"Ho conosciuto tanti amici che hanno speso la vita per battersi contro la guerra, si sono consumata l'anima per promuovere l'avvento della giustizia, sono giunti a figgere gli occhi in imminenze di mondi nuovi abitati dalla pace... poi, all'improvviso hanno perso l'entusiasmo rompendo proprio sulla dirittura d'arrivo. Che cosa era successo? Hanno visto, magari, che la guerra esorcizzata del Golfo é riemersa in Jugoslavia, spenta nel Centro America é divampata nel Sudan, snidata dalle tenebrose caverne nucleari é ricomparsa nei funesti apparati delle armi convenzionali con la stessa quota di desolazione e di morte... e si sono ritirati delusi: tanto non c'é nulla da fare!
Ho conosciuto tanti apostoli della nonviolenza attiva correre su e giù per additare spazi affrancati dall'odio e dalla logica della forza. Ma poi é bastata la rimonta dei messaggeri di segno contrario, e la sufficienza teologale degli accademici, l'irrisione bruciante dei "maitre à penser" di turno e si sono accasciati distrutti.
Non hanno saputo superare il punto critico di rottura, da cui o sgorga la speranza o dilata la disperazione. Sono entrati in crisi da insuccesso. Hanno visto, cioè, allontanarsi le frontiere delle loro calde utopie, e non hanno avuto più il coraggio di additarle ai loro compagni di strada." (Mons.Tonino Bello in Il Mosaico di pace n.16 dic.1991)
A quasi un anno di distanza queste parole rimangono attuali a segnare una difficoltà in cui ci dibattiamo che non nasce tanto dalla disillusione quanto dalla incapacità di uscir fuori da una specie di intorpidimento, di paralisi, di fronte ad una situazione che si frammenta e si sbriciola in mille emergenze quotidiane.
Ci basta e avanza il carico dei problemi che si accumulano nelle ventiquattrore, fino ad esaurire il coraggio di un'utopia che si avvita sempre più nella constatazione di inutilità di ogni gesto che abbia rilevanza collettiva.
A volte, a raccontare come va, ci vuole tutta l'immaginazione per tirare fuori dei fatti - ma anche solo delle intuizioni - che non sappiano di già visto e raccontato. Antologie di nomi, di esperienze, di storie tutte dignitose e valide in sé, ma raccolte nelle classiche copertine d'archivio che segnano bilanci, ma non liberano sogni.
Così mi sembra l'impegno per la pace che non può essere rimproverato ai singoli gruppi e soprattutto ai militanti, ma che segna inequivocabilmente una caduta di tensione, una difficoltà lacerante e disarmante specie di fronte alle vicende della ex-Jugoslavia.
Pace é veramente parola molto grossa e, forse, l'essercene appropriati come gruppi, movimenti, ecc. ha finito per tradire chi pensava di poterne essere attore senza considerare la dimensione del problema. La pace appartiene ai popoli ed é molto difficile. Essa passa attraverso gli innumerevoli nodi delle differenze e dei confronti, penetra a fondo e percorre i crocicchi di ogni possibile diversità. Risale a passo lentissimo i dirupi scoscesi dove é possibile raccogliere la stima e la fiducia reciproca per poterla trapiantare e crescere nelle strade e nelle piazze, lungo i confini storici e quotidiani che ci dividono.
Pace va oltre la nonviolenza, la solidarietà, l'ecologia... Pace non é il nome di qualcosa, ma forse la sola autentica possibilità di dare un nome vero alle cose.
Per questo non può non stupire dolorosamente che sia così difficile alimentare un dibattito, una rilettura, una critica del muoversi in nome e per la pace durante questi lunghi mesi dell'odissea balcanica, facendo di questa terribile realtà il luogo di revisione di atteggiamenti di fondo e di motivazioni anche storiche.
Quanto e come un certo modo di parlare di pace comporta la conseguente dimostrazione che c'é un nemico da battere perché pace sia? Quanto e come la pace é ancora identificata con una ideologia, fosse pure supportata da una lettura nonviolenta di un vangelo? Quanto e come la pace ha finito di essere un sogno che ci sorprenderà per vestire gli abiti realistici di un frutto da cogliere? Quanto e come la pace é riuscita ad alimentare e nutrire nuovi rapporti e nuovi modi di essere anche nel nostro quotidiano?
C'é un respiro ed una libertà che dobbiamo riconquistare prima di riparlare di pace. Ci sono spazi da percorrere senza la paura di smarrirsi o di allungare la strada. E la forza d'animo di ridire a se stessi che si può essere sconfitti, ma mai derubati del senso di questa grande utopia.
La Redazione
in Lotta come Amore: LcA novembre 1992, Novembre 1992
Luigi Sonnenfeld
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