Mi ricordo di Sirio...
Anzitutto che ricordo ho io di Sirio. Mi ricordo di Sirio, così adesso, come me lo ricordavo anzitutto quando lui c'era: non è cambiato poi molto. Sirio è sempre stato per me - da quando ho incominciato a leggerlo, a sentirne parlare, a incontrarlo -, uno che sostanzialmente aveva una caratteristica tipica di quelli che nella grande tradizione mistica sono gli uomini spirituali. E' uno che è importante perché c'è; più ancora del perché dice una cosa o l'altra, perché fa una cosa o l'altra.
E' uno che si sa che vive in un posto dove porta avanti una vita, che è fedele. E' uno nel quale le cose, in qualche modo, prendono un sapore, una lettura, che non è più giusta o meno giusta rispetto ad altre, ma semplicemente apre su altri aspetti.
Sirio è stato uno che è rimasto così per anni. Era uno, per me almeno, in qualche modo slegato dal tempo. Era molto vincolato a una terra, era uno che abitava.
L'idea forse è viziata dal mio modo di vivere perché non sono uno che abita molto fisso. Non ho mai abitato. né vissuto con Sirio. Sono uno che migra molto. Ma se una cosa ci riconoscevamo reciprocamente era quella di avere una continuità nel ricercare, al quale ognuno dava un suo stile; per fortuna. Sirio dava a questa continuità del ricercare l'idea che dovesse somigliare al vivere quotidiano della gente e che nel vivere quotidiano della gente fosse possibile riconoscere tutte le grandi cose senza soluzione di continuità.
L'utopia di Sirio in fondo era che la grande storia può essere letta nella piccola storia e dalla piccola storia; soprattutto dalla microstoria, e non viceversa.
La grande storia sembra al contrario determinare la storia dei "locali", dei periferici.
Penso che sia un po' questo quello che ha caratterizzato, almeno per me, questa capacità di Sirio di passare da un'esperienza così storicamente minuscola, così specificamente europea, così particolarmente ecclesiastica, come quella del prete operaio, ad una esperienza che aveva a che fare con i diritti dell'uomo, dei popoli, con la pace. Non come un cambio, ma come una normale evoluzione per cui, quando uno resta radicato in questa fedeltà alla microstoria, diventa l'interprete della grande storia. E Sirio incontrerà via via la grande storia della fabbrica, della fabbrica della pace e della guerra, della fabbrica del diritto e della violazione del diritto, sempre con la stessa caratteristica di essere un uomo spirituale, uno che dice le cose non per dare interpretazioni alternative, ma per non cedere alle interpretazioni ufficiali della realtà. Per prendere ogni volta una distanza e permettere a questa sua esistenza individuale di interagire con la realtà universale. Di non essere uno che subisce la storia, - che sia nella Chiesa o fuori della Chiesa -, ma che in qualche modo cercherà di vedere in questa il suo senso.
Per cui questa mia memoria è rimasta così, anche quando poi negli ultimi tempi lo incontravo in funzione del mio mestiere che è quello di medico ricercatore. Dal punto di vista della sua scoperta della malattia, infatti, incominciava a introdurre nella sua ricerca, nella sua spiritualità, quella componente supplementare di silenzio che, secondo me, è stata - al di là del tanto scrivere -, una delle sue caratteristiche più di fondo e che permetteva, penso (almeno senz'altro l'ha permesso a me), di essere ogni volta accolti non da qualcuno che parlava, ma da qualcuno che c'era.
E' quello in fondo che ognuno di noi si aspetta, perché siamo accolti molto facilmente da tante parole ed è più difficile trovare questo normale 'essere accolti' - e che trasforma anche le strutture fisiche delle case -, da qualcuno che semplicemente c'è. Da qualcuno che non vuol dire delle cose particolari, ma semplicemente lasciare che si comunichino le ragioni della speranza, più ancora che le parole della speranza.
In questo senso forse troviamo il passaggio alle altre due domande andando a identificare come dei criteri eventualmente da tener presenti in questa ricerca, in queste borse di studio, su degli scritti di Sirio; forse anche meglio, su Sirio che scrive.
Penso che queste riflessioni ancor più di quelle di prima possono essere evidentemente non strettamente pertinenti con quello che parecchi di voi, che hanno conosciuto Sirio e conoscono ad ogni modo il contesto in cui ha vissuto, possono magari immaginare. Ma io ho pensato che fosse più utile giocare fino in fondo il ruolo di uno che è per Viareggio uno straniero, e che ha conosciuto Sirio e il suo abitare in un posto, da lontano. Proprio perché forse così questa relazione tra una storia minima locale e la storia del mondo diventi la cosa più naturale e non una cosa che si cerca di costruire e che magari possa essere già ricostruita a partire da queste prime due proposte di ricerca così esasperatamente "locali" da ritenere che sappiano quasi di archeologia.
