Mi piacerebbe riuscire a comunicare agli «amici lettori» qualcosa di ciò che ho vissuto nella profondità dell' anima nel periodo assai lungo che mi è stato possibile vivere in quel piccolo pezzo di terra stretto tra il mare Mediterraneo, il lago di Tiberiade, il Mar Rosso, che porta nel suo stesso nome il segno concreto, storico, della divisione e della lotta: Terra Santa per i cristiani, Palestina per gli arabi, Israele per gli ebrei che lì sono ritornati con la forza delle armi.
Non mi voglio soffermare più di tanto sulla questione del «nome»: è solo per raccogliere una realtà molto significativa di una storia faticosa, dura, piena di sofferenza e di angoscia ed anche di tanti sogni.
In questo mio scrivere vorrei invece tentare di esprimere una serie di sentimenti, pensieri, memorie, emozioni profondissime e meravigliose che mi hanno attraversato l'anima e che non mi è facile riuscire a tradurre in parole scritte, anche se sono chiarissime e limpide dentro di me.
È stato un periodo troppo «speciale», vissuto con tanta intensità di partecipazione, di accoglienza, di condivisione a livello di vita quotidiana, di uno «stare li» a vivere camminando su quella Terra misteriosa che ha raccolto in se stessa i segni della Presenza di Dio attraverso i secoli di una storia che si è dipanata all'interno di un cammino umano unico nel suo genere.
Così mi sono ritrovato a camminare per le strade del monte degli olivi, per i vicoli affascinanti della Gerusalemme vecchia, per i sentieri pietrosi delle prime colline dorate del deserto di Giuda, per le stradine strettissime dei piccoli villaggi palestinesi colmi di vita, di ragazzini vivacissimi, di mansueti asinelli, di capre, di montagne di barattoli di ogni genere... Ho camminato a piedi più che ho potuto, rifacendo tante volte le stesse strade e gli stessi percorsi: tutto mi è apparso sempre nuovo, diverso, ricco di sapore e di stupore.
Ho voluto un gran bene a tutta la gente che ho incontrato: è una cosa tutta mia, che non ho potuto comunicare se non in pochissime occasioni, in qualche raro incontro; ma ho «guardato» tutto con tanto amore, con profonda accoglienza, nel tentativo sereno di lasciarmi andare al fiume della vita di ogni giorno, senza programmi né pretese di «vedere» chissà che cosa ...
Sono stato molto felice di poter vivere un piccolo pezzo della mia vita su questo lembo di Terra che mi ha preso in profondità nell' anima e mi ha dato l'impressione di entrare di più «dentro» il mistero stesso dell'esistenza umana universale. Mi è sembrato anche di vedere più chiaramente il misterioso rapporto fra l'umanità e Dio, che qui ha preso carne e sangue nella vita e nella storia di Gesù. Le pagine del vangelo mi sono rifiorite piano piano nel fondo del cuore e tutto mi è sembrato come nuovo, limpido, stupendo. Ci sono stati momenti davvero straordinari. La pace di un mattino dolcissimo sul lago di Tiberiade è difficile da svanire dalla memoria del cuore: e non per chissà quale emozione romantica, ma proprio per lo splendore delle cose, la chiarezza e la pienezza di quella luce del vangelo che mi è sembrata così vera e così concreta. Non era difficile ripensare a Gesù risorto che preparava la colazione di pesce arrostito sulla riva del «suo» lago, nelle prime brume del giorno, mentre i suoi amici rientravano da una notte «a vuoto». Sono rimasto un giorno intero seduto sopra un enorme masso di basalto come «affascinato» da una Presenza che era immediata e semplice.
Sono state tantissime le «cose» vissute in grande intensità di partecipazione e di amore: ecco, questo mi pare essere stato un tempo in cui non ho fatto altro che vivere con grandissimo amore ogni istante ed ogni avvenimento.
Sono sicuro che piano piano tutto il groviglio di sentimenti che si è deposto nel fondo dell'anima si scioglierà e troverò il modo di «raccontare» almeno una parte di ciò che è diventato esperienza viva della mia vita.
Ora, però, mi preme riuscire a comunicare la sensazione più forte, più facile da esprimere, più urgente e necessaria da realizzare, anche se non so davvero immaginare come sia possibile che ciò diventi realtà.
«Chiedete pace per Gerusalemme!»: questa preghiera che appartiene ad un Salmo della Bibbia, l'ho sentita salire da ogni angolo di quella Terra lacerata dalla visione e dalla lotta, dall' odio e da una violenza così mescolata alla vita quotidiana da diventare quasi «indispensabile».
I soldati israeliani armati di tutto punto sono dappertutto: te li trovi accanto, ragazzi e ragazze di leva, uomini della riserva già avanti negli anni, quando compri il giornale, sali sull' autobus, mangi un panino o semplicemente cammini. Mi è capitato parecchie volte in autobus, di viaggiare in compagnia di una robusta canna di un mitra di tutto rispetto. Le porte principali della Gerusalemme vecchia le ho viste sempre presidiate da soldati in assetto di guerra. Lungo le strade più importanti si incontrano spesso i campi militari, i posti di blocco.
