Durante il mese di agosto un gruppo di giovani scout di Parma sono venuti alla Chiesetta. Hanno avuto il nostro indirizzo da amici e, nella programmazione del loro campo estivo, hanno inserito anche un incontro con la Comunità del Porto di Viareggio. Beppe, fuori per il suo turno di ferie, mi ha passato l'incombenza e io mi sono fatto trovare all'appuntamento. Ero assai nervoso perché so che i responsabili di questi gruppi cercano un ambiente concreto, educativo, un'esperienza di incontro su cui far riflettere i ragazzi loro affidati. Al telefono avevo cercato di spiegare che la nostra è una comunità particolare, piccolissima, ridotta ai minimi termini e, per i più, con una netta predisposizione a considerare agosto come un mese di ferie... Quando poi mi sono trovato davanti ragazzi e ragazze seduti al lungo tavolo della nostra saletta, beh, non sapevo proprio che pesci pigliare! Di fronte ad alcune loro domande ho tirato fuori il nostro lavorare con gli handicappati, ma ero furioso con me stesso perché il discorso veniva fuori un po' "folkloristico", ormai di maniera, del genere "oh, come siamo buoni e bravi".
Poi qualcuno di loro ha preso coraggio ed ha cominciato a fare domande più puntuali fino alla fatidica domanda: "ma voi quanti siete in comunità?". Alla mia risposta inevitabilmente costretta alla sincerità, "..siamo due!", ho visto brillare occhi sorridenti di ironia e di scetticismo.
Allora - sembra che io abbia una particolare abilità in questo tipo di gioco -, invece di spiegare loro la nostra storia e di dar ragione di questo esiguo numero, mi sono imbarcato velocemente sulla affermazione fatta come se fosse la cosa più naturale del mondo che le comunità siano composte da due persone e solo eventualmente da qualcuna in più...
Dicevo loro - tutto un bluff? - che mentre il gruppo, avendo valore pedagogico e di supporto, è connotato dai rapporti, dagli obiettivi, dai valori che si vivono all'interno del gruppo stesso, la comunità si esprime soprattutto nella capacità di riconoscere e di entrare in comunione con l'esterno nei valori, stili, obiettivi che cerca di vivere ogni giorno. Entrare in sintonia con chi è sulla stessa lunghezza d'onda, abiti ai poli come all'equatore. Da qui il problema del numero che non è giudicabile in termini di aggregazione, ma di rapporto, di ricerca, di intensità del segnale che viene inviato.
E mentre parlavo, sentivo crescere in me la considerazione di questa nostra piccolissima comunità, ridotta ai minimi termini eppure ancora capace in se di segnare un'energia di fusione miracolosamente intatta. Un resto storico segnato da un cammino di comunione in così tante direttrici espresse in quanti (e chi li può contare?) si sono riconosciuti, per un tratto più o meno lungo, (ma che importa quando si tratta della vita?) parte di un unico insieme. Nello stesso tempo sentivo per noi quanto limitativa fosse e meschina per giunta ogni tentazione di sopravvivere anche su equilibri saggiamente dettati dalle prove del tempo. E quanto assurdo sia essere meno comunità e più gruppo quando si è in due. Si tratti pure di marito e moglie.
E andavo verificando (prima di tutto per me stesso; loro, i ragazzi di Parma, erano già stravolti...) le direttrici di questa nostra piccola comunità con la realtà concreta di una storia che ancora stiamo vivendo. E condensavo queste direttrici in tre punti:
1) Siamo due preti, pellegrini in un cammino di Fede, e questo ci porta a far comunità con quanti si sentono spinti da ciò che va oltre il particolare e il casuale anche se ciò non ha un nome o un nome diverso per ciascuno. Non perché siamo convinti che, comunque sia, alla fine, solo il nome del nostro Dio rimarrà, ma perché anche noi conosciamo il nome di Dio man mano che riusciamo a leggerlo nel riflesso di Lui in ogni creatura che non si chiuda irrimediabilmente nella propria autosufficiente opacità.
2) Siamo due persone coinvolte in un cammino umano di condivisione con quanti affrontano la vita quotidiana con la mente, il cuore, le proprie mani. E cercano giustizia e verità, con amore. Ci sentiamo marginali nei sogni di umanità, di pace, di rapporto con la realtà delle cose e quindi guardiamo con simpatia ad ogni marginalità culturale, religiosa, sociale. Ma sentiamo l'emarginazione come sopraffazione contro cui lottare in nome di un'uguale dignità.
3) Siamo due uomini, celibi eppure "compromessi" dalla convivenza con donne (ma quanto, da noi, più compromesse loro...), dai rapporti più diversi nel corso degli anni. Ci sentiamo in comunità con quanti vanno oltre l'arroccamento in uno stato di vita per cercare di esprimere la diversità - ogni diversità - come esigenza di identità consapevole e non di supremazia, compromesso o azzeramento.
Mentre parlavo mi sembrava che le cose fossero chiare come se leggessi in trasparenza le parole da dire. Non così ora che scrivo, ma non ho perso la chiarezza di convinzione che un cammino sta dinanzi a noi. E non importa il tempo, la frequenza dell'incontro, l'essere due o folla: ciò che importa è l'intensità di corrispondenza vissuta in ogni rapporto, in ogni momento, in ogni luogo. Perché tutto può essere giocato in un punto purché il punto accetti di giocarsi nel tutto.
Non so se la nostra piccola comunità' respira questa libertà, A volte sento che il vento soffia e gonfia le vele e ci aiuta a rompere gli indugi e le difese. Altre volte vivo l'angoscia che tutto il nostro impegno abbia sostanzialmente solo ritorni personali anche se conditi di generosità e di cuore. Compresa la fatica per resistere nei diversi impegni. Non perché questo non sia cosa legittima, ma perché se la comunità non si scioglie nella comunione, essa perde ogni ragion d'essere... esattamente come il sale se perde il suo sapore.
Luigi
in Lotta come Amore: LcA ottobre 1991, Ottobre 1991
Luigi Sonnenfeld
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