Andare oltre...

Quando la solitudine prende alla gola e scende fino a ghiacciare il cuore di assurda e prepotente impossibilità alla vita, deve essere veramente una cosa tremenda. E queste righe sono dedicate ad un amico che una sera, a vent'anni, si è avviato a piedi sui binari incontro al treno, senza una parola o una riga di biglietto.
Non voglio parlare di lui, né argomentare sui motivi che possono portare a gesti simili. La sua immagine però mi sta accompagnando in questo tempo in cui mi capita di ascoltare uomini e donne confessare la loro estrema solitudine. A volte si tratta di persone che comunque sia non riescono a trovare nessuno che suoni con loro a quattro mani un progetto di vita, la realtà quotidiana, il confronto con impegni difficili se non ostili. E in questo caso ci si può chiedere quanto vi giochi l' alterna fortuna e quanto la errata o discutibile collocazione di livello di attesa e di aspettativa nei confronti degli altri. Ho sentito diversi preti e religiosi lamentare questa impossibilità di amicizia, sia pure in circostanze assai diverse.
Credo che qui ci si incontri con problematiche diverse e fare di ogni erba un fascio può essere conclusione inevitabile se non si pesano con attenzione le parole. Scrivendo cosi di getto cercherò di esprimere, più che delle idee, delle sensazioni, delle intuizioni, per quanto possano valere.
Da un pezzo a questa parte (qualcuno potrà anche dire: e quando mai prima?) avverto in me segnali di insofferenza nei confronti di tutto ciò che accentua il "fare le cose per gli altri", "essere per gli altrì", ecc. ecc. Avverto la sottile possibilità di una linea di confine in questo "essere per". L'identificazione in una diversità e la tentazione della preghiera farisaica. Ma anche quando (ed è la stragrande maggioranza delle volte) questo fare per gli altri rientra in una coscienza formata all'altruismo e alla solidarietà, avverto una sottile linea di separazione dall'annuncio evangelico.
Amare Dio con tutto il cuore, lo spirito, l'essere intero. E il prossimo tuo come te stesso. Non c'è il "per" nella sintesi etica di Gesù, anche se si può dire che ne è immediata e inevitabile conseguenza. Ma avverto sempre più quanto sia decisivo nella vita delle persone l'innamorarsi di una realtà che non si lascia definire. Che sfugge a qualsiasi possibilità o tentazione di definizione. Ognuno ha un modo ed un percorso diverso nell'innamorarsi. E cosi ho incontrato persone capaci di essere prese in un rapporto con l'universale ad ogni latitudine e in ogni cultura. Persone aperte ad un rapporto non definibile nel concreto di progetti sia pure grandi e ambiziosi. Persone liberate, nella concretezza di rapporti umani anche profondi, da ogni tentazione di assolutizzazione e di possesso. Persone ricche di gratuità e, comunque chiamino o non chiamino la fonte di questa ricchezza, ho sempre pensato che non potesse essere se non il Dio di Gesù Cristo. Sono convinto che Gesù Cristo non è venuto fra noi principalmente per iniziare il cristianesimo e formare una chiesa, ma per compiere la rivelazione del Padre. La chiesa è continuità di Lui in quanto ha capacità di riconoscere e di svelare ciò che è nascosto e già presente nel cuore della umanità. Cosi l'insegnamento dell'esistenza di Dio non può prescindere da una realtà che si fa strada comunque da se nell'intimo della persona e della storia umana. Gli stessi evangelizzatori dovrebbero essere i primi ad essere evangelizzati dalla presenza di Dio che sempre li precede. E solo chi è realmente innamorato con tutto se stesso, sa riconoscere quando lo stesso mistero si compie, dovunque intorno a se.
Ed è dal dono di questa possibilità di dedizione totale che nasce il miracolo di un amore umano libero, serenamente libero da ipoteche, ricatti, supremazie. Amore innocente, comunque vi sia impegnato spirito e il corpo. Amore che non è mai destinato alla delusione e alla solitudine perché ha in se la multiforme polifonia cantata da Paolo nel capitolo 13 della lettera ai Corinti. Spesso è tradotto quest'amore come carità o semplicemente amore, ma non lo si può raccogliere né imparare se non come frutto di questo innamorarsi di quello che ci trascende, nella fede o nella sapienza umana dilatata dal suo Creatore,