Perché si parla di un seminario degli anni trenta e poi di un gesto collocato in un tempo in cui queste cose avevano peso e la città ne parlava. E non so quanto oggi ne parlerebbe.
E allora penso che - almeno questa è la mia comprensione -, è come se la domanda su che cosa significhi far memoria cerchi di affrontare un tentativo di risposta o di riflessione proprio nel suo punto più difficile. Proprio con le due ricerche forse più lontane da quello che può significare far memoria per i popoli.
Fare memoria oggi è anzitutto fare ricerca.
Far memoria deve essere la cosa meno sentimentale che ci sia proprio perché significa entrare nelle radici di qualcuno. E quando le radici di qualcuno che si ricorda sono quelle di chi ha lasciato un segno, sono quelle di uno come Sirio (ma potrebbero essere ugualmente quelle di qualcuno che ha lanciato una delle tante resistenze a livello internazionale di un popolo), sicuramente sono di qualcuno capace di tanti sentimenti, ma, che altrettanto sicuramente, non poteva mai concedersi di essere nella vita un sentimentale. Far memoria allora da parte di chi viene dopo diventa esercizio molto rigoroso che elimina i sentimentalismi e tende ad essere lavoro molto serio, approfondito, proprio di ricerca. Cosa significa far ricerca in questo senso? Credo che il segreto del come far ricerca (sul popolo italiano che ha fatto la resistenza, o il popolo nicaraguense o uno dei tanti popoli liberati e in questo senso lo consiglierei a quelli che si accingono a questa ricerca su Sirio) è un po' come avvicinarsi alle storie che fondano la nostra memoria di gente comune. Queste storie che fondano la memoria di noi gente comune sono molto simili, o addirittura coincidono con le fiabe. Una di queste grandi fiabe è per esempio il Vangelo. Non perché sia una cosa inventata, ma perché la cristallizzazione è diventare trasparenza, è diventare specchio di una infinita storia di tanti testimoni che raccontandosi le cose essenziali che avevano visto tra le tante che facevano, via via hanno prodotto fiabe e vangeli. All'origine di ogni liberazione o di ogni resistenza o di ogni vocazione che sia quella di Sirio o di Francesco o di un fondatore di un movimento di liberazione c'è questo rapporto personale con la storia corrente che è quello che c'è tra i protagonisti delle fiabe. Chi volesse leggere un libro molto bello di una persona che ha scritto poco ma pensato molto come Cristina Campo, troverà meglio documentato tutto questo.
Qual' è la caratteristica di chi affronta il rapporto con la storia pensando di trasformarla? Pensa che nulla è impossibile e che tutto ha senso e che proprio in funzione di questa voglia di vedere al di là delle difficoltà della storia succederà di aver già qualcosa che permette di trasformarla o almeno di darle senso. Ecco, mi sembra che il punto critico di una persona come Sirio è quella di ritrovare di un colpo lo stesso linguaggio che è quello delle fiabe e quello del vangelo. Non c'è soluzione di continuità. Nelle fiabe si parla dei grani di frumento che muoiono e per quello danno frutto (ne parla anche il vangelo). Nelle fiabe si parla di grandi malvagi che cercano di imprigionare qualche cosa (e la fiaba dice non temere perché ti libererai, e il vangelo dice non temere di qualcuno che uccide il tuo corpo perciò va avanti), e nei grandi movimenti di liberazione si trovano delle persone o dei poeti che interpretano queste cose. Come Cardenal che dice: nessuno più ricorderà, ma quando i legislatori faranno le leggi saranno tue le parole di questi legislatori e quando gli architetti faranno le strade della città liberata parleranno una lingua che di fatto tu hai costruito. Il far memoria dunque è qualcosa che entra direttamente nel modo con cui noi viviamo, direttamente nella storia. Nel momento in cui però questa memoria diventa una ripetizione che non è una ricerca, la memoria se ne va. Perché le fiabe, come il vangelo, non si lascia catturare da quelli che le ripetono. Non interessano più, non vengono più raccontate per liberare, cioè per far ri-accadere nel mondo le cose che si raccontano.
Fare memoria dunque è qualcosa che assume quello di cui ci si ricorda per farlo ri-accadere.
Quando qualcuno fa un'operazione di memoria in modo diverso il contenuto di questa memoria se ne va, anzi diventa monca.
