Uomo di lavoro, di fede, di preghiera

Io mi trovo un pò imbarazzata a parlare a voi di don Sirio perchè certamente siete stati molto più a contatto con lui di me. Noi eravamo piuttosto lontani secondo la geografia. Quante volte veniva a trovarmi, arrivava all'improvviso, senza avvertirmi. E io lo rimproveravo: «ma perché non me lo hai detto! Ah no, mi dispiaceva dirlo prima perché altrimenti tu mi preparavi chissà cosa e... mi piaceva venire così». Stavamo insieme, entrava nella mia cappella (io vivo una esperienza monastica quindi ho una cappella dove prego, tengo 1'eucarestia, e quindi c'è bisogno per questo di un servizio religioso). Nella mia cappella mancava un bel candelabro di ferro battuto, battuto appunto da don Sirio. È il candelabro che regge il cero pasquale, il cero della risurrezione che accenderò durante la veglia pasquale, durante questa veglia in cui si invocano, ad un certo momento della liturgia, tutti i santi. Si invocano un certo numero di rappresentanti di tutti i santi, si invocano solo i santi canonizzati. E io che ho poca simpatia per la canonizzazione che metto sotto critica, amo più i santi non canonizzati. E mi piace invocare i santi che non hanno la marca da bollo dei dicasteri vaticani, ma che non sono meno santi per questo. Durante queste cerimonie che faccio da sola, perché purtroppo non si fa la veglia pasquale nell'ora giusta facendola di notte. Si dovrebbe fare all'alba: se si legge il vangelo della risurrezione è «orto iam sole», cioè appena spuntato il sole. E invece si esce di chiesa e se va bene è appena spuntata la luna. Non mi piace questa collocazione liturgica scorretta. Essa è dovuta a comprensibili motivi pastorali, però... e allora la faccio da sola all'ora giusta, di notte, appena prima dell' alba. Allora io faccio una piccola processione con dietro tre gatti, ma credo che anche quelli abbiano significato nel dare lode a Dio. E invoco i santi canonizzati e gli altri. E tra gli altri infilo il Sirio, infilo il Giovanni Vannucci e qualche altro, meno noto ma che conosco e sulla cui santità non ho dubbi. Quando Sirio mi fece questo candelabro non pensava evidentemente a tutti questi sviluppi e neanche io pensavo che dovevo invocarlo tra i santi cioè tra i defunti. Però sapevamo bene che era il candelabro della risurrezione e lui me lo forgiò in quella prospettiva. E quando me lo dette, me lo portò qui e me lo consegnò proprio a Viareggio e io lo portai così pesante in treno fino a dove abito ed era certamente un collo molto voluminoso e pesante, ma lo feci ben volentieri ed era una cosa molto bella. E quando me lo consegnò gli dissi: ma è bellissimo! Non sapevo che tu fossi così bravo. E lui mi rispose: sì, sì il mio mestiere lo so fare. Lo disse con molta chiarezza e questo mi piacque molto perché non ci trovavo traccia di quell'umiltà un po' fumosa e pelosa che qualche volta è proprio vanità. Perché si dice: no, non sono brava, volendo che si risponda: ma no, invece sei brava. In lui non c'era nulla di queste piccole commedie: era consapevole di sapere fare il suo mestiere e lo diceva con la chiarezza del lavoro. E infatti se dovessi tratteggiare una figura di don Sirio - io non pensavo di farlo questa sera: non ne ho la capacità e appena ne tratteggerò qualche pennellata -, ma tra queste poche pennellate c'è proprio il lavoro. Direi che Sirio era un uomo di lavoro. Ed è importante questo. Ricordiamo tutti quando andò a fare il preteoperaio, il primo preteoperaio d'Italia, e cominciò allora la lotta come amore perché non erano molto ben visti i pretioperai, mai furono ben visti. Mi son chiesta tante volte il perché. Forse c'erano molti motivi che si incrociavano. Perché qualcuno diceva: non hanno tempo per il ministero. Però c'erano e ci sono ancora tanti preti che fanno gli insegnanti, per esempio, e hanno la stessa scarsità di tempo. Però nessuno fa obiezione per il prete che insegna nella scuola. Invece fanno obiezione per il prete che si sporca le mani con la materia. Credo che qui ci sia una delle spiegazioni: lo sporcarsi le mani. Noi siamo figli ancora della filosofia greca per la quale la materia è una cosa infetta, una cosa impura, ed era demandata agli schiavi. E da qui il nome di lavoro servile (demandato ai servi), perché gli uomini liberi non si dovevano contaminare. Questo ci dà la spiegazione del perché di tante cose strane tra cui, per esempio, nella disciplina festiva, del riposo festivo. I più anziani di noi ricorderanno tutte le casistiche che si facevano. Si poteva faticare moltissimo nel preparare un esame e quello non era peccato, si poteva fare, ma una donna non poteva, oltre uno spazio di poco tempo, lavorare a maglia che è un lavoro molto più rilassante che preparare un esame di fisica. Perché? Perché la maglia è la materia e la maglia sporcava. Forse c'era un poco di questa prevenzione e adesso sta cadendo questa prevenzione per il lavoro manuale. Infatti io ricordo che da bambina mi si diceva che cosa bisognava fare: una persona di un certo rango sociale doveva fare un lavoro decoroso e il decoro era appunto demandato alle attività mentali, insomma non materiali. E forse era questa una delle motivazioni della Chiesa nei confronti dei pretioperai. Non era decoroso che un prete si sporcasse le mani con le cose.