Ho ascoltato poi lo sfogo di persone costrette malgrado loro a rapporti umani cosi rarefatti da rasentare la disumanità. Oppure a rapporti cosi difficili da impedire ogni possibilità di confidenza od anche solo momenti di serena ed umana coesistenza.
La cosa mi turba profondamente quando avviene tra credenti, persone religiose che usano oppure sono costrette a soffrire l'uso della religione come motivo di ricatto e di costrizione. Una manipolazione della coscienza che spesso sfocia in vere e proprie espropriazioni di ogni intimità, di ogni dignità. Più spesso di quanto si creda la ragion di chiesa assurge a principio ultimo di valore, ancor più cogente, perché ricatta la coscienza, di ogni ragion di stato. Non mi so dar pace per quanta sofferenza è prodotta nel nome del cristianesimo, del vangelo, delle sue ragioni. E non sto parlando di una chiesa medioevale o solo anche preconciliare. L'obbedienza assurta a valore in se produce aridi deserti dove spesso non cresce più alcuna vita. E l'obbedienza oggi non la si trova forse più nei mandati canonici o negli editti, ma si è modernizzata in apparente cogestione, in assunzioni fittizie di responsabilità, in un invischiamento che sotto il manto della partecipazione fa scattare le trappole dell'autodistruzione. O dell'autoesaltazione che comunque distrugge intorno a se.
Quando incontro persone penate di queste sofferenze, schiacciate da questi ingranaggi, che mi confessano l'aridità della loro preghiera, la fatica terribile di ogni elevazione della mente a Dio, l'assenza di qualsiasi conforto nell'orazione individuale o nella liturgia, io credo che questo non sia segno di un peccato che permane, ma il frutto di una fede che resiste. L'aridità (purché non sia autocompiacimento) è condizione di sete e fame di tutto ciò che può riportare alla vita. E quando si è come schiantati dalle condizioni non umane in cui viviamo, la preghiera non può essere tutta evasione o semplice conforto. Essa avverte, forse prima di ogni altra consapevolezza, il bisogno di lottare per una vita diversa. Non è la preghiera ad essere arida. E' la vita, e la preghiera spinge la sensazione dell'aridità fino a compiere la dolce violenza che porta il cambiamento, la conversione. Che è la preghiera se non sete di Dio, di Gesù Cristo e quindi anche di Umanità? Siamo normalmente abituati alla preghiera come fedeltà nel tempo, come dovere, come conforto e non ci rendiamo sempre conto che l'aver sete e l'aver fame è comune segno positivo nella malattia, ma può essere patologico questo voler colmare la sete con la sete, la preghiera con la preghiera come un'eterna impazzita abitudine. Se la preghiera non chiama la vita e la vita non suscita preghiera c'è qualche corto circuito, c'è intasamento, ostacolo da superare o togliere perché l'acqua rinnovi il mistero segnato nella teologia di Giovanni.
* * *
Non so davvero perché il ricordo di una morte cercata, mi abbia portato lungo il filo di queste riflessioni. Può darsi che ne venga solo il senso di una grande confusione o il semplice e più ovvio saltare di palo in frasca. Eppure mentre mi rendo conto che probabilmente non ho fatto che questo e forse peggio di questo, non riesco a schiodarmi dalla mente prima di tutto il fatto che non posso davvero sopportare l'interrogativo su che cosa avrei potuto fare "per" quel mio giovane amico. Non avrei altra scelta che quella di andare incontro al treno come lui, se solo mi chiedessi seriamente e sinceramente cosa sto facendo "per" gli altri. Perché altri sono o tutti o nessuno, quelli che incontro ogni giorno sulla strada della vita e sono stanchi, feriti, incapaci di reale autonomia... Nello stesso tempo avverto di non avere altra scelta che quella di innamorarmi ancora di ciò che è oltre ogni nostro desiderio e di pregare perché cresca in me la sete della umanità e la sete conduca sempre più alla sorgente.
Può essere tutto uno spiritualismo vuoto ed inutile, ma può essere anche il modo di andare incontro oltre il treno all'amico che ho perduto.


Luigi


in Lotta come Amore: LcA marzo 1991, Marzo 1991

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