La posta di Fratel Arturo

Cari Amici italiani,
fra le tante cose che vorrei raccontare, scelgo una che mi interessa particolarmente, sperando che contribuisca ad arricchirvi di ottimismo e di speranza, come è accaduto a me. È l'incontro delle comunità ecclesiali di base, avvenuto in Brasile nel mese di luglio nella diocesi di Duque de Caxias (periferia di Rio de Janeiro) il ritorno in Italia un mese dopo il congresso brasiliano, mi ha riportato a quella esperienza, facendomi apprezzare ancora di più i valori che si fanno palesi nelle assemblee cristiane dell'America latina.
Il congresso brasiliano aveva come tematica centrale riaffermare la coscienza ecclesiale delle comunità di base. La Chiesa è - come afferma il documento di Puebla - il popolo di Dio in cammino verso la libertà; ma il tempo che passa, le delusioni e le persecuzioni incidono negativamente sulla speranza di questo popolo in cammino. Riflettendo sulla relazione dei quarant'anni di viaggio, come è raccontato nella Bibbia, e specialmente nel libro dell'Esodo, ci convinciamo che la speranza è una virtù difficile, continuamente insidiata, che cresce in un contesto di «tentazioni». Una assemblea cristiana in Italia lascia un saldo di polemiche, mette a nudo intenzioni di bassa politica, fini scopertamente economici: la passione del Regno è contaminata dalla volontà di realizzare progetti che sono evidentemente estranei al Regno. Leggendo sui giornali gli strascichi di un incontro cristiano che ricorda molto le faide tra guelfi e ghibellini, ho ripensato con molta gioia all'incontro del Duque di Caxias. I novanta Vescovi che si mettevano nella loro fila come tutti, per ricevere la razione di cibo, e si sedevano dove capitava, per consumare la refezione, componevano veramente l'immagine della Chiesa-comunione. Nessun privilegio per nessuno. Nessuno spazio aperto per chi volesse inserirvi le sue ambizioni personali, o il suo risentimento verso un avversario politico. Era chiara sul volto dei Vescovi la soddisfazione di trovare la prossimità col popolo, non come risultato di teorie e di polemiche, ma per una reale necessità: nel deserto non esistono poltrone e tavoli. E que-sta assemblea riusciva a dare l'immagine del deserto. Nessun particolare estraneo che potesse essere pensato come contraddittorio a questa convocazione popolare. Era veramente il popolo di Dio, convocato da Lui che «ne aveva udito il clamore e il pianto». Quelli che hanno il cuore di ricco non c'erano. La tv ufficiale, la rete globo che entra in un pollaio dove hanno rubato galline, non c'era: il popolo lì non era il cliente passivo, imbambolato davanti al video, era il popolo in piedi per ascoltare quella promessa che discende come una corrente d'acqua perenne, di generazione in generazione: «Tu sei il mio popolo e io sono il tuo Dio, il tuo misericordioso e appassionato Dio».
Ciascuno, ogni notte, si ritirava in una casa povera dove trovava il suo posto semplicemente come fratello atteso da lungo tempo. «La diocesi ha fatto un grande sforzo - mi comunicava un amico - ma ci ha guadagnato molto più che con qualunque «missione». Ogni cristiano che ha il cuore di povero, e la fame e la sete del povero sentiva come era vero il canto di Maria: «Ha soccorso Israele (il popolo) suo servo ricordandosi della sua misericordia. L'amicizia che si viveva senza contrasti, non era il risultato di una riconciliazione, ma l'unità che nasceva dalla rivelazione di una misericordiosa e affettuosa paternità.
Per smentire coloro che affermano che la teologia della liberazione e la pastorale della liberazione ricoprono litigi politici e problemi esplicitamente economici e sociali, è sufficiente mettere a confronto il congresso delle comunità ecclesiali di base con il congresso parallelo di Cristiani in Italia. L'uno squisitamente biblico senza incrinature, riproduzione del discorso della montagna senza l'intervento di nessun regista: tutti in umile ascolto del messaggio di speranza. L'altro trasformato in arena di gladiatori con un saldo di vincitori e di vinti. La convocazione brasiliana era diretta a discepoli, tutti ugualmente discepoli per ascoltare la voce del Maestro. Quella italiana scopriva l'intenzione evidente di promuovere alcuni eliminare altri. E il Regno può attendere ancora.
Non perdiamoci di vista; manteniamoci uniti nel ricordo del nostro grande amico don Sirio. Vi abbraccio.


Arturo


in Lotta come Amore: LcA settembre 1989, Settembre 1989

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