Pian piano, a furia di ricordarla e di non ri-attualizzarla, diventa qualcosa che non si può più nemmeno ricordare perché sembra che la si possa ricordare soltanto come questa separazione tra malvagi, buoni, delitti. Cioè la fiaba che ha costruito la realtà per esempio l'Italia democratica, il sogno della gente - si spezza ed è come se uno raccontasse la fiaba di Cenerentola piuttosto che quella della Bella Addormentata fermandosi al momento in cui i malvagi trionfano; oppure riscoprendo soltanto dei pezzi; oppure come se uno raccontasse del vangelo soltanto il momento in cui qualcuno vien messo a morte, o quando a Giovanni Battista gli tagliano la testa; oppure quando si raccontasse la storia del Nicaragua soltanto dicendo la sconfitta del sandinismo e non ricordando quando all'annuncio che Fonseca era morto ammazzato, i prigionieri, che non erano ancora liberati, dicono Fonseca è uno di quei morti che non muore mai.
Il problema del far memoria cioè è ritrovare la capacità di domandarsi come ricerca se noi che facciamo memoria siamo in condizione oggi di ri-attualizzare il modo di vivere di Sirio o dei tanti con cui Sirio si riconosceva.
E' per questo che mi sembra importante che questo discorso del far memoria diventi una memoria anzitutto non di una persona. Penso che Sirio, più che come persona (che ognuno poi si ricorda), volesse esser ricordato per la continuità della sua storia. Della storia di quelli con cui lui si era messo, che fossero quelli del porto, della darsena, o quelli dei popoli. Allora in questo senso del far memoria mi sembra importante introdurre in prima battuta l'esigenza che queste ricerche siano delle ricerche che sappiano effettivamente essere rigorosamente scientifiche e perfettamente documentate senza inventare nulla. A patto di non fissare tutto quello che si ricerca in fatti perché i fatti non ci sono. Se noi immaginassimo che la nostra storia fosse i fatti che via via vengono proposti nella cronaca, che vengono ricordati, verrebbero fuori le perversioni, nella interpretazione della storia (che sia quella del' 68 o di prima o della resistenza), perché uno separa i fatti da quello che era il progetto, da quello che c'era dietro. E uno finirebbe per contare i morti o i vivi, giusti o sbagliati, "valeva la pena, non valeva la pena". Valeva la pena che Sirio fosse in un seminario che si può facilmente immaginare (non sarà stato una meraviglia di seminario aperto al futuro, come non lo sono oggi)? E' come se uno facesse una tesi sulle scuole di oggi e poi dicesse che il futuro non c'è più e il perché è molto facile prevederlo. Allora è importante che ci sia questo contributo di Sirio che ha vissuto nel "locale" della concretezza, facendo vedere che la concretezza del "locale", dello specifico, dell'esser fedele riusciva a leggere in termini di ricerca, cioè di trasformazione della storia universale. Ed è altrettanto importante che lo stesso metodo venga adottato in queste ricerche per contribuire a rinnovare il modo di usare la documentazione. Gli archivi possono essere visti come la collezione di tutto ciò che c'è stato o come in effetti il ri-apprendere al vivo la parola di quelli che ci sono stati in maniera tale che continui ad abitare, ad essere capace di liberare la parola presente. Altrimenti diventano quegli archivi perfetti che non sono i nostri, non ci interessano; ci sono quelli che lo fanno molto meglio, che catalogano tutti. Nei termini della mia professione, è la stessa differenza che c'è tra fare un'autopsia, nella quale ognuno cataloga benissimo tutti i pezzi, e le cause per cui qualcosa è successo. Si dimentica qual'era la vita di questa persona che non è catalogabile in tutte quelle cose lì perché in tutte quelle cose lì che magari sono l'arteriosclerosi perché fumava un pochettino o aveva il colesterolo alto, in effetti magari c'era anche il fatto che lui era infinitamente appassionato di vita e non gli importava molto preoccuparsi della salute perché pensava di donare la vita per qualcun altro. La lettura è molto diversa. Le arterie son le stesse, i dati son gli stessi. E' importante allora questa memoria che ritrova l'esserci e d'altra parte ogni volta nei fatti il non esserci ancora. Quello per cui i fatti rimandano in avanti.
Nel terminare penso di ripetere una cosa che riguarda di nuovo Sirio, ma tutto sommato è anche l'esperienza di tutti i popoli che ho avuto il modo di incontrare e che è un po' anche il mio linguaggio.
