Cari amici d'Italia,
prima di tutto, come lucchese, voglio unirmi ai giubili dei miei concittadini per la nomina di monsignor Bruno Tommasi a nostro Arcivescovo. A parte l'affetto che sento per il nuovo Arcivescovo (la mia gioia è motivata dal fatto che penso sia più facile che si realizzi il desiderio dello Spirito Santo espresso nelle parole del Vaticano II: "I vescovi abbiano i presbiteri come fratelli e amici" (P.O.1264). Se ben ricordo, Antonio Rosmini nel libro scomunicato e poi assolto solennemente, metteva in evidenza la difficoltà di arrivare ad una relazione di amore e di amicizia con un pastore sconosciuto, che viene da altra esperienza. Così la gioia di noi lucchesi è piena. Ora sta a noi, a voi che vivete quotidianamente questa relazione, di non incrinarla con le nostre contraddizioni psicologiche e spirituali.
La ultima esperienza che mi ha riempito di gioia è stata un viaggio nel vicino Paraguay per un incontro con giovani contadini. Durante l'incontro si affacciava continuamente alla memoria il ricordo, davvero lontano, dei nostri ritiri ad Arliano. Per i lucchesi questo nome è familiare. Arliano nei tempi della mia giovinezza era una di quelle vecchie ville abbastanza decorosa di aspetto, priva di un minimo di comfort di cui oggi facciamo difficilmente a meno. Non solo ci morivamo di freddo, vivevamo in una strettezza da veri poveri. In quel tempo l'azione cattolica giovanile reclutava giovani contadini o della classe popolare, con poche eccezioni di studenti liceali o di istituti superiori. La massa giovanile militava nelle organizzazioni fasciste. Si poteva contare su risorse veramente magre e quindi i nostri pasti dovevano essere più che monastici (parlo dei monaci del medioevo). Eppure quei ritiri nella povertà mi hanno accompagnato sempre e mi hanno trasmesso un gusto evangelico che ho risentito in questo incontro con i giovani paraguaiani. Finalmente un ritiro dove si mangia poco e male, dove mancano cose ritenute essenziali, ma dove vi sentite coinvolti in un clima di interesse, di entusiasmo e di gioia; parlo naturalmente di interesse per il messaggio. Per uno sketch preparato dall'inesauribile umorismo dello Spirito Santo, sono capitato poco dopo in una lussuosa casa di "spiritualità'" durante un ritiro super borghese. Sono passato per la cucina; dichiaro che non ci sono andato espressamente. Una vera folla di persone era lì convocata ad escogitare il menù e a preparare il pranzo per i contemplanti. Mi hanno detto che questa regia fa parte del programma di questi incontri spirituali. Evito ogni commento; voglio solo farvi partecipare la immensa dolcezza che mi ha lasciato l'incontro del Paraguay e il vero disgusto dell'altro. Forse perché vi arrivavo da una favela.
Vi racconto queste esperienze per introdurre una notizia per me buona. Verso la metà giugno pensiamo sia pronta una casa per ospiti a dodici metri dalla casa che abito. La casa può ospitare da otto a dieci persone. Non la penso come una casa di spiritualità. Ce ne sono troppe e non ci ho trovato felicità. Vorrei che le persone che frequentano questa casa fossero piuttosto dei cercatori di Dio che dei cercatori di metodi e di regole. Mi veniva in mente - e non prendetemi in giro per la sproporzione - un passaggio della lettera ai Galati:"a me (Paolo) è stato affidato il vangelo dei non Giudei, come a Pietro quello dei Giudei" (Gal. 2,7). Il testo greco è più esplicito: a me il prepuzio e a Pietro la circoncisione. Una ventina d'anni fa proporre a degli italiani di passare un tempo di ricerca della propria identità e della ragione di vivere in Brasile poteva sembrare una presa in giro, oggi no. E lasciate che indulga a un resto di nazionalismo: mi piacerebbe inaugurare la casa con gruppo di italiani, anche perché italiani hanno contribuito alla costruzione. Io non sarò qui dal 5 agosto al 5 novembre. Ma la mia presenza non è così necessaria; lo Spirito Santo resta.
Vi saluto con molto affetto.
Vostro fratello
Arturo
in Lotta come Amore: LcA giugno 1991, Giugno 1991
Luigi Sonnenfeld
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