Un campo di pace

Abbiamo già scritto diverse volte riguardo al «campo della pace» che dovrebbe essere realizzato nel piccolo pezzo di terra che circonda la chiesetta del porto: un semplicissimo fazzoletto ai margini del canale che congiunge le acque del padule di Massaciuccoli con l'ampia distesa del mare.
Ormai questo ritaglio di terra, dato in concessione dalla Capitaneria al Comune di Viareggio, si avvia a diventare «il campo della pace». È il nome di battesimo che ha ricevuto da tempo: con Sirio ed alcuni carissimi amici abbiamo studiato a fondo la questione, i progetti, i significati, i simboli.
Proprio in questi giorni dovrebbero essere dati i primi colpi di piccone per raccogliere il piccolo spazio entro muretti molto semplici che ne delimitino bene il confine e soprattutto indichino a chiunque vi passi accanto che quella fetta di terra ha avuto una specie di «destino», una forma di «consacrazione» che la sottragga a qualunque altro uso che non sia quello di suggerire ragioni, motivi, speranze, pensieri di pace.
Questo è il sogno, la piccola-grande utopia che osiamo sperare possa fiorire in questo angolo ombroso della darsena di Viareggio.
Di là dal canale, proprio di fronte al piccolo campo della pace c'è una grande piazza alberata che il popolo viareggino ha chiamato «la piazza delle paure»: un potente monumento in bronzo del Viani fa memoria dei caduti della Grande Guerra. La speranza è che il campo della pace possa essere riconosciuto dalla gente come uno spazio in cui la memoria trovi stimoli e suggerimenti di fiducia e di allegria, di gioia di vivere.
***
Giovedì 23 Novembre, ore 1l: nel «campo» c'era una piccola folla festosa, fatta in gran parte di ragazzi delle scuole elementari e medie. C'era anche una squadretta di piccolissimi dell'asilo. C'erano alcuni amici più «importanti», fra cui anche il sindaco.
Tutto si è svolto in modo semplicissimo: non era né una cerimonia né una inaugurazione ufficiale. Era semplicemente l'espressione di un desiderio sincero ed autentico, perché questo pezzetto di terra possa diventare ciò che il suo destino lo chiama ad essere: punto d'incontro, motivo di apertura, accoglienza, partecipazione, fraternità, promessa di serenità, superamento dei conflitti, capacità di comprensione della diversità... «Campo della pace», appunto. Quando la ditta che ha appaltato i lavori avrà terminato la sua opera, comincerà l'impegno vero e proprio perché il campo possa germogliare e dare frutto, raccolga entro i suoi nuovi confini i segni visibili e chiari di una rappresentazione della pace che non sia l'assenza della guerra e dello scontro, ma qualcosa di assolutamente positivo e limpido che è difficile da immaginare. Bisognerà fare uno sforzo di fantasia, di poesia, di intelligenza aperta al sogno e alla verità. Bisognerà darsi da fare - in pace - perché il campo diventi un «laboratorio», un vero campo dove chiunque ama e sogna la pace possa venire a seminare il suo seme, a piantare la sua speranza, a raccontare al vento, al sole, alla pioggia e soprattutto alla gente i propri progetti per una vita umana segnata ed illuminata dall'amore e dalla fraternità più schietta e sincera. Terra come pagina bianca di un diario sul quale descrivere con i colori, con i simboli, con le parole, con le immagini e ragioni di fiducia, di coraggio, di incontro, di apertura e di comunicazione, di pacificazione con se stessi e con il mondo intero.
Ho pensato, appunto, al grande «campo» che è il mondo intero: proprio in questi tempi così ribollenti di movimenti popolari nei paesi dell'est europeo, di muri che aprono brecce e passaggi, di incontri fra i «grandi» che promettono un avvenire meno carico di sospetti e di paure, ma anche di uomini e donne che muoiono schiacciati dalle bombe in Salvador, in Palestina, nel Libano, in tante parti di questa nostra terra senza pace e senza giustizia.
Ho pensato al «campo» delle grandi città dove la gente spesso è schiacciata dalla droga, dalla troppa ricchezza, dal vuoto del cuore, dalla violenza. Ho pensato a tutto questo... e mi sono accorto che non ho pensato alla pace; ma alla sua assenza, al suo non essere pane quotidiano, sole che illumina e riscalda, dolcezza della sera, gioia di incontro, scoperta dell'amicizia, poesia e sogno del vivere, dello stare insieme come umanità, come uomini e donne che conoscono il senso del proprio andare, la ragione del proprio esistere e che si riconoscono uguali e degni tutti di rispetto, di fiducia, di amore.
Allora sono felice che questo piccolo ritaglio di terra che Sirio ha amato profondamente possa diventare oggetto di amore sempre più allargato e diffuso: è bello pensare che quello che in darsena, una volta, veniva chiamato «il cantaccìo» (luogo di abbandono, di sterpaglia, di desola-zione) diventi spazio disponibile a tentare di mettere in movimento qualcosa che sia solo realtà, desiderio di pace.
So benissimo che non sarà cosa facile, perchè siamo tutti figli di una cultura profondamente segnata da una storia secolare di lotte violente, di scontri mortali, di guerre fratricide contrabbandate per necessità storiche e amore di patria.
Sarebbe certamente cosa molto più facile se il piccolo campo fosse un bel giardinetto rasato e pulito per farci delle buone merende o starsene a godere il fresco d'estate e lasciarsi accarezzare dalla brezza del maestrale ...
La nostra scommessa è che questo campetto di pochi metri quadrati riesca a racchiudere dei «segni», dei simboli che aiutino a pensare al grande sogno che vive certamente nel piccolo campo che è il cuore di ogni creatura e che all'ombra dolce degli alberi la gente si incontri con la Pace.


don Beppe


in Lotta come Amore: LcA dicembre 1989, Dicembre 1989

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