Dal Capannone di via Virgilio

In una fredda mattinata di gennaio ci siamo mossi con tutti i ragazzi e siamo andati davanti ad un cantiere navale dove una piccola folla di operai manifestava perché fosse riassunto un compagno di lavoro portatore di non lievi handicap. Ci siamo sentiti provocati a manifestare la nostra solidarietà e a dare ragione della nostra presenza lì e, più in generale, nell'area produttiva del porto. Beppe ha Ietto, a nome di tutti, questo breve «documento» scritto ed «approvato» già da tutti noi. Non siamo stati presi troppo sul serio né, d'altra parte, lo pretendevamo. Sappiamo bene che un gruppo di gente come noi può solo chiedere di essere aiutata, ma, caschi il cielo, se pensa di poter «aiutare». Però siamo stati contenti di essere usciti, di aver salutato tanti nostri amici, di aver contribuito affinché il linguaggio della manifestazione uscisse un po' dai binari del rituale del funzionariato sindacale. Alla fine alcuni di noi hanno potuto parlare con l'operaio per cui si teneva la manifestazione ed una ragazza gli ha detto: «Se non ti vogliono più qui, vieni pure con noi; vedrai che ti troverai bene!».
Siamo un gruppo di persone (una piccola ARCA) che da anni lavora in Darsena. Facciamo lavori semplici con ritagli di legno, di ferro, con la carta, la pelle, la terra. Tra di noi sono molti quelli che vengono chiamati handicappati e sarebbero rimasti chiusi in casa se non ci fosse la possibilità di lavorare nel capannone di Via Virgilio. Non guadagniamo abbastanza per avere uno stipendio vero e proprio, ma cerchiamo di essere autonomi nelle spese collettive, nelle nostre attrezzature, nell'autofinanziarci momenti di svago e di conoscenza. Non ci sentiamo completamente inutili. E diamo esempio di operosità, di serenità, di gioia di vivere. Sono cose che non si comprano al mercato e non vengono quotate in borsa; ma non sono forse cose buone anche per voi? Eppure forse noi avremmo il diritto di lamentarci per come la vita ci ha trattati. Non ci lamentiamo: la vita è bella anche così e lo diciamo anche sapendo che per voi, forse, è difficile crederlo. Quello che ci dispiace è di essere giudicati disgraziati e, con questo, sistemati nelle braccia assai poco simpatiche dell'assistenza. Quella pubblica e quella privata. Quella che si rifà alle clientele politiche e quella che si rifà al dovere dell'elemosina. Abbiamo letto nella Costituzione che siamo cittadini di una repubblica di eguali: ma evidentemente noi non possiamo essere uguali come gli altri. Finché rimaniamo chiusi dentro e siamo oggetti di cure, lo Stato paga e sono molti quelli cosiddetti «sani» che vivono alle spalle di noi «handicappati». Ma se vogliamo uscire, camminare, lavorare, divertirci come gli altri, allora è un'altra cosa! Abbiamo provato il fastidio, l'insofferenza, la stanchezza di tanta gente che si rifiuta di prenderci sul serio e che crede a regole del gioco fatte di sopraffazioni, di furbizie, di servilismo e di semplice sudditanza verso ogni potere. È un gioco amaro quello di coloro che si considerano uguali. Sappiamo che quello che dovrebbe essere di fatto un diritto per ogni persona, nel nostro Paese diventa troppo spesso un «privilegio», una «concessione benevola» di alcune aziende messe alle strette che devono per forza «prendersi in casa» l'handicappato. Caro compagno che l'azienda Benetti Azimut non vuole assumere perché ti giudica inutile dentro il cantiere: noi non sappiamo se veramente è assoluta questa inutilità e se tu hai ancora voglia di lavorare e di sentirti «portatore di un diritto» (quello di essere un uomo uguale) prima che «portatore di handicap». Noi siamo solidali con te perché questa è anche la nostra battaglia: per questo ogni mattina si apre il portone del nostro capannone. Perché cambino le regole del gioco e i diritti dei cittadini - al di là di ogni discriminazione - non siano vuote parole, ma concreta opera di solidarietà collettiva, di intelligenza manageriale e di sostegno sindacale, di sensibilità sociale a misura di umanità. Noi sappiamo che la legge che disciplina l'accesso al lavoro delle cosiddette «categorie protette» (e cioè confinate ed etichettate) è sottoposta a grosse critiche e discussioni. Disattesa, svuotata nei contenuti, tradita, questa legge (la famosa «482») è stata oggetto di 4 progetti di riforma firmati rispettivamente da DC PSI PCI DP. Questi progetti si sono fermati nei cassetti nella Commissione Lavoro del Senato e la questione - dopo mesi - non è ancora all'ordine d.g. e non è stato nominato neppure un relatore. Non è certamente la nostra voce quella che ridarà vigore alla proposta. Eppure crediamo e speriamo che la sensibilità popolare e del mondo operaio possa realizzare quella forza di volontà nuova per una giustizia vera, concreta, calata nel quotidiano, espressa più che con le parole della legge, con quelle della vita e della vita solidale.


in Lotta come Amore: LcA marzo 1989, Marzo 1989

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