Lotta contro il privilegio della casta
E poi il lavoro del preteoperaio in fabbrica era un lavoro molto coinvolgente che strappava il prete a quella casta sacerdotale che è nata nella Chiesa - mentre non avrebbe mai dovuto nascere - e che ha reintrodotto nel Nuovo Testamento la casta della tribù di Levi che era nel popolo ebraico. Per cui i preti fanno proprio una categoria a sé, una corporazione a sé. Altri lavori meno coinvolgenti del lavoro in fabbrica non turbano 1'appartenenza a questa casta. Il prete resta sempre prete con solidarietà piena con i suoi confratelli. Non si confonde con l'altra gente, resta sempre un uomo speciale. Mentre il lavoro in fabbrica che stabilisce rapporti di strettissima consanguineità con gli altri operai, di strettissima solidarietà, molto facilmente e inevitabilmente e giustamente si politicizzano, e si politicizzano in aree partitiche non proprio molto affidabili secondo la mentalità della Chiesa, specialmente di un po' di tempo fa. Ma non c'è poi molta differenza anche con la Chiesa di oggi. Forse un po' tutti questi motivi messi insieme determinavano questa ostilità di Roma nei confronti dei pretioperai. Don Sirio era consapevole di questa ostilità ma seguitava a lottare e a lottare con amore, sempre nella speranza di una conversione di queste mentalità arcaiche e clericali, un po' settarie. Seguitava a lottare e per la Chiesa e per la classe operaia e per la giustizia, per la libertà, per un mondo migliore. Seguitava a lottare così da prete e da operaio. Uomo tra gli uomini senza volersene tirare fuori come molto spesso il prete molto convinto della sua appartenenza a questa classe speciale, a questa casta sacrale, più difficilmente fa. Era veramente un uomo tra gli uomini, un operaio tra gli operai, senza rivendicare privilegi. Quei privilegi ai quali noi, così astrattamente con dichiarazioni, rinunciamo. Diciamo che la Chiesa non vuole più privilegi e facciamo sempre il contrario e li chiediamo sempre. Non vogliono entrare adesso in casistiche molto attuali che ci coinvolgono profondamente e ci bruciano un poco, perché voglio tenere il discorso più su un piano di ricordo pacificante di un uomo più che della rissa. Perché alle volte la ricerca di privilegi e questa attesa di privilegi appoggiata al potere ci porta ad un atteggiamento veramente rissoso. Ma certamente la storia, 1'attualità è sotto i nostri occhi. Ai privilegi noi rinunciamo a parole, ma i privilegi li teniamo stretti e ben stretti molto fermamente. Sirio era l'uomo che non chiedeva privilegi, non li voleva, non per sé.

