Sono passati due profeti

Alla fine di questo secolo così sconvolto, travagliato e provato da impensabili mutamenti, due profeti sono passati tra noi e ci hanno lasciato nel giro di pochi mesi: p. Turoldo e p. Balducci. La fine del millennio, la stagione che si sta spegnendo, ci chiama forse alla raccolta dei frutti che sono stati seminati. Allora approfondiamo, ascoltandola più attentamente, questa voce forte e libera che da loro è uscita coraggiosa e ci ha accompagnato per quasi tutto il '900. La seminagione è stata abbondante, ne fa testimonianza il coro che si è levato da un capo all'altro della cristianità e della società in genere alla loro morte.
All'improvvisa scomparsa di p. Balducci il 25 aprile, scrive il Vescovo di Molfetta sul Manifesto del giorno dopo: "Una Chiesa 'edita', arrivata, troppo sicura della sua corazza culturale e troppo innamorata della sua cristallizzazione è stata scossa dalla nostalgia della Chiesa 'inedita', non ancora emersa in superficie, ruggente nelle viscere della storia".
Nelle pagine di questo giornalino, nato dalla seminagione di un altro profeta che da poco ci ha lasciato, don Sirio, più che sottolineare quanto del Regno di Dio essi abbiano realizzato nella città terrena, vorrei raggiungere quel nodo, quella sorgente, da cui si è sprigionata la forza liberatrice del loro messaggio e della loro azione.
Vedo, al principio della loro profezia, della loro profonda umanità e liberatrice spiritualità il mistero di "quel brivido di vento leggero" "segreto dei segreti" "che non è esprimibile né dimostrabile". Esso coglie l'eletto nell'intimo: l'amore di Dio che rapisce l'uomo e l'abbandonarsi dell'uomo a quell'amore incondizionatamente. Questa reciprocità è i mistero dei misteri ed è il punto decisivo perché nasca quanto ancora deve nascere nel cammino verso la risurrezione.
La sperimentazione del Dio-amore è dunque il baricentro della forza e dell'azione profetica. Questo ci ha significato p. Balducci nelle sue due ultime omelie alla Badia Fiesolana la domenica delle Palme, alla lettura del Passio, e il giorno di Pasqua. Già in "La verità e le occasioni" ricorda "l'ora di grazia che gli fu concessa in una delle celle dell'Eremo di Camaldoli, anzi, nel piccolo giardino in cui la cella trova respiro e gaudio". "Come cristiano" - scrive - "ho sempre saputo che sono, sì, 'nella' storia, ma non sono 'della' storia...", Nulla pertanto, è così salutare per un cristiano d'oggi, quanto l'uscire, di tanto in tanto, dal cerchio mobile degli eventi per ritirarsi negli spazi fermi dove la successione si annoda nell'attimo eterno e vi si placa... "Beata pacis visio!... chi non rinnova la propria libertà nella contemplazione di Dio, perde, in un tempo, e la Verità che è fuori della storia e la verità che, di generazione in generazione, la storia partorisce con dolore".
La scomparsa improvvisa di p. Balducci è stata preceduta di pochi mesi da quella a lungo sofferta di p. Turoldo, profeta e poeta che ha anch'egli vissuto le dialettiche del nostro tempo, cercando di scioglierne i nodi con la fede e la poesia. E, se la fede è stata la forza propulsiva per quella svolta culturale e religiosa di grande valore che fanno di lui un profeta, la poesia - cioè quella che lui meglio chiamava il canto -, è stata il carisma che gli ha aperto l'accesso a quel "mistero dei misteri" che non è esprimibile né dimostrabile. I suoi "Canti Ultimi" cominciano con questo grido a Dio, a quel "Tu necessario" con cui lungo tutto il libro colloquierà: "La vita che mi hai ridato / ora te la rendo / col canto".
