Ricordo tre episodi recenti:
- la discussione tra pretioperai riguardante la decisione di celebrare messa in un contesto in cui poteva esservi - a ragione una maggiore ricerca di 'autenticità';
- l'aver benedetto il varo di una motonave in un cantiere di Viareggio;
- la riflessione, in un incontro di amici, su la presenza e la lotta nella Chiesa ...
Un filo che mi fa collegare questi fatti tra loro: la "facilità" con cui faccio il prete, specie in questi ultimi tempi. Mi sorprende. Forse, più onestamente, dovrei dire: la facilità con cui, in questo tempo, uso il mio essere prete.
Ecco, ci siamo: mi imbarazza (il mio essere prete) solo quando qualcuno bussa alla porta della chiesetta e chiede di un parroco (sinonimo di prete) per avere l'elemosina. Non so perché finisco sempre con l'inquietarmi e anche le cose più facili mi diventano difficili.
Invece, quando qualcuno mi chiede di fare il prete (messe, sacramenti, prediche ecc.), non é certamente che vada a nozze, ma mi lascio usare, appunto, con più facilità! Mi sembra di conoscere ormai bene il mestiere. E di avere quella tranquilla disponibilità che mi deriva dall'utilizzare creatività e inventiva per cavarmi d'impaccio e rivestire il gesto sacrale di umana quotidianità. Senza che questo mi inquieti troppo.
Perché sorprendermi? Bisogna pur vivere!... o no? Eppoi, dopo oltre 25 anni di sacerdozio sarà pure entrato dentro il mestiere. E cioè la disinvolta capacità di far fronte alle diverse richieste senza entrare ogni volta in crisi.
E, a questo proposito, devo confessare che mi sorprende molto notare la frequente rigidità e l'avarizia di risorse umane, spirituali, tipicamente pastorali di preti con anni di sacerdozio sulle spalle e a cui é evidentemente negata la gioia di chi si sente a suo agio nell'interpretare un ruolo richiesto e si destreggia con arte nella materia, a volte davvero non facile, dei rapporti religiosi e sacrali.
Quale contraddizione! Perché io, che sto scrivendo queste cose, mi sono sempre rifiutato di considerare il sacerdozio come un mestiere. Fino ad avere, ormai da sempre, un lavoro. Fino ad aggrapparmi tenacemente al brandello del mio attuale status di lavoratore nei servizi pur di cercare di evitare la facile equazione di prete che si interessa di emarginazione e di far lavorare gli handi-cappati.
E' contraddizione addolcita dalla cosiddetta "pastorale del nulla". Scherzando tra amici preti toscani é venuta fuori questa espressione che traduce non il nulla delle cose fatte (se ne fanno, eccome, di cose... ), ma l'assoluta leggerezza con cui vengono vissute, appunto le 'cose' pastorali sfrondate di ogni orpello autoritativo e ricamo burocratico. Una leggerezza simpatica che tende a sdrammatizzare l'impianto sacrale e a produrre intorno rapporti semplici, familiari, di confidenza con le cose di Dio fino alla irriverenza tutta toscana, alla Benigni tanto per intendersi.
La leggerezza mi attrae sempre. Saranno i miei abbondanti 90kili, sarà l'antico sogno del fabbro di sprigionare dal ferro nero e pesante agili aeree volute... , ma non é questo che é importante. Piuttosto, una riflessione sulla leggerezza nel religioso potrebbe essere tema da approfondire perché, ad esempio, la forza dell'ironia e del buonumore immessa nella drammatizzazione sacrale può miscelare tuttoggi strani propellenti per le dinamiche che ci interessano.
Narciso, Narciso... ! Sì, il narcisismo é in agguato: il mestierante trova gusto e si diverte della sua stessa virtuosità. O, se preferite più prosaicamente, il giullare non si rende conto di far parte di un voluto effetto 'placebo' guidato dal potere del sacro.
La leggerezza non può esser un bene rifugio. Non può essere un antidoto o un'alternativa alla conflittualità, ma la condizione perché la conflittualità sia liberata e restituita ad una autentica radicalità di cui é frutto.
Non si può essere radicali (e radicati) senza la necessità di scuotere la polvere dalla suola delle scarpe ogni volta che é necessario. Anche se questo gesto, fatto con leggerezza, può insaporire di presa di giro la conflittualità manifesta. Non si può essere radicali (e radicati in una fede, in una lotta, in un popolo...) senza prenderne le distanze e affrontare situazioni e nodi anche a costo di attraversare le oscure terre dell'angoscia.
E forse qui, più che raccontarci gli equilibrismi quotidiani dell' esercizio del nostro essere preti liberi da ritorni economici e di carriera, dal bisogno di essere protetti dalla corporazione, dovremmo cercare di mettere a fuoco quanto e se il mestiere innegabile del pastore aiuta il gregge ad un processo concreto di liberazione che esige il confronto e il conflitto. E quanto e se il "gregge" che é presente nello stesso pastore, si stia liberando.
Perché non accada (e solo Dio sa quanto sta accadendo e accadrà) che la quotidiana leggera manipolazione del sacro divenga convinzione che il nodo del sacro non sia poi così cruciale nella vita e nella storia . umana. Così come il serpente cullato dal ritmo abile e suadente del pifferaio.
Un'azione che non introduce il sogno nella realtà, ma, al contrario, rischia ad ogni passo di far svanire la realtà nel sogno.
Luigi
in Lotta come Amore: LcA novembre 1992, Novembre 1992
Luigi Sonnenfeld
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