Nel piccolo spazio di terra che circonda la chiesetta del porto. il "campo della pace", si é svolto un incontro un po' speciale, una specie di "festa dell'incontro" provocato dalla presenza di un carissimo amico che da molti anni vive in Bolivia, nella zona di Camiri. Con lui, in occasione delle celebrazioni dei 500 anni dalla "conquista-scoperta" dell' America, sono venuti anche alcuni rappresentanti delle popolazioni indigene Guarany.
Ci siamo incontrati con loro, insieme ad un numeroso gruppo di amici per un momento di festa, di scambio, di accoglienza vicendevole, per mettere insieme le attese e le speranze di un mondo capace di "scoperta" vera ed autentica e non di conquista e di sopraffazione. Il campo della pace, in quella bella sera di luglio, ha vissuto di un respiro davvero singolare, pur nella semplicità dell'avvenimento. Nella rotonda di mattoni che vuole essere segno di comunicazione e di dialogo (realtà essenziali alla pace) abbiamo cenato tutti insieme, ascoltato canti e musica, parlato a cuore aperto. Soprattutto abbiamo "accolto" con sincera partecipazione e amicizia questi piccoli uomini scuri di pelle discendenti di quelle popolazioni indie che attraverso secoli di sofferenze e di oppressioni sono riusciti a resistere, a mantenere viva la loro memoria storica, la loro cultura, l'essenza della loro anima.
Mi ha molto emozionato, in profondità, ascoltare la voce antichissima del più anziano Guarany che nella lingua indigena ringraziava per l'accoglienza fraterna ed esprimeva il desiderio di tutto il suo popolo di trovare spazi di libertà e di vita migliore anche attraverso la collaborazione a distanza con piccoli progetti comuni per un migliore sviluppo della vita della sua gente. Fra tutte le 'celebrazioni' dei 500 anni la piccola festa amerindia sul lungo canale est di Viareggio é stata certamente la più modesta: é stata però una cosa bella, non nel senso estetico del termine (anche se tutto é stato curato con attenzione e con premura) quanto piuttosto nel senso di un momento estremamente importante per raccogliere motivi di fiducia dentro una situazione generale carica di enormi difficoltà, angosce, timori, senso di impotenza, impressione di inutilità di una lotta per una umanità liberata ed aperta. I Guarany sbarcati inaspettatamente nel piccolo fazzoletto di terra della Darsena mi hanno comunicato un sentimento di coraggio, di forza, di desiderio di resistenza dentro il fluire incessante della vita per la costruzione di rapporti nuovi basati soprattutto sul conoscersi e sul "riconoscersi" come appartenenti allo stesso progetto umano a qualunque latitudine lo si collochi. Mi sono perfettamente riconosciuto in loro, li ho sentiti semplicemente parte di me, della mia stessa umanità. Sono stati nella nostra casa, alla nostra tavola, hanno bevuto (molto volentieri) un buon bicchiere di vino, hanno aperto il loro cuore e ci hanno manifestato alcuni dei loro problemi.
C'é un piccolo progetto che sta prendendo forma per realizzare una conduttura per portare l'acqua in alcuni villaggi: l'acqua é fondamentale per la qualità della vita, in modo particolare per la salute. Un po' di acqua buona della Bolivia potrà raggiungere finalmente la sua destinazione con l'aiuto degli amici di Viareggio. E' certamente un progetto prezioso e meritevole, sulla linea di altri interventi che già ci sono stati in passato. Per me, importante e significativo é il motivo da cui é scaturito questo progetto, la falda più profonda dove scorre il fiume della solidarietà e della partecipazione.
La presenza di un amico che ha dedicato la sua vita da molto tempo a questo popolo ha determinato l'incontro. Questo esserci incontrati, riconosciuti, accolti reciprocamente alla pari, mi sembra fondamentale: così non avvenne davvero in quel lontano ottobre 1492. Non avviene purtroppo neppure ora, dopo tanto cammino culturale, sociale, economico, politico, religioso ... Il dramma umano, forse, consiste proprio in questa enorme difficoltà di riconoscersi, accogliersi, ascoltare per tracciare progetti comuni per una stessa umanità, per una me medesima vita: Serbi, Croati, Sloveni, Azerbegiani, Somali, Etiopici, Eritrei, Palestinesi, Israeliani, Sudafricani... Un'in-finita lista di nomi che attraversa in lungo e in largo, all'interno e all'esterno il corpo vivo dell'umanità che porta i segni dolorosi di questa incapacità a "riconoscersi" come appartenente ad una medesima razza.
Ho vissuto la nostra umilissima festa amerindia alla luce di una possibilità ritrovata, come segno che l'impossibile può ancora diventare possibile se il cuore si apre alla dimensione autentica per cui siamo fatti. Per lo spazio di una sera, sotto i pini ed i platani del campo della pace, tra il fruscio leggero delle foglie del mais che come per incanto era spuntato (portato dalla tenace caparbietà di un'amica) vicini all'acqua salmastra del canale, é stato chiaro il senso di che cosa dovrebbe portare con sé ogni "scoperta", ogni incontro con la diversità, con lo straniero, con l'altro. Capacità di stare insieme, di fermarsi, di ascoltarsi, di parlarsi: per scoprire con meraviglia le comuni radici che affondano nello stesso misterioso destino umano.
don Beppe
in Lotta come Amore: LcA novembre 1992, Novembre 1992
Luigi Sonnenfeld
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