La malattia rende essenziale e urgente "prendere finalmente la giusta misura davanti alle cose / raggiungere quel silenzio ? in cui Dio irrompe / cui fa eco un vento leggero leggero". Attraverso la lirica Turoldo raggiunge il vertice della più alta contemplazione in quel clima vissuto solo dai santi e dai mistici dove dalla desolazione e dal dolore può scaturire l'inno di lode. Due profeti, p. Turoldo e p. Balducci, due monaci che hanno amato il loro chiostro, l'uno nell'Abbazia di Sotto il Monte (terra di Papa Giovanni), l'altro nella Badia Fiesolana, ma hanno impegnato la loro vita e duramente com battuto perché la "città di Dio" sia costruita nella misura con cui costruiamo la "città dell'uomo". Come tutti i profeti. avvertiti spesso scomodi e ribelli, essi sono stati però quanto mai 'fedeli' all'autenticità della Parola evangelica e ci hanno lasciato un 'eredità unica. quella per cui i profeti sono una necessità vitale per la storia dell'uomo. Sono stati i profeti della speranza. P. Balducci nelle sue Omelie alla messa domenicale delle ore 11, cui non mancava neppure per Ferragosto, pur commentando e meditando di volta in volta l'iniquità di questo nostro tempo di odio. di crudeltà e di stragi, non mancava mai di affidarci alla speranza che il Signore è venuto per salvarci dalla morte. Egli proclamava e ci affidava a quel di più di speranza per cui il bene è possibile e il male non è invincibile.
"La disperazione sarebbe l'ultima parola ragionevole se non ci fosse una speranza che nutre se stessa in questo messaggio che attraversa i secoli": così p. Balducci ci ha consegnato la sua riflessione sulla lettura del Passio ed era quasi l'ultimo suo grido prima di incontrare anch' egli il mistero della morte.
E della speranza si è fatto interprete lungo tutta quella via crucis che è stata la sua malattia, p. Turoldo, esorcizzando ogni pessimismo: "anima mia non pensare / male di Lui... è impossibile far altro / E vedrai! / il Male non vincerà". "Vera tua onnipotenza/è che il Nulla non vinca". "Sono convinto" - concludeva Turoldo raccontano del suo terribile male - "che sperare è sempre più difficile che credere. Credere per credere... tutti credono in qualcuno o in qualche cosa, in qualche modo.
Ma sperare. cari miei... ! Proprio per questo trovo sollievo se riesco a rischiarare un po' di strada a chi non ha olio nella lampada, qualche amico, qualche fratello che in questo momento è tentato di lasciarsi andare, di scoraggiarsi, di disperarsi. Vedete ogni giorno è un'alba nuova, è un giorno mai vissuto sulla terra da nessuno. Aiutiamoci a sperare!". "Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui. E' risuscitato". Sono state le parole iniziali dell'ultima omelia di p. Balducci, le abbiamo avvertite come le parole di speranza consegnate a noi quale testamento spirituale. In un fascicolo intitolato "Ricordo di p. Turoldo" che raccoglie gli interventi tenuti durante la commemorazione per la sua scomparsa alla Badia Fiesolana, p. Balducci stesso racconta quanto avvenne al grande Convegno di "Beati i Costruttori di Pace", tenutosi a Verona lo scorso settembre: "Appena entrò David sul palco dove mi trovavo, fu tutto un applauso, uno sventolio di fazzoletti, di striscioni; era un'apoteosi. lo mi commossi.
Quest' uomo che Gladio ha cercato di eliminare, che ha sofferto, che sembrava un emarginato, è entrato nel cuore delle giovani generazioni, è il segno che la sua seminagione è stata larga e feconda. Io glielo dissi: Guarda, David, questi sono gli Angeli dell'Apocalisse che ti salutano. - Era un sottinteso commiato" Questo "commiato", questo saluto di Angeli non era solo per Turoldo, era anche per Balducci stesso. Per ambedue era "tempo di nozze" e lo sposo stava arrivando: per l'uno annunciato, per l'altro improvviso. Sentiamoli vivi nell'applauso delle nuove generazioni, non Ii cerchiamo tra i morti. Con gli Angeli dell' Apocalisse lodiamo il loro amore per gli ultimi, l'amore per la pace e la giustizia. e ringraziamo per la fede che ci hanno trasmessa. una fede inquieta di popolo in cammino sorretta dalla speranza nell' avvento del Regno di Dio sulla terra,
La speranza dei profeti e dei testimoni del Vangelo che hanno incontrato Dio nel mistero di "un brivido di vento".


Grazia Maggi


in Lotta come Amore: LcA giugno 1992, Giugno 1992

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