La posta di fratel Arturo

NOTIZIE DAL BRASILE - AGLI AMICI DI ARTURO PAOLI E DELLA FRATERNITÀ DI FOZ IGUACU BRASILE

Care amiche, cari amici,
terminato il Convegno di Rimini che ha visto una numerosissima partecipazione di persone (eravamo 800) e di testimonianze, da Paulo Freire (che ha sostituito il card. Silva Henrique, improvvisamente ammalatosi, alla giovane palestinese leader dell'INFADA, giunta grazie alle forti pressioni esercitate dal Ministero degli Esteri, affinché le fosse dato il visto di uscita, a Zé Paulo Pietrafesa, brasiliano, a padre Balducci, a Mariella Tornago, volontaria italiana in El Salvador, arrestata e torturata nel novembre scorso, al padre gesuita salvadoregno DAVID LOPEZ, all'indimenticabile PAUL GAUTHIER e molti altri; ho trovato nella posta una lettera di Arturo, ancora una riflessione fatta di carne, fatta di uomini e donne con i quali vive le paure e le speranze. Nella breve lettera di accompagnamento, una buona notizia, ci chiede di poter essere il «suo centro redazionale», per noi è una gioia.
Fraternamente, Antonio e Mariella

Carissimi,
oggi l'ultima a venire alla fraternità è dona Faustina: sessant'anni, due figlie gravemente ammalate, quattro nipotini da tirar su; con che? Dalla sua bocca scendevano sommessamente, soavemente parole crudeli: il bambino si è abituato a non protestare; che si sia da mangiare o non ci sia, per lui è lo stesso; non piange, non grida non abbiamo nulla in casa, e così è. In questo barrio - come dice un amico italiano arrivato da poco - bisogna abituarci a vivere e convivere con il dolore. La frase mi ha colpito ed è calata nella mia preghiera; pensavo che ogni uomo deve abituarsi a convivere col dolore; ma qui il dolore viene in visita ogni giorno, non ha stagioni di letargo, come il dolore che ciascuno porta con sè. Si può convivere col dolore, ho detto al mio amico, quando il dolore è legato alla speranza e non annega mai nell'amarissimo mare della disperazione.
L'apprendistato che il nuovo arrivato fa del dolore ci ha offerto l'occasione di dialogare sul tema: non credo di aver fatto più luce sul mistero del dolore; ma abbiamo visto il perché di quegli squarci di gioia e di quello sfondo permanente di felicità che accompagna la nostra vita di immigrati su una terra apparentemente disertata dalla felicità. Ci sono tanti motivi di sofferenza, episodi che senza retorica si possono definire drammatici, eppure c'è nell'aria una felicità diffusa, come delle variazioni continue che non si sentono nella lussuosa immobilità dei quartieri ricchi. Credo che il vero rimedio contro il dolore sia quello di sprivatizzarlo. La sofferenza senza orizzonti di dona Faustina e di altri che oggi sono venuti alla fraternità, si stende come una nube leggera nel cielo, è il grande dolore della storia; è quel gemito che Paolo sentiva in tutta la creazione come aspirazione ad una fraternità costantemente ostacolata da un gettito permanente di progetti umani ispirati dall'intento di proteggere ostinatamente una privacità egoistica. Di questo dolore ci ha trasmesso una figurazione pittoresca il Vangelo di Giovanni: «La donna, quando partorisce, ha tristezza perché è venuta la sua ora. Ma quando ha partorito il bambino non si ricorda più della sofferenza per la gioia che è nato un uomo al mondo» (Gv. 16,21). La vita con i poveri in America Latina ci offre questo tipo di sapienza per convivere col dolore e perché il dolore non intristisca la nostra vita, ma le dia rigoglio, forza, fecondità: scoprirlo come gemito, aspirazione, energia motrice della storia. E da questa esperienza interiore si scopre una sola immagine del Dio unico, il Dio dell'alleanza. Il dolore di dona Faustina ci apre a uno spazio politico, perché non esisterebbe questa periferia dissanguata anemica se non esistesse un centro che beve avidamente sangue e alimenta la propria vita della distribuzione dei miei vicini di casa che oso chiamare fratelli. In questa tappa della mia vita, la pre-ghiera che gestivo con una certa sicurezza e forze con un pizzico di orgoglio, mi ha abbandonato e ha ceduto il posto alla relazione: mi dirigo meno a Gesù; ma partecipo più intimamente al suo progetto. Il tipo di preghiera cui ero abituato rassomigliava ad una telefonata che si apriva e si chiudeva; la relazione è una comunicazione perrnanente è una partecipazione ad un progetto che faticosamente si sta realizzando nella storia.
Da questo mio stato esistenziale vedo con ottimismo e speranza il momento storico che mi è stato concesso di vivere.
Il centro di potere economico e politico celebra trionfalmente l'annessione di nuove provincie mentre la periferia si fa sempre più anemica. Il sistema economico-politico e l'ecclesiastico funzionano con una simmetria eccezionale. La partecipazione popolare, esigenza affiorata nella evo-luzione delle ideologie dell'epoca moderna, è illusa con la distribuzione di cariche senza potere, perché il centro possa decidere senza disturbi e pensare il suo progetto senza interventi estranei. Il potere si è condensato in un centro imperialistico senza curare la periferia languente. Eppure il sistema della lontananza è una decisione dove vedo splendere la sapienza dello Spirito Santo. Né il sistema economico-politico né il sistema ecclesiastico possono intuire il mondo nuovo e le nuove identità che nascono in periferia. Mi sento nell'epoca della venuta di Cristo: quando il centro, Gerusalemme pullulava di dottori della legge e di servitori di un potere unico che aveva il suo centro in Roma. Alla periferia, sulle rive del Giordano un profeta scarno convocava la gente a prepararsi a un grande avvenimento visibile per loro sconosciuto al centro: quelli del centro non avrebbero mai potuto capirlo perché l'interesse della legge e la preoccupazione di difendere il potere, li aveva distratti dalla persona e resi incapaci di leggere i segni dei tempi. Le decisioni che vengono dal centro sono assolutamente vuote di popolo, non sanno nulla delle sue necessità, della sua cultura, delle sue aspirazioni e in fondo della sua relazione concreta col Dio dell'Alleanza. Questa estraneità mi ha fatto disperare molto tempo; ora mi da gioia perché vedo che questa distanza è necessaria perché rispunti una cultura e una identità che parevano distrutte dalle invasioni del quindicesimo secolo; ma non è vero, hanno resistito al tempo, sono rimaste intatte sotto la cenere degli incendi. Bisogna attendere che donna Faustina asciughi le lacrime per vedere balzare davanti a noi la splendida vergine, la speranza. Forse non vedrò cambi rivoluzionari ne le relazioni dentro la Chiesa e dentro la società politica; ma so che nella storia è rinchiusa una energia indistruttibile che aumenta progressivamente: "Quando queste cose cominceranno ad accadere, drizzatevi e alzate la testa perché la vostra liberazione è vicina (Le 21,28)".
Vostro

Arturo


in Lotta come Amore: LcA luglio 1990, Luglio 1990

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