Gerusalemme porta nel suo nome il suo destino di «città della pace»: oggi essa è un segno di contraddizione, una città ferita, lacerata, divisa, frantumata, carica di enormi possibilità di distru-zione e di morte. Eppure è bellissima, affascinante, colma di segni di speranza, piena di colori, di profumi, di preghiera, di vita.
Gerusalemme è un fiore calpestato dall' assurdità, dalla follia, dall'impazzimento di chi non ha nè orecchi per sentire nè occhi per vedere nè cuore per amare. Basta camminare per quelle vecchie stradine, sotto gli archi carichi di storia, per sentire le pietre gridare il desiderio della pace. «Se essi taceranno, grideranno le pietre». Le parole di Gesù sono vere, esprimono una realtà che ac-compagnerà sempre il misterioso cammino dell'umanità.
Mi sono mescolato tante volte alla folla che come un fiume la attraversa in lungo e in largo, specialmente dentro le viuzze del mercato; sono passato davanti alla «guardia israeliana» che controlla i punti strategici: a tutti ho regalato il mio saluto di «pace». So benissimo di non aver fatto «niente»: il grido, però, che sale da ogni pietra l'ho raccolto con immenso amore e intensissima partecipazione.
Bisogna ascoltare questo grido, questa richiesta che preme da tutte le parti della vecchia Città ferita e piegata: essa è davvero il segno di tutta l'umanità che ha sete di riposo e di pace. «Sia pace sulle tua mura, sicurezza alle tue porte». E difficile immaginare come tutto questo sogno millenario possa diventare realtà concreta e storica.
Eppure bisogna che ciò avvenga. Bisogna fare qualcosa tutti perché Gerusalemme diventi ciò che non è, perché il suo destino si avveri e dal suo seno esca un fiume che riesca a far fiorire il deserto di una storia umana bruciata ed inaridita dalle ragioni del potere e della forza.
\ Don Beppe
Artigiani di pace
65. La storia dell'umanità, in tutti i tempi e in tutte le civiltà, è piena di guerre e di ricorsi alla violenza. Oggi, malgrado la pace apparente che ha incominciato a farsi tra i grandi di questo mondo, le guerre non sono cessate in numerosi luoghi del terzo mondo. Tutte queste guerre hanno una relazione con questi grandi della terra e con i commercianti di armi. Le grandi potenze hanno il loro ruolo in queste guerre e nella loro conclusione. Non possono sottrarsi alle loro responsabilità.
Le guerre sono un male da cui l'umanità deve potersi liberare. La pace è un rischio che devono accettare tanto le due parti in conflitto quanto i commercianti di armi e le grandi potenze di questo mondo.
In tutte le epoche e in tutte le civiltà, ci sono pure uomini di pace. D'altronde ogni conflitto e ogni guerra ha dovuto finire, presto o tardi, con un trattato di pace. Bisogna dunque sperare che anche qui un giorno si costruisca la pace.
Bisogna sperare, bisogna aiutare la speranza a nascere, con un appello fermo alla giustizia, e con una condanna ferma di ogni ingiustizia, da qualunque lato venga.
Gerusalemme, segno di speranza
66. Gerusalemme, attualmente segno di contraddizione e di conflitto, resta, grazie a tutti i messaggi divini trasmessi, tramite essa all'umanità credente, un segno di speranza. Tutti i credenti di tutti i popoli dovranno incontrarsi per ascoltare qui la voce di Dio. Se arriveranno a intenderla, potranno restituire a Gerusalemme, con il suo carattere sacro, il suo potere di pacificazione e di umanizzazione.
Nessuno ha il diritto di appropriarsi esclusivamente Gerusalemme, un 'appropriazione che faccia nascere l'odio e la disputa. Ogni credente ha il diritto di fare di Gerusalemme la patria della sua anima, della sua giustizia e dell'amore nel quale chiama tutti gli uomini alla pace di Dio. «Domandate pace per Gerusalemme ...
Per i miei fratelli e i miei amici io dirò:
«Su di te sia pace!»
Per la casa del Signore nostro Dio, Chiederò per te il bene» (Sal 122, 6.8-9).
Preghiera
67. All'inizio della storia umana, la torre di Babele era simbolo della confusione delle idee e delle lingue. Il giorno di Pentecoste, lo Spirito ha donato ai credenti presenti a Gerusalemme di comprendersi malgrado la differenza delle loro lingue. Domandiamo al Signore di inviare sopra di noi il suo Spirito e di rinnovare, in mezzo a noi, la sua Pentecoste, perché ogni uomo e ogni donna cominci a comprendere suo fratello e sua sorella, nell'amore e nella giustizia, e che tutti diventino capaci di amore, invece dell'odio, di pace, invece dell'oppressione e dell'ingiustizia.
Signore, in questo giorno e in questa terra, tu hai inviato il tuo Spirito, per rinnovare la faccia della terra, per riconciliare l'uomo con te e con il suo fratello. In questo giorno, in questa terra, noi abbiamo bisogno di riconciliazione. Invia il tuo Spirito oggi per rinnovarci e per riconciliarci.
Micheal Sabbah, Patriarca
Gerusalemme, Pentecoste 3 giugno 1990
don Beppe
in Lotta come Amore: LcA ottobre 1990, Ottobre 1990
Luigi Sonnenfeld
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tel: 058446455