Per un autentica uguaglianza nella diversità
Ho detto era uomo tra gli uomini, operaio tra gli operai, vestito come tutti voi. lo ho mai visto don Sirio vestito da prete e non so se si sarà vestito mai. Spero di no, oppure per necessità qualche volta non lo so. Ma io non l'ho mai visto e sono ben contenta di non averlo visto così come non ho visto vestiti da prete questi due preti che sono qui con me. Anche questa è una lotta come amore. Questa di vestire come gli altri. Perché oggi è fortissima la pressione perché il prete vesta da prete cioè che metta in atto un altro degli elementi che lo qualificano come casta come persona speciale. Tra l'altro ci sarebbe da fare tutta un' antropologia sulla divisa. Che cosa vuol dire divisa. Veramente un' appartenenza conclamata, una manifestazione di potere attraverso l'abito e anche una massificazione perché non dimentichiamo che divisa ha un sinonimo allarmante che è uniforme. Tutti uguali. E la tentazione dell'uniformità è fortissima in tutte le caste. Fortissima tra i militari. Spadolini ha fatto - mi pare un anno fa - una critica ai militari che non amavano abbastanza la divisa. Lui li voleva ben massificati; e anche i nostri - con tutto il rispetto - i nostri Spadolini gerarchici manifestano le stesse preoccupazioni e fanno le stesse pressioni perché i preti siano massificati tra di loro attraverso l'uniforme. Ma il fatto che don Sirio non portasse la talare può apparire un fatto molto banale, può apparire che banalizzi tutto il discorso. Ma non lo è tanto, perché dietro questo aspetto molto particolare ci sta tutta un' ecclesiologia. C'è l'ecclesiologia proprio della casta clericale che vuole un prete diverso dagli altri, separato dagli altri e che veste in modo diverso purtroppo. E un'ecclesiologia più comunionale che afferma che il prete è un uomo fra gli uomini come tutti gli altri e quindi deve vestire come gli altri, deve vivere come gli altri, deve sentire come gli altri e mescolarsi alla gente. Tra l'altro, un ricordo storico. È evidente che nei primi tempi non c'erano divise, non c'erano talari, il Signore non portava un vestito speciale e neanche gli apostoli e neanche nei primi secoli della Chiesa. Quando cominciò l'uso di una veste speciale, il Papa di quei tempi che era Innocenzo III la proibì e disse: cos'è sta storia di un vestito speciale? Niente, voi dovete vestirvi come gli altri perché siete come gli altri. Però abbiamo perso le idee di questo papa e ne sono venuti degli altri. Il fatto di non portare la talare è uno degli elementi che sottolineava questo essere come tutti, questo volere essere come tutti, non volersi distinguere e non volersi uniformare agli altri confratelli in una casta diversa in cui tutti sono uguali tra loro. Dobbiamo essere eguali con tutti, tutto il popolo di Dio, ma eguali nella diversità ciascuno con la propria individualità e con il proprio vestito. Come tanti piccoli gesti, anche questo del vestire è segnato da una ecclesiologia e questo spiega certe resistenze che altrimenti non sarebbero spiegabili. lo non so come vadano le cose qui a Viareggio, nella vostra chiesa. Temo di non avere mai assistito ad una Messa di don Sirio. Sto pescando nella memoria, ma mi sembra di no. E quindi non so come dava la comunione don Sirio. Io spero che la desse nella mano, a meno che non abbiate un vescovo un po' autoritario, ma certamente anche questa insistenza nel non dare la comunione in mano, anche quella veicola un' ecclesiologia. È l'affermazione che il prete è padrone delle specie eucaristiche e può disporre quasi a suo talento del Corpo e del Sangue del Signore. Ed è un'ecclesiologia allarmante. Non va detto in questi termini perché sarebbe troppo impudico esprimermi in questi termini, però alle spalle di questa resistenza - nei confronti della comunione in mano che sarebbe tanto più logica -, c'è questa ecclesiologia. Altrimenti la cosa in sé si banalizzerebbe talmente non ci sarebbe motivo neanche di discuterne. Invece si fanno le lotte su queste cose proprio perché dietro c'è molto più del gesto in questione, e cioè la concezione della Chiesa. E don Sirio seguitava anche qui a lottare con amore e a portare avanti un discorso di una Chiesa diversa che è una Chiesa più umile, non divisa - laici da una parte, preti dall'altra - persone cosiddette consacrate. Cosa vuol dire questo discorso della consacrazione? La consacrazione è quella che riceviamo tutti nel battesimo. Poi ci sono diversi modi di vivere la consacrazione battesimale. Ma non ci sono consacrazioni ulteriori così significanti da giustificare divisioni in categorie diverse. Questa era un'altra delle doti di don Sirio e la Chiesa che don Sirio e tutti coloro che sentono come don Sirio auspicavano non era, come qualcuno adesso dice una Chiesa lassista, meno rigorosa. Anzi una Chiesa più evangelica, più povera, che non chiedeva privilegi, che non si appoggiava al potere civile - perché noi siamo tutti eredi di Costantino e di questa alleanza del trono con l'altare. Siamo tutti ancora legati a questo. Una Chiesa quindi non legata al potere, non legata ai particolari partiti, non legata a tutte le piccole beghe del potere alle quali noi assistiamo. Non c'è bisogno che ve lo ricordi: specialmente in questi giorni c'è molto da stupirsi che certi partiti seguitino ad avere l'aggettivo cristiano appiccicato quando danno degli esempi che non hanno proprio niente a che vedere con questo. Però molto spesso la Chiesa ufficiale ancora è legata a queste forme, forme spettacolari, forme di potere più o meno mascherate. Contro questa Chiesa lottava don Sirio e lottava la con amore perché non era un volere distruggere la Chiesa come qualcuno oggi dice. Era un volere riformare la Chiesa e la Chiesa - noi lo diciamo - «Ecclesia semper reformanda», la Chiesa è sempre da riformare, lo diciamo, lo spieghiamo, però in realtà se uno richiama la Chiesa a questa necessità di riforma uno viene emarginato come anche don Sirio credo che lo fosse abbastanza. E come tutti coloro che pensano questo lo sono. Un uomo di fede don Sirio, che faceva queste lotte per la vera fede contro quei surrogati di fede come il potere, sia pure con intenzioni così sacrali.

