La posta di fratel Arturo

Cari amici d'Italia,
il pensiero della guerra non mi lascia, anche se non posso seguirne gli eventi. Ho raccontato spesso la motivazione - almeno quella che posso definire in termini di ragione - che mi ha spinto a entrare nel sacerdozio, fu la scoperta hegeliana del valore della storia. Mi colpì molto una frase di Benedetto Croce: il cristianesimo è storia, fuori del cristianesimo esiste solo archeologia. Non so se le parole sono esatte, ma mi faccio responsabile del senso. E proprio questo oggi mi tormenta. La guerra ha le sue radici in terra cristiana: le armi e la strategia sono made in cristianity. La politica del "divide et impera", che fatalmente sbocca in opposizioni armate, è nata nella Roma precristiana ed è cresciuta vigorosa nell'Europa cristiana. Questo è sufficiente per dichiarare il fallimento del cristianesimo.
Se crediamo nel Cristo, se veramente c'interessa il suo progetto che si confonde con la sua identità, non possiamo rifiutare la critica seria della sua proiezione storica: siamo responsabili della esecuzione del suo progetto, e l'esecuzione è riuscita pessimamente. Non è onesto continuare a costruire le parti di un edificio che sicuramente crolleranno, schiacciando molta gente. Paolo crea un'immagine che ci invita alla critica: "voi siete anche l'edificio di Dio. Dio mi ha dato il compito e il privilegio di mettere il fondamento, come fa un saggio architetto. Altri poi innalza su di esso la costruzione. Ciascuno però badi bene come costruisce. Il fondamento già posto è Gesù Cristo. Nessuno può metterne un altro. Su quel fondamento altri costruiranno servendosi di oro, di argento, di pietre preziose, di legno, di fieno, di paglia... Essa (l'opera di ciascuno) verrà sottoposta alla prova del fuoco" ( I Cor. 3,10). La nostra parte è già raggiunta dal fuoco. Perché noi seguaci del principe della pace, vogliamo la guerra? Questo perché mi martella nel cuore ed è la domanda che rivolgo costantemente all' Amico: perché?
Mi si presenta attualmente una risposta: abbiamo tradito un ordine preciso del Maestro "Cercate PRIMA DI TUTTO il Regno di Dio e la sua giustizia". Un viaggiatore che viene dall'India o dalla Thailandia e ha sentito parlare di Cristo e vuole entrare a far parte di una comunità cristiana, viene iniziato a pratiche di culto, a obbedienze ecclesiastiche, a impegni dottrinali e di organizzazione che occultano assolutamente questa priorità. Mi viene in mente il canto della mia giovinezza "siamo l'esercito dell'altare", promettiamo di difendere l'altare, il culto, la chiesa come ambiente chiuso e separato, non la giustizia, quella che storicamente, intenzionalmente è orientata a togliere le abissali disuguaglianze che sono la causa dei sanguinosi conflitti che lacerano la storia.
Una certa forma di vivere la fede cristiana è responsabile delle più assurde compatibilità. Si possono creare delle facoltà cattoliche che preparino dirigenti d'impresa capaci di spogliare elegantemente i "fratelli" del terzo mondo. Si possono proteggere i fabbricanti di armi togliendo di mezzo quelli che protestano. Perché il Vangelo parla di pace, ma non dice nulla sulla deterrenza o sulla non produzione delle armi; questa è una glossa di preti scalmanati e sovversivi. La cosa più urgente non è la giustizia: è l'obbedienza silenziosa, anche quando l'obbedienza esige accettare delle posizioni chiaramente antievangeliche.
Oggi non vedo altra alternativa: o rifiutare il cristianesimo o meditare seriamente il Vangelo per svelare i tradimenti del mondo cristiano. Pare esistere una terza posizione: quella di essere degli spettatori passivi della strage.
Ma prego lo Spirito del Signore che risparmi me e i miei amici da questo definitivo inabissarsi nel male.
La tristezza dell'ora mi fa sentire più necessaria e più tenace la nostra amicizia.
Vi abbraccio.


Arturo


in Lotta come Amore: LcA marzo 1991, Marzo 1991

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