In condizione operaia: vangelo o evangelizzazione?

Convegno dei preti operai italiani
Salsomaggiore 1-3 maggio 1992

Eravamo una sessantina a Salsomaggiore. Un numero dignitoso per un incontro che si è sviluppato a ritmi serrati nelle quattro mezze giornate previste dal programma del convegno.
Una sessantina di preti operai, forse appena più della metà di quelli attualmente esistenti in Italia. Ma è sempre stato difficile contare le persone in base a criteri mai del tutto oggettivabili...
Alcune assenze annunciate, il quasi totale disinteresse degli organi di informazione, la ormai pacifica e assoluta ignoranza da parte della Chiesa, sembravano dover seppellire questo convegno negli angusti confini dell'incontro tra veterani d'arma tutto avvitato su se stesso.
E certo una rilevanza non l'ha davvero avuta, né è possibile dire che sia scaturita dal confronto una strategia innovativa di rilancio dei preti operai. E neppure la testimonianza di un movimento radicato nelle linee portanti della storia.
Se dovessi descrivere l'impressione che mi ha fatto il convegno, userei l'immagine di un incontro ad un crocicchio di strada di uomini pensosi che si scambiano preoccupazioni e speranze. Alcuni, tra loro, tentano di far sintesi. Ma forse si tratta, più che altro, di nuove immagini che dilatano quelle appena tracciate dalle testimonianze di vita. Qualcuno - senza rendersene ben conto - racconta favole che aiutano a camminare più leggeri. Altri si scambiano indirizzi e informazioni sempre preziose in viaggio.
La testimonianza di coloro che lavorano ancora in fabbrica, sembra uscire da un libro di storia. E' sempre più difficile credere che sia vero il racconto dei giorni, quando tutto oggi ci insegna a credere solo nella favola di un mondo patinato di tempo libero, vestito firmato e vacanze esotiche. Un mondo che viene dato come a portata di mano e ostacolato solo dagli imbrogli della politica, dalla delinquenza giovanile e dalla droga, dalla mancanza d'ordine e di autorità.

"Il lavoro di fonderia è caratterizzato dalla dequalificazione permanente. L'operaio impara in poche ore quelle che sono le sue mansioni, e poi le ripete per centinaia o migliaia di volte al giorno, per tutti i giorni che vi lavorerà...
Chi non si impegna nel lavoro, chi non rende, viene spedito via in breve tempo. Ma anche chi parla troppo facilmente con i compagni, chi manifesta uno spirito critico, chi presenta qualche problema di salute... non viene confermato.
Si richiede quindi a tutti gli operai la massima disponibilità, che vuol dire il massimo di tempo di lavoro possibile e il minimo di assenze... La malattia dev' essere un' eventualità rarissima e, nel caso, di pochissimo tempo... L'orario medio settimanale è di 50/52 ore; per alcuni anche 60 ore e più.
Quando l'azienda ha bisogno si lavora anche di domenica, anche nelle feste, anche di notte.
Ma oltre a questa disponibilità al lavoro senza tanti limiti, si richiede anche la 'collaborazione', ossia il sentirsi coinvolti nella vita dell' azienda.
La contropartita a tutto questo è un trattamento salariale privilegiato con superminimi individuali elevati, forme di cottimo allettanti per chi ha bisogno di impinguare gli scarni introiti di fine mese. Così uno per quattro soldi in più, svende non solo il lavoro delle proprie braccia, ma anche il proprio tempo libero, la salute, e spesso anche la testa, la propria libertà di pensiero e di giudizio...".

"Da circa un anno sono arrivati i senegalesi. Essi praticamente hanno rimpiazzato i giovani con contratto di formazione-lavoro nel ruolo di mano d'opera più debole e precaria, facilmente ricattabile e licenziabile. Sono infatti assunti in genere con contratti a termine di pochi mesi.
Specialmente all' inizio sono stati un ulteriore elemento di divisione tra i lavoratori. Per il loro isolamento, la difficoltà reciproca a comprenderci, per certe prevenzioni e resistenze da parte degli operai italiani verso di loro... ".

"Sono circa 7 milioni i lavoratori delle aziende con meno di 16 addetti. Ma anche tra le aziende con più di 16 addetti sono molto numerose quelle che non hanno la presenza del sindacato; o nelle quali comunque i lavoratori non sono sufficientemente tutelati.
E' una realtà negata da tutti:
dagli stessi operai che sono costretti a subirla;
dalla cultura dei mass media perché è considerata lilla realtà 'normale', anzi quasi un privilegio (l'operaio della grande fabbrica in genere è considerato un 'garantito'; l'operaio della piccola azienda un fortunato perché lavora in un ambiente 'familiare' !);
dalla Chiesa, che nei suoi documenti più autorevoli dimostra di non conoscere questa realtà (dall'enciclica "Centesimus annus"; n.: "Nella società occidentale è stato superato lo sfruttamento, almeno nelle forme analizzate e descritte da Carlo Marx" )."
(dalla relazione di Piero Montecucco e Luigi Consonni)

Nostalgie di persone abbarbicate ad una visione irreale della storia? Immagini provenienti da spezzoni in via d'estinzione di una realtà produttiva ormai modernizzata e automatizzata? E poi, di fronte ai passaggi epocali, alla minaccia di distruzione del nostro ecosistema, alla caduta di muri e all'innalzarsi di altri, alla sfida rinnovata per la pace e la giustizia nel mondo, cosa hanno da dire i preti operai?