Attraverso la forza dirompente delle cose «inutili»
Un uomo di fede, ed io so che era anche un uomo di preghiera che portava la preghiera alla sua fonte originaria. Anche quella desacralizzata: la preghiera non era recitare preghiere, non era il moltiplicare forme, era vivere in un certo atteggiamento. E Sirio era un combattente anche nella preghiera perché sapeva bene che la preghiera ha una forte valenza rivoluzionaria. La preghiera è una sorta di controcultura che in un mondo come il nostro che è tutto centrato sul profitto, sull'utilitarismo, sulle cose che servono e sono monetizzabili e commerciabili, affermava la totale gratuità di questa sorta di innamoramento che non serve a niente, perché la preghiera non serve a niente a questi livelli monetizzati. Ha un grosso peso proprio perché è l'affermazione della libertà e della gratuità dell'uomo. E allora lottare contro queste forme mercificate della preghiera per cui pregare vuol dire chiedere cose, chiedere grazie - come noi diciamo - o chiedere favori. Andare ad accendere la candelina a Santa Rita o a Sant'Antonio perché dobbiamo passare un esame. Per passare l'esame serve studiare, non pregare. Ma la preghiera è importante per la sua inutilità. Le cose che sono più importanti nella vita: l'amore, l'arte, la poesia, non servono a niente a questo livello di compravendita. Sono quindi «inutili» e insieme sono le più necessarie perché fanno l'uomo uomo veramente. Si potrebbe dire che quello che distingue l'uomo dall' animale è proprio questo culto della gratuità perché l'animale fa tutto per uno scopo. Forse io che amo molto gli animali trovo qualche traccia di gratuità anche in loro. Avevo un gatto che quando gli davo da mangiare fiutava il cibo e poi veniva a strusciarsi nelle gambe, ed era un gesto di gratuità, di affetto che certamente tra gli animali è molto raro. Mentre l'uomo vive profondamente, se è uomo, questo senso di gratuità che è la contestazione più radicale che noi possiamo fare a questa civiltà del profitto, a questa civiltà utilitaristica. E allora Sirio viveva la preghiera ed era un uomo di preghiera in questo senso profetico e in questa lotta con amore. E è proprio vero questo suo motto - che è affermare attraverso la pre-ghiera questa cultura fatta di cose belle che non servono a niente ma che rendono piacevole e bello e vivibile il mondo. Sirio era questo. E credo che se noi vogliamo seguire le sue orme dobbiamo anche noi essere uomini di lavoro, di fede, di preghiera, di amore, ma di amore dialettico, di amore non dolciastro. Di amore con un certo piglio di lotta perché anche Gesù Cristo noi l'abbiamo molto edulcorato. Gli abbiamo cambiato il colore degli occhi, glieli abbiamo fatti celesti. Gli abbiamo cambiato il colore dei capelli e glieli abbiamo fatti biondi: i nostri «sacri cuori». Con tutta probabilità nostro Signore non aveva gli occhi celesti né i capelli biondi per ragioni proprio etniche. E l'abbiamo fatto molto dolciastro e ci siamo dimenticati le invettive del Signore: guai a voi, farisei, ipocriti, sepolcri imbiancati. Quante volte la nostra società, il nostro mondo politico e il nostro mondo ecclesiale è fatto di sepolcri imbiancati. Ecco allora che bisogna togliere la pietra tombale e fare vedere cosa c'è dentro. E fare della lotta. In questo momento credo che ci sia molto bisogno di questa lotta e credo che don Sirio non si onora con una celebrazione - anche se adesso cerchiamo di onorarIo ed è bella anche questa amichevole riunione - però certamente sarebbe sterile se fosse tutta qui. Don Sirio lo si onora soprattutto con lo stile di vita. Uno stile di vita fatto di operosità, di fede, di preghiera, di amore e di lotta. Contro tutte le tentazioni di regressione, di mortificazione, di livellamento che sono forti in questo momento storico e contro le quali dobbiamo veramente poter reagire con fierezza e con fermezza dicendo no, il vangelo è un' altra cosa.


Adriana Zarri


in Lotta come Amore: LcA settembre 1989, Settembre 1989

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