Una fede che lotta
Le drammatiche vicende della guerra del Golfo che ci hanno accompagnato e coinvolto per due lunghi mesi, ci hanno riportato alla memoria gli scritti "teatrali" di Sirio nei quali è espressa con profonda tensione emotiva e forte passione di fede e di amore la ricerca di pace intesa come liberazione delle coscienze dal dominio della "cultura della guerra" e come costruzione di nuova umanità.
Il primo "teatro" contro la guerra, la sopraffazione, lo sfruttamento e la violenza del sistema produttivo, risale a vent'anni fa: drammaticamente esso riporta dentro di noi l'attualità di un problema che continua a schiacciare ed opprimere i rapporti umani.
Il teatro era intitolato "Una fede che lotta" e così veniva presentato da Sirio nella piccola introduzione:
"Responsabili come ci sentiamo per la nostra Fede e scelta cristiana di tutta la problematica religiosa di sempre ma specialmente del nostro tempo, abbiamo cercato attraverso una realizzazione teatrale a carattere tipicamente popolare di portare nelle chiese la realtà - specialmente quella più dolorosa e drammatica - della vita del nostro tempo ed approfondire la Parola di Dio fino ad illuminare questa realtà esistenziale per giudicarla e quindi affrontarla e lottarvi dentro secondo tutto il Mistero di Cristo".
Riproponiamo agli amici la lettura dell'inizio della seconda parte di quel teatro come segno di un asco1to di una sofferta partecipazione ad una lotta tenace per la costruzione di una cultura popolare che rifiuti la guerra e lo sfruttamento come metodi e sistemi "inevitabili" dell'umana convivenza.
UNA FEDE CHE LOTTA
Un soldato
Potenza e denaro, denaro e potenza
gli eterni nemici del popolo
che il popolo ha sempre pagato col sangue
rinsaldando soltanto le proprie catene:
E' un nemico della povera gente
chi parla incitando alla guerra
prepara la morte
anche se parla di pace, di onori, di gloria!
Un secondo soldato
O decorato al valore, strappati dal petto
le medaglie di gloria,
sono state coniate dal fuoco di guerra
di sangue son fatte, non d'oro e di bronzo!
E tu che sei rimasto invalido e ferito
quando la patria ti paga,
ti paga il tuo sangue o quello che tu hai versato,
e alle vedove paga la morte:
piangi, piangi, piangi
che quei soldi sporchi di sangue
non abbiano a mettere in pace
chi con trenta denari d'argento
ha comprato e continua a comprare
la morte di tanti fratelli
Un terzo soldato
Ci han benedetti per balzare all'assalto
perché Dio ci aiutasse ad uccidere l'altro
e ci dicevano che santa era la guerra,
quest'orrore infangato d'acqua benedetta.
Va bene qui fratelli, su quest'altare,
purché un altare della patria non sia,
qui deposto, sull'altare della croce di Cristo,
anche se fosse un nemico è nostro fratello:
siamo tutti figli di Dio
signor cappellano dai gradi di capitano!
Traditeci tutti, sfruttateci tutti
raccogliete il nostro lavoro e fatene oro
quando in fabbrica o nel campo
ci spremete di lavoro,
ma non ingannarci, sacerdote di Dio,
quando la morte ci porta davanti al tuo Dio!
(Prorompe forte il canto. Qualcuno si avvicina all'altare e si unisce ai soldati nel sistemare meglio il soldato morto con semplici gesti)
O popolo, popolo della guerra scardina via
l'istinto maledetto che in tutti si annida!
O popolo, popolo respingi lontano
chi di guerra e di sangue ha macchiato la mano!
O popolo, popolo distruggi i cannoni
e come il sogno che Dio ha sognato
di spade e di lance fai attrezzi da grano!
(tono recitativo con sottofondo di chitarre)
Povero popolo chiamato alla guerra
cantando canzoni di stelle alpine
col cuore gonfiato di gloria
e svuotato prima di amore
e poi a fucilate anche di sangue.
(una strofa del canto)
Tutto quello che è attrezzo da guerra
è fatto soltanto per scavare la terra:
ma non il campo di grano
a biondeggiare pane per tutti
ma soltanto a scavare la terra
per seminarla di poveri croci
e concimarla di giovani corpi!
(una strofa del canto)
Una voce (in mezzo al pubblico, incita)
O popolo,volta la pagina
che chiuda il libro di una storia d'orrori!
I tuoi figli ne aprano un' altra
che non parli di re, principi e duci,
di generali di corpo d'armata,
di innumerevoli giovani ammazzati di spada,
dilaniati da schegge, grondanti di sangue,
a brancolare per l'ultima volta le braccia
levate a cercare la luce
prima che il buio li seppellisca per sempre.
Un'altra voce (in mezzo al pubblico, grida implorando)
O Signore nostro Dio siamo colmati di orrore
siamo stanchi di un mondo fatto così:
abbiamo schifo di noi, terrore dei nostri fratelli!
Non chiediamo perdono, nè lo vogliamo,
non siamo qui a piangere, ma a gridare,
a gridare una disperazione che non vede speranza!
Eppure siamo qui a giocare la vita
mescolandola a chi tutta l'ha sacrificata da sempre
perché lo spettatore è vergogna schifosa,
perché chi guarda e non fa è traditore,
perché chi aspetta e niente dà è sporco egoista,
perché chi non fa guerra alla guerra è un assassino!
Fratello, che giaci qui morto
dilaniato da un ordigno di guerra,
mi inginocchio davanti a te e chiedo perdono
di lasciarti morire da solo!
Mi tolgo di dosso la divisa che mi hai lasciato,
anche se è sacra e santa perché di sangue hai bagnato,
ma fratello, tu lo sai, non è per disprezzo di te
che io non voglio morire come sei morto te!
Non credo alla gloria come tu non ci hai creduto
povero figlio, strappato di casa,
dalle braccia appassionate della tua fidanzata,
che la morte in guerra è grandezza di patria!
La morte é la morte e serve soltanto
per chi dalla strage ne riporta guadagno.
Non serve alla patria, non serve alle patrie
ammazzare i fratelli, versare del sangue.
Giudica tu, che della morte hai varcato la soglia
che dalla guerra sei stato ammazzato,
che della guerra hai vissuto l'orrore,
l'assurdo, la pazzia e l'infinito dolore
giudica tu!
Se mi parlassi, mi diresti: vigliacco che fai?
Mi diresti forse traditore? Un uomo che non sa essere uomo d'onore?
Tu che hai visto morire a migliaia per strappare al nemico una fossa,
perché qualcuno su un foglio di carta decideva col dito il campo di battaglia.
Tu che hai visto scontrarsi i fratelli, dilaniarsi, annientarsi a belve feroci,
e tornava, chi tornava, lordo di sangue,
disperato di non sapere nemmeno perché!
Non voglio divise di guerra,
non voglio essere uomo di morte:
voglio soltanto spezzare una catena di morte.
Voglio lottare contro una legge di patria
che ti condanna se uccidere non vuoi,
che ti condanna se rifiuti di essere uomo di guerra!
Fratello, fratelli che siete morti in tutte le guerre
non è tradimento di patria, non è mancare d'onore
lottare contro la guerra che affoga la patria di sangue:
è fedeltà alla vostra morte
lottare contro chi vi ha costretti a morire,
perché la morte non continui la morte,
ma sia l'ultima morte
e dopo sia soltanto la vita.
in Lotta come Amore: LcA marzo 1991, Marzo 1991
Luigi Sonnenfeld
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