"In questa grande storia, parlare di qualcosa di "così storicamente minuscolo, così specificamente europeo, cosi particolarmente ecclesiastico" come l'esperienza dei preti operai, è come parlare delle briciole nel piatto.
Ma allora, come mai in tutti i nostri scritti traspare la coscienza di essere in una posizione privilegiata, non unica certo, ma in uno dei posti giusti per accogliere le sfide del tempo e persino tentare delle risposte?
Proviamo a dame una spiegazione.
Il Vangelo consiglia una particolare attenzione "affinché nulla si perda".
Il profeta Maometto usava ripulire il piatto con le dita dicendo: "quello che resta per ultimo del cibo è quello che ha più benedizione". E si leccava le dita finché diventavano rosse.
La rivelazione cristiana del nome segreto di Dio, "io sono il pan ... chi mangia di questo pane vive la vera vita" (Gv. 6,51), è il rovesciamento dell' onnipotenza divina immaginata dall'uomo potente; l'onnipotenza del pane non è il potere di fare tutto, ma la capacità di alimentare solamente la vita. Di questo pane ci siamo nutriti in questi lunghi anni durante i quali ci siamo spogliati delle nostre piccole onnipotenze.
Nel nostro tempo Dio ci ammaestra sul fatto che non esistono assoluti e che l'imponderabile, il diverso, il vuoto sono presenti in tutte le forme dell' esperienza umana.
Distaccarci dai nostri assoluti ci mette in una situazione difficile, spesso drammatica, dove ogni gesto richiede di essere pensato, inventato, non avendo più alcun punto assoluto di riferimento, né il conforto di una legge codificata o comunque accettata.
E proprio perché è una azione disancorata dai modelli, dalle ideologie, dai principi assoluti, richiede una responsabilità più grande, una adesione più attenta e rispettosa alla vita e alle sue espressioni. Non è questo che il Maestro indica nell'episodio dell'adultera?
Non è questo che nella nostra vita abbiamo sperimentato quando l'esserci dentro è stato più importante di ciò che dicevamo o facevamo, perché proprio questa fedeltà e condivisione aprivano nuovi orizzonti, "antichi sogni nuovi" ?
Non è questo che ci viene richiesto oggi, a chi - come noi - non accetta l'idolo imperante; a chi - come noi - pensa che l'impegno per la giustizia e la pace non sia un fatto opzionale ma una condizione di fedeltà; a chi - come noi - è cosciente che nella forra contro la disuguaglianza strutturale in questo villaggio-mondo, occorre investire un eccesso di intelligenza organizzata e di immaginazione?

Siamo briciole nel piatto, avanzi; ma proprio l'essere questo ci pone in una situazione privilegiata. Non perché siamo puri, ma perché non suscitiamo né invidia né desiderio. E proprio perché non possiamo proporci come modelli, possiamo accogliere le diversità tra di noi e trovare amici, compagni di viaggio, in chi - come noi e meglio di noi -, si ostina ad opporsi, a fare resistenza, a dire di no alle strutture di dominio, a credere nell'uomo, a volere la sua liberazione, la sua promozione solidale, la sua dignità responsabile.
Anche nel piccolo orto delle nostre chiese locali, nei piccoli tavoli del quotidiano, nelle realtà popolari di un quartiere o di un borgo, si aprono spazi per versare il vino spremuto dai preti operai. Non perché essi lo hanno addolcito, ma perché anni di presenza hanno reso meno rigido l'incontro.
Nei molti percorsi di questo labirinto le convergenze non sono poche.
Dal nostro vissuto e dalla diversità del nostro vissuto qualcosa può essere detto; basta che la parola non si allontani da chi la dice e non si riduca a un discorso sui contenuti e sui risultati da ottenere. Anche tra noi non dobbiamo portare" né borse, né bisacce, né calzari" . L'evangelizzazione dolce vale anche nei nostri rapporti.

