurrezione possono essere solo quelli che per condizioni di vita o perché presi senza scampo nell'utopia di un mondo diverso, accettano con Cristo di lottare contro le forze di morte presenti in tutte le attività umane. Il divieto di uccidere permette di scusarsi: "non è detto per me"; la convocazione a combattere la morte che sta nella natura, nelle relazioni, nelle istituzioni, e a fare della risurrezione l'ipotesi di base di tutte le attività a cui ci dedichiamo: questo è un appello universale, anche se le motivazioni possono essere varie. So che io devo morire, ma non voglio che anche la vita muoia, ed è il desiderio - se volete ingenuo, ma fremente di speranza -, che è diventato il contenuto della mia preghiera al Risorto.
Vi auguro una pasqua lieta, perché la letizia è proprio la grazia della Pasqua.
Arturo
in Lotta come Amore: LcA aprile 1994, Aprile 1994
Luigi Sonnenfeld
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