Rinnovare questo nostro giornalino con una veste grafica che lo lega al passato (1976...) e insieme lo apre fiduciosamente al futuro, non è solo un'operazione di immagine.
E', prima di tutto, il risultato di un movimento interiore che si espande assumendo nuove forme e ridisegnando il nostro vivere quotidiano ed insieme gli impegni di presenza e di confronto. Sembra giunto il momento di andare oltre un impegno di fedeltà. O forse, la fedeltà sta uscendo dal necessario tempo di incubazione, in cui è soprattutto imitazione, per fiorire e tessere nuovi intrecci e liberare la propria forma più autentica. Anche il giornalino entra in questa corrente che non rinnega la sorgente, ma, al contrario, ne libera le energie. Affrontiamo un corso nuovo nell'identica e immutata spinta verso il mare vasto dell'umanità, della sua storia e della delicata trama del rapporto con Dio.
Non ci sono programmi editoriali e neppure l'intenzione di cambiare un rapporto con gli amici/lettori da sempre improntato all'offerta pura e semplice delle nostre riflessioni, delle nostre letture, delle nostre vicende. In una comunicazione tutta amichevole che della gratuità fa il suo segno distintivo ed accetta di iniziare e di scomparire senza che venga meno la fiducia, l'incoraggiamento per tutti coloro con i quali compiamo un tratto più o meno prolungato del cammino della vita.
Come una mano alzata a salutare e richiamarsi a Dio.
Ci è stato chiesto perché non cambiamo anche il titolo. Nato nel contesto dei ribollimenti immediatamente a ridosso del '68 questo titolo rischia adesso di essere letto in un senso tutto intimista e spiritualistico.
In parte perché si è perso il senso di una lotta (contro chi e per che cosa lottare?), ma anche, e forse più, perché siamo in grossa difficoltà nell'amare e cioè nell' essere coinvolti fin nel profondo di noi stessi da qualcuno altro da noi che sposta il centro del nostro interesse al di fuori di noi stessi. La complessità del nostro vivere, invece di stimolarci a nuove e dilatate polifonie, ci ha frenati e paralizzati. Nell'impossibilità di ascoltare perfino l'eco delle nostre ricerche, dei nostri valori, della nostra dedizione nell'ampio teatro della storia. Ridotti a canticchiare all'orecchio ciò che andrebbe urlato dai tetti, alla ricerca ossessiva di quel "la" che una volta ci ha fatto sognare e che ora suggerisce solo timidamente un ricordo.
Vorremmo che questo giornalino, conservando la sua vecchia testata, esprimesse un autentico crocevia: incontro di persone e punto concreto di resistenza.
Lotta e Amore li ritroviamo uniti alla radice della nostra vita, in un articolo di Sirio che dette origine al nuovo titolo dopo la stagione vivacissima de "La Voce dei Poveri" .
E così sono presenti nella lettera di Arturo e nelle riflessioni di Beppe.
Tratteggiano i testi di questo numero, i documenti e le poesie.
Acquistano - sempre la lotta e l'Amore - una prospettiva nel futuro, attingendo alle lotte del passato e all'Amore che le ha sempre alimentate. Non potremo quindi passare sotto silenzio il fatto che il 1994 segnerà quarant'anni da quando il Vaticano decise la sospensione dell'esperienza dei pretioperai francesi. Decisione che determinò quattro anni dopo la fine di una esperienza ricomparsa solo tra le maglie allargate del Concilio.
E dovremo ricordare ogni giorno che il 1995 segnerà - evento terribile, universale - il 50° anniversario del lancio della prima bomba atomica sul Giappone. E soprattutto che in quell'anno scadrà il Trattato di Non Proliferazione delle Armi Atomiche. Sappiamo che i firmatari non rinnoveranno il loro impegno a non diventare potenze nucleari se le potenze attuali non firmeranno, a loro volta, il totale bando dei test atomici, riducendo in modo significativo il loro arsenale.
La Redazione
in Lotta come Amore: LcA maggio 1993, Maggio 1993
Luigi Sonnenfeld
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