Non abbiamo un cammino già segnato. Abbiamo un orizzonte che insieme ad altri condividiamo. Siamo tasselli di un mosaico che si va componendo". (dalla relazione introduttiva di Renzo Fanfani)

Mi sembra che ci si possa ricollegare ad un concetto espresso in questi giorni da Loris Campetti, recensendo il libro di G. Polo e M. Revelli "Fiat, / I delegati di reparto" (Erre Emme edizioni) possa adattarsi anche al nostro gruppo di preti operai così residuale perché proprio "i residui sono i soggetti che detengono la memoria di una grande lotta e di una grande sconfitta". Residuo come "punto di partenza per una critica dell'ideologia e per una rappresentazione realistica dei fenomeni sociali". Dalla voglia di "permanere" del residuo si può ripartire: "Sono loro, gli sconfitti di ieri, gli unici capaci di strappare il velo di maja e rivelarci, nella loro storia, spezzoni di realtà, frammenti di verità su un processo di trasformazione epocale"

E questa voglia di "permanere" i preti operai sembravano esprimerla rimarcando la fedeltà all'intuizione di una fede "povera" ricondotta all'osso delle sue espressioni e al tempo stesso piena di energia e di vivacità secondo la parabola evangelica di Mc. 4,26-27 (cfr. relazione di G.Zago "Vangelo o Evangelizzazione" p. l).
L'intuizione cioè di poter vivere il Vangelo senza vivere del vangelo.
E la consapevolezza di essere entrati nella realtà del lavoro operaio non per caso o per avventura, ma a seguito di intuizioni che sorprendentemente (rispetto all'educazione, alla formazione, per esempio) sono fiorite come per l'effetto di una chiamata. A seguito di una esigenza del primato della evangelizzazione sulla sacramentalizzazione e il servizio alla comunità.
Andati per evangelizzare abbiamo scoperto più o meno lentamente che ad essere evangelizzati eravamo noi.
Ed è da questo terreno che emerge l'esigenza di capire, distinguere, chiarire: Vangelo o evangelizzazione?

"L'interrogativo posto in termini alternativi ha la forza di porre alle radici una inquietudine, è una maniera per cercare di dire un paradosso che comunque si vive. Vi è consapevolezza che non si da' vangelo allo stato puro, che esso si storicizza, prende forma, diventa comunicazione e linguaggio, e dunque mediazione.
Forse non vi è altrettanta consapevolezza che nessuna mediazione, nemmeno la più pura, la più disinteressata, è l'evento che quella mediazione cerca di raccontare...
Ogni evangelizzazione presuppone il vangelo come suo alimento continuo, come fonte, come sorgente della testimonianza e del racconto. L'evangelizzazione esiste perché c'è un evento evangelico da vivere e da offrire. A tenere viva questa polarizzazione concorrono tanti elementi: l'intuizione, la fantasia, la creatività, le varie risposte con cui una persona o un gruppo di persone stanno davanti all'evento evangelico.
Alla radice di tutto però c'è la storia, cioè la fedeltà al proprio tempo.
E' questa fedeltà ai propri giorni che fa andare in crisi il modello di evangelizzazione ereditato da altre generazioni. Questa fedeltà al proprio tempo costringe a risalire al vangelo e a ricordare l'importanza di ritornare alla fonte, all' esperienza originante... mentre se si aggiorna semplicemente diventando "nuova evangelizzazione" rischia di chiudersi su se stessa, di spegnersi, di ridursi ad uno schema o a una forma ideologizzata".
"L'evento di salvezza è un fatto sorgivo: all' inizio è un fatto partito dalla vita e solo dopo è stato verbalizzato, cioè si è tentato di dargli una veste di comunicazione attraverso il racconto, la parola, la trasmissione scritta.
L'evento non è qualcosa in mano a qualcuno, non è qualcosa che si possa controllare né si affida alla
gestione di nessuno: vive di luce e di forza propria.
A questo primato del Vangelo, a questo bisogno di tornare all' evento sorgivo ci riconducono la vita quotidiana, la vita di condivisione, la vita di lavoratori.
Di politica, di etica, di morale sessuale, di catechesi, di aggiornamento... c'è sazietà.
Le sfide che raccogliamo dalla condivisione e dalla riflessione su ciò che viviamo nella compagnia degli uomini e delle donne con cui ogni giorno ci incontriamo e ci scontriamo sono altre:
Come stare davanti al vangelo che è evento prima che parola, che è fatto prima che racconto, che è relazione con il Vivente prima che testimonianza?
Dentro la complessità delle situazioni e della realtà in cui si vive, come ascoltare Dio senza ridurlo ad oggetto, possesso, merce, ma riconoscendolo nella sua assoluta signoria?
Come lasciarlo nella sua libertà e gratuità di agire senza preconfezionare niente?".

"Si tratta di ridare al soggetto tutta la sua responsabilità di costruirsi: una libertà non vuota ma come educazione progressiva alla obbedienza e all' ascolto di Dio. L'evento porta con sé la presenza di un dono e stimola alla risposta non confezionata ma responsabile, ad una adesione in cui si opera il proprio coinvolgimento.
Creare persone libere è spesso fuori di ogni logica istituzionale: ogni istituzione chiede prestazioni in
cambio di garanzie.
Creare le condizioni perché soggetti pensanti vadano fino infondo nella scoperta del senso della vita, è una sfida, un progetto da raccogliere: è il senso stesso della nostra esistenza".
(dalla relazione di GianPietro Zago)



in Lotta come Amore: LcA giugno 1992, Giugno 1992

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