Sirio mi è sembrato uno di quelli che rispetto a quella che era la sua radice, il sacerdozio, per cui era l'uomo della parola come vangelo, è stato uno di quelli ( sicuramente un altro era il grande suo amico ammiratore padre Davide che lavorava anche lui in un concetto di resistenza e parlava dei giorni del rischio sognando ogni volta che i giorni del rischio potessero tornare. Ed è interessante che Sirio e Davide ritrovino i giorni del rischio non più nel rischio della resistenza fisica al nemico esterno ma nel rischio di questa perdita di memoria rispetto a quello che loro avevano sognato), che sono talmente presi, identificati, con questa parola che non si preoccupano più in un certo senso di ripeterla e di proclamarla proprio perché dev'esser chiaro che non c'è soluzione di continuità tra la parola che si ripete perché qualcuno l'ha detta e quella che si dice: la parola non deve venire dal di fuori. Nella logica che dicevo prima non deve essere qualcosa che uno incontra, perché c'è qualcosa di diverso, ma dev'essere la parola che si scambia nella casa in cui si abita, in cui si è accolti.
Questo segreto è quello che mi pare ha portato Sirio a fare l'operaio nel proletariato della fabbrica e, d'altra parte è quello che lo ha trasformato nell'artigiano in qualche modo della inutilità e della bellezza (questo ritrovare il senso di un artigianato che è l'antitesi di quello che è la produzione della fabbrica come efficienza di un'economia). Il muoversi liberamente nella realtà è l'unico modo per non perdere la memoria. Penso che sia questo un tema centralissimo oggi nella storia che noi viviamo che è minacciata soprattutto dal tentativo, che si esprime in modi tanto diversi ma coerenti tra loro, di perder la memoria. In America Latina questa richiesta di perder la memoria si chiama impunità. Di tutti i popoli dell' America Latina - l'ultimo è il Salvador che ha firmato gli accordi di pace con una grande vittoria politica, ma con una enorme paura e l'enorme rischio di tutta quell'infinita storia di liberazione per immaginare il futuro, che adesso si scontra con la diplomazia, il venire a patti. E' possibile mantenere la continuità nei patti? E' in fondo il rischio della parola che diventa il quotidiano. L'impunità in America Latina è cosa molto evidente perché ci sono delle dittature molto forti, ma l'impunità la vediamo anche qui giornalmente, quotidianamente. E' diventata l'istituzione di fatto da noi l'impunità. Allora la memoria è la resistenza. Oggi fare resistenza è fare memoria in maniera molto attiva non come nostalgia che non serve a niente, ma come creatività. Se i resistenti ricordati prima vivevano la resistenza al fascismo ricordando come erano bravi gli operai del '20, non sarebbe successo mica niente. Era perché c'erano le stesse regole del gioco che si riprendeva tale resistenza in termini molto diversi. Una cosa son le fabbriche, una cosa sono i tedeschi. Ecco, mi sembra che il problema della memoria oggi sia quello di ritrovare i modi di far resistenza. Non è semplice: è un oggetto di ricerca. Sirio è uno che ha continuato a ricercare nella sua vita e mi sembra che sia in questo modo quello che viene concesso a noi, di adottare lo stesso strumento di ricerca. La ricerca è un mestiere che non si fa a tempo parziale. La ricerca della memoria è un tempo pieno, altrimenti uno fa gli anniversari che non servono. La ricerca è una cosa che uno vive e che attraversa il tutto. I popoli dell' America Latina, quelli che cercano di resistere hanno creato un osservatorio permanente sull' impunità per non accettare il ricatto della dimenticanza che pure si traveste di parole importanti come in Cile e adesso anche in Salvador. La proposta è riconciliazione e verità: noi vi documentiamo i fatti, ci riconciliamo tutti a patto che si contino le vittime ma non si responsabilizzino gli assassini. Questo è il grande ricatto che corre per tutta la storia di oggi e il problema è esattamente quello di ritrovare un atteggiamento che la memoria ci ricorda: di non accettare questo ricatto. In tanti modi penso che ognuno nel suo locale o nell'universale deve sentir qui la continuità. Il mondo è, ancor più di quando c'era Sirio, un villaggio e mi pare molto bello se l'anno prossimo trovandoci qua, commentando le ricerche su delle cose così minute come un muro di Viareggio di una fabbrica che non ci sarà più e di un seminario che non c'è più si ricordasse effettivamente il futuro del mondo perché si sarà letto come e quanto da un muro di un seminario è uscito Siria e come e quanto per altri versi il salto di un muro di una fabbrica ha potuto essere il salto da Viareggio ai diritti dei popoli e alla grande pace. Sapendo che il problema vero è oggi perché i tempi cambiano ogni volta. Penso che la memoria di Sirio e il suo esserci, il suo non cambiare modo di esserci dal prima al dopo sia quello che richiede a noi questa sera e a quanti si inoltreranno sul cammino di queste ricerche.
in Lotta come Amore: LcA marzo 1992, Marzo 1992
Luigi Sonnenfeld
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