Mi ha fatto molto piacere vedere in un programma televisivo una piccola inchiesta sulla vicenda davvero particolare di Franz Jagerstàtter, un contadino austriaco ghigliottinato dal regime nazista nel 1944 per la sua totale ed irremovibile opposizione alla guerra. Dopo 45 anni dalla sua coraggiosa testimonianza di «martire della pace» impressiona sempre più la limpidezza della sua scelta, il valore schiettamente evangelico del suo «NO» alla guerra, il suo rifiuto - pagato a prezzo della vita - di collaborare in qualunque modo con la macchina di morte messa in moto dalla follia nazista.
C'è un particolare nella storia di Franz Jagerstatter che può fare da collegamento tra la realtà di ieri e quella nostra di oggi, messa in evidenza dalla cronaca di questi nostri tempi. Franz rifiutò perfino di entrare a far parte dell'esercito come aiutante di campo dei cappellani militari, con la chiara coscienza di non poter in alcun modo essere partecipe - neppure all'ombra della croce di Cristo - dello sterminio di milioni di uomini.
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Mi è venuto spontaneo - non per antica e cocciuta voglia di polemica ma per semplice e normale costatazione di una lotta che non può essere tralasciata - mettere in relazione questa «memoria televisiva» di Jagerstàtter con il raduno nazionale dei cappellani militari italiani che si è svolto a Firenze nei primi giorni di Novembre.
Essi hanno voluto ritrovarsi nella Chiesa parrocchiale di S. Stefano in Pane per ricordare don Giulio Facibeni e Giorgio La Pira. La scelta era indubbiamente molto contraddittoria. Così mi è sembrato giusto raccogliere la cronaca di una doverosa e più che necessaria «contestazione» a questa loro scelta ed allo stesso «stile di presenza» all'interno della struttura militare. L'atteggiamento di rifiuto di questa presenza cristiana nelle file dell'esercito mi pare perfettamente coerente con lo stesso spirito evangelico che animò la durissima scelta di Jagerstàtter. Il cristiano di tutti i tempi non può che continuare a dire di «NO» ad ogni apparato di guerra, ad ogni cultura di violenza e di morte, a qualsiasi struttura militare che organizza e mantiene in piedi una macchina che non può produrre altro che distruzione.
«Cappellani militari, ricordatevi di don Lorenzo Milani», ammoniva un cartello e mentre i dimostranti distribuivano la loro lettera di protesta ai sacerdoti che entravano in chiesa per la messa, un cappellano militare ha invitato i colleghi a rifiutare il volantino della protesta.
«Quello che dà noia a noi, gente di Rifredi - ha spiegato Piero Baldassini, responsabile dell'Agesci - è che sia stata presa a pretesto del raduno fiorentino la figura di don Facibeni. È vero che durante la grande guerra fu interventista ma poi, grazie alla sua esperienza di cappellano militare, cambiò radicalmente posizione e divenne non violento e contrario ad ogni esercito e ad ogni guerra».
Così prosegue la lettera dei cristiani pacifisti: «Voi venite a fare convegno in questa città in cammino sinodale, dove col nostro vescovo cerchiamo di capire e maturare, fra le altre cose, anche una scelta evangelica di nonviolenza. Come fate a convivere con una struttura che ponendo al vertice dei propri valori l'obbedienza acritica ai superiori e alle leggi diventa di fatto altamente diseducativa? Come mai invece di vestire la semplice tonaca senza simboli militari di potere e di comando, accettate di portare il grado di ufficiali e, come tali, ricevete uno stipendio? Come mai, in coscienza, vi prestate a giuramenti che mettono al primo posto la patria, sia pure insieme a Dio?»
(da «Il Tirreno» del 9/11/89).
don Beppe
in Lotta come Amore: LcA dicembre 1989, Dicembre 1989
Luigi Sonnenfeld
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