Cari amici, non potevo mancare anche quest'anno ad un appuntamento con voi. Nonostante la distanza fisica che ci separa, c'è tutta una stima e una fiducia che ci rende vicini. Inoltre la nostra comune lettura biblica è un sentiero sul quale camminiamo insieme con semplicità e umiltà, ma anche con la speranza di illuminare il senso della nostra vita personale e collettiva con la luce interiore dello Spirito di Dio.
Il libro di Esdra, la prima lettera di Pietro e, soprattutto, la lettura continua del Vangelo costituiscono il filo sottile eppure prezioso che ci porta alla contemplazione della fonte della gioia e della speranza.
È questo il «tema» al quale ci siamo voluti accostare quest'anno con la chiara consapevolezza che il nostro sforzo (il riunirci, il cercare delle spiegazioni per interpretare il testo, il leggere a volte cose che non si capiscono subito o che sembrano lontanissime dai nostri problemi e bisogni... ) è essenzialmente povera e balbettante preghiera di essere sovrabbondati dalla luminosa presenza di Dio e immessi per grazia sulla soglia della conoscenza del Suo Mistero.
Non facciamo questo con lo scopo assoluto di una nostra personale soddisfazione e santificazione. Certo, ciascuno di noi ha i propri motivi personali indispensabili sempre e comunque.
Ma lo scopo principale è quello di essere una piccola fiammella di fede della presenza nel mondo della Parola Creatrice.
Di fede, e cioè di consapevole visione dei segni di questa Presenza ed insieme di gioia contemplante il Suo Mistero di Amore.
Non leggiamo cioè la Bibbia con lo scopo principale di esserne istruiti conoscitori, ma per essere aiutati dalla Parola Scritta a «leggere» quello che la Parola di Vita ogni giorno realizza con sorprendente novità e ricchezza.
Nel libro di Neemia, che si interseca con quello di Esdra, si può leggere questa frase: «La gioia che il Signore / È questa, la nostra forza».
E il Signore certo È nella celebrazione liturgica, nella preghiera comune, nel cuore e nell'anima di ogni fedele, ma È anche, ed in pienezza, nell'universo sconfinato, nella ribollente umanità sulla terra, nella complessa vicenda della vita collettiva, dei rapporti sociali, del quotidiano comunque e dovunque.
Il popolo cristiano non è chiamato a costituire una chiesa più potente e più vera di tutte le altre; ma ad essere piccolo seme di un albero cresciuto da Dio, secondo la libera espressione del Suo Spirito.
E se anche dalle pietre Egli può avere figli, perché non ammirare con gioia la Sua Presenza nella umanità; quando Egli rende un uomo più uomo, una donna più donna nella concreta realtà della vita qualunque sia l'espressione religiosa o ideale?
Allora la comunità cristiana non è tanto un gruppo che cerca una importanza in forza delle adesioni e delle azioni che compie, quanto il gruppo dei credenti (e cioè di coloro che sono «coscienti») che avverte con gioia l'azione dello Spirito nel mondo e solidarizza in termini umani con tutti coloro che verso l'umanità sono sospinti da ideali e motivazioni sia pure diverse.
La comunità cristiana, come i salvati dell'Apocalisse, non gioisce tanto per la propria salvezza, quanto perché è testimone della salvezza.
Leggere allora il libro di Esdra, l'epopea di un capo e del suo popolo, applicando immediatamente quella storia alla nostra storia di una Chiesa che cerca di recuperare un volto preciso in questi anni dove un costume religioso si è sgretolato per il cambiare dei tempi, può essere operazione molto ambigua e pericolosa. Perché l'ottica dell'Antico Testamento è tutta centrata sulla elezione e sulla conservazione delle caratteristiche del popolo eletto, delle mura della città santa e del suo tempio.
Leggere quelle cose con rimpianto e desiderio di rinnovare una comunità cristiana costituita in antagonismo con coloro che ne sono fuori, organizzata per rispondere ai bisogni religiosi dei singoli presi in se stessi, ispiratrice di una norma oggettiva che esternamente e ufficialmente va osservata, lasciando poi che nel privato ognuno si arrangi come meglio può, tutto questo può essere solo segno di invecchiamento incapace di generare gioventù di cuore.
Ma leggerle attraverso Cristo non riporta certo indietro. Anzi, proietta in avanti verso sogni da accarezzare e coltivare nel cuore.
Il tempio è Gesù, il suo corpo é l'intera umanità; la città è l'universo che si scopre ogni giorno nel dinamismo dilatato di sempre nuove dimensioni; la legge, quella scritta nei cuori, la coscienza; il popolo, tutti quelli che in buona volontà prendono sul serio la vita.
Siamo allora proiettati davanti a noi, oltre noi stessi. E la comunità cristiana non è più la riedizione dell'antica chiesa, ma il segno povero, semplice, fedele e credente dell'antico sogno nuovo di Dio in Gesù Cristo.
È qui che la storia di Esdra e del suo popolo acquista la dimensione vera e anticipa ciò che viene liberato e completato dall'Amore di Dio.
Possiamo allora abbandonarci alla sua lettura con occhi nuovi e sentire che l'esempio e l'invito non ci vengono da Esdra, ma da Colui che Esdra sta seguendo. L'Antico non richiama la nostra attenzione altro che per proiettarla verso il Nuovo. Umile grandiosità del servizio e dell'amore di Giovanni Battista.
È qui anche che la nostra povera preghiera domenicale (così bistrattata da chi la vorrebbe servizio inappuntabile e irreprensibile) acquista una precisa dignità in quanto preghiera animata dalla speranza radicale della salvezza di tutti. Che bello incontrarci e riconoscerci, scambiarci un saluto e sentire che il peso della vita diviene leggero perché il pane e il vino che offriamo è frutto della terra e del lavoro di ogni uomo, ogni donna, e per tutti si rinnova il mistero dell'Amore che non riguarda i nostri meriti, ma solo la sua assoluta libertà.
Pregare insieme con la dolce e amichevole complicità di chi guarda la vita con gli occhi limpidi e puri e gioisce della sovrabbondanza di Dio che ha fatto buone tutte le cose.
Lasciare insieme la chiesa con rinnovata speranza perché l'incontro di Dio con l'umanità apre la storia di infinita luce.
Luigi
in Lotta come Amore: LcA dicembre 1989, Dicembre 1989
Luigi Sonnenfeld
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